di Gianluca Dova (inviato a Bucarest)
La semifinale in campo tra Fognini ed Attila Balzs non è quasi esistita. Attila è stato molto meno terribile dei match precedenti, troppe 7 partite in 8 giorni, e Fabio meno brillante di ieri contro Seppi è stato bravo a gestire la situazione e a far valere classifica, fisico e talento.
Molti avranno visto la partita in televisione ed apparentemente può essere sembrata facile, quello che non si è visto e che voglio raccontare e quello che c’è dietro la prima finale Atp del giocatore di Arma di Taggia. C’è sicuramente stata l’ambizione di migliorare che l’ha portato a scegliere nel novembre scorso Josè Perlas ed immagino che non deve essere stato facile né come tipo d’investimento (parliamo di un coach che ha vinto due Roland Garros con Moya ed Albert Costa) né come impegno. Ci vuole molta voglia di vincere per rimettersi in gioco, scegliere un allenatore impegnativo sotto molti aspetti, rischiare anche con sacrifici personali come quello di stare lontano da casa anche nelle poche pause della centrifuga di trasferimenti ed impegni legati al circuito ATP. Non era facile fare una scelta del genere ed in effetti altri giocatori italiani in passato non lo fecero e mi viene in mente sicuramente Bolelli che preferì il coach messo a disposizione da mamma FIT in un importante “sliding door” della sua carriera piuttosto di rischiare direttamente dopo che un paio di anni fa aveva già un accordo verbale con Perlas. Questa parentesi è per dire che scegliere Perlas non è una scelta da poco.
Il coach spagnolo che ha allenato e fatto vincere Carlos Moya, Albert Costa, Ferrero ed Almagro ha un suo metodo ed una professionalità fuori dal comune, è concreto e meticoloso, ossessivo quasi asfissiante nel suo pressing con i suoi allievi, e ci vuole anche molta umiltà per poterlo seguire. E’ molto attento a non confondere il suo ruolo di professionista con le relazioni personali, rimane sempre il coach e non diventa mai né un fratello maggiore né un amico per i suoi giocatori, capendo che questo può essere un limite. Bravo nel lasciare l’attenzione mediatica sul giocatore, è riservato con i media, non vuole apparire più di tanto, non gli leva in pratica spazio. Non appare quindi al grande pubblico ma la sua presenza per Fabio prima, durante e dopo i match è costante, gli parla sempre, gli trasmette informazioni, in maniera pacata ma ferma, ossessiva, molte si ripetono per fissarsi meglio nelle certezze del giocatore. Negli allenamenti e in tutti i riscaldamenti mima i gesti che bisogna fare per colpire la palla quasi come fosse un semplice maestro che impartisce una lezione e non un coach che segue un professionista che quei gesti li dovrebbe conoscere a memoria. Fa parte del suo modo di allenare non dare mai niente per scontato, essere semplice ma pratico, efficace.
Tatticamente si è capito nei match di queste settimane, ha le idee chiare, ed ha modificato il gioco di Fognini in un paio di direzioni principali. Una alta percentuale di servizio (sempre sopra il 70%) ed un gioco ordinato, aggressivo e vario, specialmente nelle palle più importanti gli chiede di non aspettare di creare gioco, di essere attivo e vivace. Diventa quindi obbligatorio aggredire la seconda dell’avversario ed alternare le “giocate”. Un termine un po’ inusuale che Perlas utilizza durante i match di Fabio è “allegro” per indicare la gioia di essere creativo e produttivo nel gioco. Non si limita alle indicazioni tattiche ma lavora anche su gli stimoli un’altra delle sue frasi tipiche quando il match arriva alla lotta è “Quien quieres mas gana” cioè “chi lo vuole di più vince”, in pratica il concetto è più o meno che si può vincere solo se si lotta su ogni palla con tutte le proprie forze. Semplice, forse banale, ma una cosa è saperlo un’altra sentirselo ripetere ad ogni punto ed averlo fissato come una certezza nella propria testa. Questo è il lavoro che svolge Perlas, fissa delle certezze, semplici, banali, rassicuranti ma bisogna essere metodici, scrupolosi ed ossessivi per farlo.
Tornando all’”ultimo miglio” prima della finale, quello che non si è visto è stata la preparazione del match. Le sedute e i duri esercizi con il fisio personale per smaltire dolori e fatiche, il meticoloso riscaldamento, il lungo colloquio (si fa per dire in pratica Perlas letteralmente inonda Fabio di tutte le informazioni relative all’avversario, a come giocare e a quello che si deve aspettare) con le indicazioni prima del match. Quello che non si vede, i dettagli, sono quello che fanno vincere, mai come ora Fognini sembra averlo capito.
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