di Sergio Pastena
E’ un altro Andy Murray, ora si può dire.
Il problema non è tanto la vittoria negli Us Open, visto che la combattuta finale di Wimbledon e il trionfo olimpico sembravano aver aperto allo scozzese la consapevolezza di poter compiere certe imprese. Il problema è come è maturato il successo di Flushing Meadows: circostanze drammatiche, circostanze che sembravano destinate a far riemergere fantasmi di vecchia data, circostanze in grado di abbattere un mulo.
Abbastanza scontato fare notare che non c’era Nadal. Prevedibile dire che questo era un Federer “scarico”, al punto da non arrivare neanche in semifinale. Realistico dire che Djokovic non è quello del 2011. Ma anche considerando tutto questo e le condizioni favorevoli, è stata un’impresa. Partiamo dal fatto che il tabellone di Murray era meno morbido di quel che si potesse pensare: da Feliciano Lopez (che l’ha fatto soffrire di brutto) a Raonic, fino ai set rimontati a Cilic e ad un lanciatissimo Berdcyh, la sua strada verso la finale è stata certamente meno morbida rispetto a quella di Djokovic, che a parte un Del Potro a mezzo servizio non ha poi trovato molto.
La finale, perciò, era incerta, per via di un torneo nel quale lo scozzese sembrava accusare qualche sintomo di fatica dopo la tirata estiva e il serbo sembrava invece essere in ottime condizioni, capace di perdere solo un set nel quale, a batterlo, era stato il vento più di David Ferrer.
E infatti non è stata facile. Il primo set è stato un gioco al massacro, coi due a lottare per un’ora e mezzo punto su punto, fino ad un tie-break nel quale Murray è riuscito ad avere la meglio 12-10. Un tie sudatissimo al quale ha fatto seguito un secondo set altrettanto combattuto: sul 5-5 i due si erano tolti quattro volte a testa il servizio e col serbo 0-15 c’erano spifferi di “Ora lo breakka e Murray si squaglia”. Niente da fare: servizio tenuto e break, 7-6 7-5.
Qui va in scena il dramma. Già, perché Djokovic non ha alcuna voglia di mettersi a fare la vittima sacrificale nel terzo set e lo fa capire da subito, cominciando a martellare l’avversario. E’ un amen e i due si ritrovano due set pari, con Murray che negli ultimi due ha fatto solo cinque games e le quote dei bookmakers che si spostano dalla parte del serbo. E’ un amen, ma non per Andy, che nel quinto parte forte e prende due break di vantaggio. Poi ne cede uno, mentre la gente continua a sussurrare “Se perde questa finisce in manicomio”. Non oggi, non questa partita. Murray chiude 6-2 ed alza il suo primo trofeo Slam.
E in panchina un signore cecoslovacco, naturalizzato americano, ripensa a quando fece lui centro per la prima volta dopo quattro finali perse. Anno Domini 1984, Roland Garros, dall’altra parte della rete John McEnroe. Al quinto set, of course.
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