di Sergio Pastena
Mettiamola così: salvo impensabili miracoli brasiliani, alla fine della carriera Andy Murray potrà dire di aver vinto qualcosa che è sfuggito a Roger Federer, ovvero l’oro del singolare olimpico. Lo scozzese, infatti, si è aggiudicato il torneo di Londra 2012 sui prati di Wimbledon, che come oramai sanno anche le mosche questa settimana pullulavano di colori e rumori.
Chi volesse definirlo una specie di “torneo B” come quelli olimpici del passato, trattenesse la tentazione, avvertenza che vale doppio per i tifosi di Federer. A Londra è stata battaglia vera dall’altissimo tasso tecnico ed emotivo, per capirlo basta guardare le tre medaglie e quella di legno: Murray, Federer, Del Potro, Djokovic. What else? Frenasse gli istinti anche chi pensasse di paragonarlo ad uno Slam, avvertenza che vale triplo per i tifosi di Murray. Non esageriamo, please. E’ stato un grandissimo successo in una specie di Masters Series vecchio stampo, quelli con la finale al meglio dei cinque, meno remunerativo dal punto di vista della classifica rispetto ad un Atp 1000 (assurdo) ma certamente più significativo come prestigio, perché Indian Wells si gioca ogni anno mentre per il prossimo torneo olimpico bisognerà aspettare il 2016. E non sarà a Wimbledon.
Analizzare la finale sarebbe un po’ come fare la cronaca dettagliata del massacro di Fort Apache: inutilmente crudele. Praticamente non c’è stata, Federer è stato spazzato via rimediando soltanto sette games, con un 6-2 6-1 6-4 che suona palesemente irreale anche al più accanito sostenitore dello scozzese (o detrattore dello svizzero). Un punteggio figlio di tre circostanze: un Murray in versione deluxe, un Federer “out of fuel” dopo la leggendaria semifinale con Del Potro conclusasi 19-17 al terzo e, infine, un andamento nei punti importanti a senso unico, con l’elvetico capace di sprecare 9 palle break su 9. Risultato: l’illusione di equilibrio è durata giusto quattro games, il tempo di vedere King Roger tenere un paio di servizi e farsi annullare due palle break. Poi il vuoto, con nove games di fila di Murray nel tripudio del pubblico di casa. Un verdetto talmente netto da consentire allo stesso Federer di prenderla con filosofia: ieri c’era poco da fare e lui, questo mese, ha già fatto tanto. Forse pure troppo.
Come detto, la finale del terzo posto ha visto prevalere Juan Martin del Potro su Novak Djokovic e anche qui non ce ne vogliano i tifosi del serbo se diciamo che l’argentino, per quello che ha passato, se la merita. Avrebbe meritato anche la finale, a dirla tutta, mentre sicuramente non sarebbe stato giusto un ritorno a casa a mani vuote. Djokovic si conferma in versione “pre-2011”, prende qualche altro punticino di distanza da Federer e, almeno fino a settembre, di tornare in vetta non se ne parlerà.
A proposito di medaglie, tanto di cappello ai Bryan Bros che aggiungono al loro carniere l’alloro che gli mancava, vincendo il torneo di doppio dopo il bronzo del 2008 a Pechino. A cadere sotto i colpi dei gemelli americani sono stati Llodra e Tsonga, anche loro reduci da un’estenuante semifinale vinta 18-16 al terzo contro Ferrer e Lopez. Bronzo a Benneteau e Gasquet.
Poca gloria per gli italiani: Bracciali e Vinci sono andati abbastanza vicini alle semifinali del doppio misto, avendo vinto il primo set nei quarti contro Kas e Lisicki, ma han finito col cedere al terzo. I tedeschi han poi preso la medaglia di legno, sconfitti da Lisa Raymond e Mike Bryan, mentre l’oro è andato a Max Mirnyi e Viktoria Azarenka, e anche qui ci si consente di essere contenti per la bestia di Minsk, gigante dal tennis d’altri tempi che porta a casa una medaglia d’oro con grande dispiace degli sconfitti Robson e Murray.
Coraggio, Andy: in fondo qualcosina l’hai vinto…
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