(Federico Gaio – Foto Nizegorodcew)
di Mauro Simoncini (Tennis Italiano)
Davvero un peccato, perché Federico Gaio se lo meritava. Per due ragioni, una umana e una tecnica.
1. Ho lavorato al 50° Trofeo Bonfiglio sia per aiutare l’ufficio stampa de “Il Tennis Italiano” sia come parte integrante dello staff del Tennis Club Milano “A. Bonacossa”; ho vissuto il torneo da dietro le quinte e tutti – dai raccattapalle ai giudici di linea, dagli uomini della manutenzione al direttore del Circolo, dal Players Office ai ragazzi della Transportation – potrebbero spiegarVi che tipo è Federico Gaio. Un bravo ragazzo; posato, educato, a tratti timido; una “persona che sa stare al suo posto”, Low Profile alla Davide Santon se preferite il gergo di mister Josè Mourinho.
Per favore, se potete, se non è un problema prima di ogni sua richiesta; si certo, volentieri, grazie a voi quando gli si chiede un autografo, una foto, una veloce dichiarazione o un’intervista… Complimenti a lui, ma anche ai genitori e al coach Simone Ercoli.
2. E’stato l’unico giocatore – e li ho visti quasi tutti, inchiodati al fondo a spingere ogni palla – a proporre un tennis diverso, vario, alternativo. Che gli ha permesso di superare prima la fisicità del francese Mina (davvero il sosia di Monfils) poi la solidità dell’argentino Collarini in semifinale. E per poco non gli scappa il bis in finale contro l’argentino Arguello, poi vincitore (meritato) del torneo per la grinta e la forza dimostrate nell’arco di tutta la settimana.
Federico ha diverse soluzioni tecnico-tattiche: un ottimo servizio (sia per tentare l’ace con la prima piatta sia per provare qualche utile variante tagliata per il serve&volley); un rovescio a una mano splendido, naturale, “se lo porta da casa” (valido anche con il taglio indietro per spezzare il ritmo dei terraioli o provare qualche sortita a rete); un diritto penetrante (ma un po’ incostante). Infine fisicamente è ben preparato, rapido e resistente, muscolarmente sviluppato (aspettiamo fiduciosi qualche centimetro in altezza).
In generale ricorda un po’ Simone Bolelli: emiliano come lui, caratterialmente mite (con qualche picco positivo più esuberante); rovescio a una mano, stilisticamente ineccepibile; con una maggiore propensione verso la rete; un servizio forse più incisivo e un diritto più ballerino.
Pazienza se in finale – ce lo ha detto lui stesso – ha pagato un po’ la tensione e l’emozione, comprensibile alla sua età (non va scordato: classe 1992, 17 anni) davanti a uno stadio storico e quasi pieno. Ha trascinato i tantissimi appassionati che hanno riempito le tribune del Centrale del Tennis Club Milano, come non accadeva da qualche tempo.
Complimenti Federico e in bocca al lupo per il futuro!
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