di Giulio Gasparin
La giornata odierna si presenta carica di pioggia. Il cielo è plumbeo, le nubi pronte a scaricare sulla terra già fradicia di Lombardia. Premetto che, con le semifinali in programma non prima delle cinque di pomeriggio, ho sfruttato la mattinata per recarmi in quel di Milano, città che da sempre mi confonde geograficamente. Mi spiego, cuore ideale dell’Italia settentrionale, pur conoscendone l’ubicazione, mi tradisce sempre perché nella mia mappa mentale risulta molto più centrale della sua effettiva posizione. Per me che vengo dall’estremo nord-est del paese, recarmi a Milano richiede più tempo del previsto, ecco quindi che decido che nella prima mattinata veramente libera di questa settimana bresciana, posso recarmi nella città sforzesca e ritrovare amici che non vedevo da tempo.
Le ore nel capoluogo lombardo scorrono piacevoli nonostante la pioggia bagni tutto, rendendo le strade veri e propri acquitrini, in una specie di antitesi del mio umore traboccante di gioia per l’incontro con gli amici degli anni delle superiori. Purtroppo è subito ora di tornare alla Leonessa d’Italia, dove però in queste semifinali non potrà ruggire alcun paladino azzurro. In realtà un pezzettino d’Italia scenderà in campo nella seconda semifinale, quando toccherà a Farrukh Dustov, l’uzbeko trapiantato a Bolzano.
Trovato parcheggio con gran difficoltà davanti al San Filippo, teatro di questa prima edizione dell’ATP Challenger di Brescia, mi porto alla cabina sovrastante il campo di gioco e mi preparo a quello che mi aspetto essere un duello serrato tra il redivivo Illya Marchenko e l’ormai idolo della folla Dustin Brown. Ad onor del vero, mi aspetto che il giamaicano-teutonico (e qui penso che alla prossima occasione conierò un nuovo aggettivo per lui, teutogiamaicano mi sembra l’opzione migliore) possa essere il favorito, nonostante il precedente a senso unico per l’ucraino. Penso che Brown, sì abbia speso molto nel match di ieri sera, ma abbia affrontato in Troicki un giocatore dal gioco similare ma di un livello superiore (e qui non me ne voglia il caro Illya).
Non potevo sbagliarmi di più.
Il riscaldamento della seconda testa di serie del torneo, non che l’unica rimasta ad oggi, appare svogliato, qualche colpo da fondo, due volée, un paio di servizi e si va a sedere ben prima che il time venga chiamato. Il riscaldamento così sprint non ha fatto da sinonimo al suo inizio, tutt’altro che positivo. Marchenko parte come una furia, ma il vero fattore è Brown, o meglio, la sua non presenza. Lento e falloso, il teutogiamaicano (sì, l’ho appena usato) si vede costantemente aggredito al servizio, passato nei tentativi di approccio e schiacciato dalla potenza dell’ucraino da fondo. Il primo set è un non-match, dura 23 minuti e solo perché d’orgoglio il tennista con i dread rimedia l’unico game conquistato al servizio dopo aver salvato una palla break. È un 6-1 che lascia poco alla cronaca.
Il secondo set parte sulla stessa falsariga, Marchenko va a mille e trova subito il break di vantaggio, ma poi, finalmente, si vede una reazione del favorito della vigilia. I game finalmente si allungano e si vede un po’ di lotta, anche perché all’ucraino pare venire in mente che questa è la prima semifinale stagionale e che a lui manca un appuntamento con una finale dal Challenger di Istanbul dello scorso autunno. La vera chance per Brown è il sesto gioco, quando un paio di errori di troppo di Marchenko gli danno due palle break consecutive, che però non riesce a sfruttare.
Da lì a poco il match si porta a termine con l’ennesimo dritto sbagliato dal teutogiamaicano.
Onestamente deluso dalla non-partita che è appena finita, mi auguro in un bel match tra il mio nuovo idolo morale, Michael Berrer, e quello che sicuramente sarà il beniamino del pubblico, Dustov. A distanza di qualche giorno dall’intervista con il tedesco sono ancora ammaliato dall’amore per il gioco, il rispetto per l’avversario e la classe sia nel gioco che come persona. Da bravo cronista rimarrò imparziale nei giudizi che seguono, ma trovo doverosa questa dichiarazione antistante il racconto.
I due si sono incontrati solo una volta in carriera ed è stato ad inizio anno, sempre indoor e sempre in semifinale, quella volta il campo era quello di Kazan e ad imporsi era stato il tedesco, ma da allora le rispettive stagioni hanno preso pieghe diverse, favorendo l’ascesa dell’uzbeko bolzanino.
L’equilibrio del primo set è totale, entrambi sfruttano l’arma del servizio a pieno, seppur il tedesco abbia rischiato in un’occasione, tanto che Dustov nel suo primo game al servizio sfiora il game perfetto, con tre ace consecutivi ed una prima vincente a chiudere il gioco.
Il tiebreak è l’unico modo di mettere fine al primo set. L’uzbeko, una volta lì, si invola sul 6-2, ma un ace di seconda di Berrer e poi due suoi brutti errori di dritto mandano il tedesco a servire sul 6-5. Tutto da rifare? La risposta è no, con una gran spallata di rovescio in lungo linea Dustov si aggiudica il primo set.
Il secondo set si apre con un’immediata chance per il tedesco, ma l’uzbeko non cede il servizio e sarà anzi lui stesso ad avere la possibilità più concreta di ipotecare il match, quando nel sesto gioco ha avuto due palle break consecutive. Berrer ha risposto di tutto punto con quattro ace, riuscendo poi a trovare il break nel gioco successivo con un passante lungo linea su cui ha tentato Dustov di avventarsi ma finendo solo per procurarsi vistose escoriazioni su braccio e gamba destra. A questo punto l’epilogo del set è scontato, i due tengono i propri servizi e questo consegna il set a Berrer.
La pausa tra i due parziali sembra però interrompere il buon momento del tedesco, che anzi esordisce subendo un parziale di tre giochi consecutivi.
Seppur lottato, il match stenta a decollare, e anche parte del pubblico lascia mestamente il palazzetto prima della conclusione del match. Anche la sala stampa non sembra troppo presa dall’incontro, con le più svariate discussioni che prendono corpo mentre il match scivola come da copione fino al suo naturale epilogo nel 7-6 4-6 6-3 finale. Unico lampo, come una gemma preziosa in un oceano di ghiaia, l’uzbeko si issa a match point con un recupero fra le gambe che passa un Berrer incredulo a rete e che non può che prostrarsi (sia metaforicamente che non) a tale prodezza.
Domani purtroppo si compirà l’ultimo atto di questa bella settimana bresciana, tennisticamente e non meteorologicamente parlando, ma forse è giusto così, perché tutte le storie necessitano di una parola fine, quindi a domani, per l’ultimo capitolo di questo racconto.
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