di Roberto Commentucci
Monique Evers è una gradevole signora bionda, con due occhi celesti dolci e intelligenti, e dai modi pacati e rassicuranti. Viene da Rayol, un piccolo paese della Provenza, non lontano da Tolone. Sua figlia Vinciane, di cognome Remy, è una ragazzina altrettanto gradevole: educata, serena, sempre composta. E gioca un bellissimo tennis classico: diritto con presa eastern, servizio molto ben costruito, rovescio ad una mano, tocchi, variazioni, back affilati e pregevoli volée. Insomma, un gioco già molto completo e una tecnica impeccabile, secondo la migliore tradizione transalpina. La sua avventura nel Tennis Europe under 14 al CT Parioli è finita in semifinale, dove le ambizioni della piccola provenzale si sono bruscamente infrante contro il pesante topspin mancino della svizzera Jill Teichmann, che ad ogni scambio la costringeva a uscire quasi dal campo per giocare il rovescio. Inevitabile la sconfitta, un netto 63 61. A fine match la piccola francesina era piuttosto sconsolata, ma mamma Monique non ha davvero fatto drammi: un luminoso sorriso, un grande abbraccio, qualche battuta, e la partita era già alle spalle. E anche prima, durante il match, l’atteggiamento della signora Monique era perfetto: sempre positiva e sorridente, sosteneva la figlia, incitandola a sottrarsi al palleggio della sua avversaria, anche a costo di provare soluzioni rischiose (spesso la Remy era costretta a cercare il vincente anticipando il rovescio a una mano contro il pesante topspin mancino) senza mai abbattersi e senza mai far pesare alla ragazzina gli inevitabili errori.
Molto favorevolmente impressionato da tanto garbo, mi sono avvicinato e presentato, e la conversazione post-match con la signora Monique è stata davvero degna di nota, e meritevole di essere riferita.
La Remy, dicembre 97, è la numero 4 di Francia della sua classe di età. Ha iniziato a giocare a 4 anni, in un piccolo club vicino casa. Il suo primo maestro (che tuttora la segue, sia pure part time) si chiama Jean Luc Cotard, e attualmente ricopre la carica di tecnico federale per la regione della Cote d’Azur. La Federazione francese seleziona per ogni anno di nascita due giocatrici, che vengono ospitate presso i centri tecnici di Nizza e Poitiers completamente a spese della federazione, che paga anche tutte le trasferte come Equipe de France. Ma Vinciane, non essendo fra le prime 2, non è convocata al Centro di Nizza, sebbene esso sia diretto dal suo maestro storico.
La domanda è sorta spontanea: “Ma la Federazione, non vi aiuta in qualche modo?”
“Si, certo, abbiamo dei contributi dalla Federazione centrale e altri contributi dalla Ligue de Tennis della Cote d’Azur (una sorta di Comitato Regionale, ndr.); in tutto, gli aiuti federali coprono circa il 15% delle spese, che sono tante perché Vinciane frequenta una scuola per corrispondenza: dobbiamo pagare un insegnante privato che viene al circolo per darle le lezioni, e poi oltre al coach ci sono le spese per il preparatore atletico. Ci appoggiamo a Frederic Decau, a Nizza, lo stesso preparatore di Alizè Cornet. E’ dura, ma siamo positivi. In doppio Vinciane è la numero 1 di Francia fra le ‘97, e spero che in futuro, con la crescita fisica, il suo gioco a tutto campo possa darle qualche chance di arrivare tra i pro.”
A questo punto non posso fare a meno di complimentarmi per la compostezza e la tranquillità con cui segue la figlia, e le domando se ha frequentato corsi di coaching o simili. Monique sorride, visibilmente compiaciuta. Apre la borsetta e mi mostra le sue letture da viaggio: si tratta di due manuali scritti dallo psicopedagogo Antoni Girod. Prendo nota con scrupolo: il primo si intitola “La preparation méntale”, il secondo “Communication and pedagogie: la PNL pour un coaching efficace”. Mi mostra un capitolo in cui si parla dell’identità dell’atleta. Un concetto in fondo banale, ma complesso da far interiorizzare: che tu vinca o perda, tu resti sempre tu, non cambi. La tua vita non dipende da una sola partita. Quindi non c’è motivo di farsi prendere dal panico…
Mentre saluto la signora Monique, mi tornano in in mente le tante scene tristi a cui ho assistito, in tanti tornei: le mamme e i papà di tanti ragazzini e ragazzine italiane, che mentre assistono alle partite dei propri figli, nel colmo della lotta, continuano ad urlare “andiamo!” e “bravo! così, non sbagliare!” ad ogni errore commesso dall’avversario. Mentre i nostri ragazzni, ormai paralizzati dalla tensione, smettono totalmente di creare gioco e si mettono lì, ad alzare e basta, a difendere e basta, pur di portare a casa il match, nel terrore di perderlo, nel terrore di dare una delusione a mamma e a papà…
E il paragone fra l’approccio di Monique e quello che vedo troppo spesso sui nostri campi, ragazzi, è davvero impietoso: lei studia, si documenta, lavora sul suo atteggiamento e mira a creare una tennista completa e una donna serena; noi vediamo solo la coppetta da vincere, lì davanti, e inconsapevolmente sacrifichiamo a quella insignificante coppetta il necessario lavoro di sviluppo tecnico e mentale, che invece dovrebbe costituire, a queste età, il vero obiettivo irrinunciabile.
Stefano Grazia ha ragione: ci sono Federazioni e Federazioni. Ma anche genitori e genitori.
E anche Silvano Papi ha ragione. Il suo articolo su questo blog si intitolava “Dalla sofferenza, la conoscenza”.
Bisogna studiare, ragazzi.
Perché forse noi, in Italia, vinciamo meno degli altri nel tennis per un motivo in fondo semplice, quasi banale: perché in molti casi il nostro tasso di scolarizzazione, la nostra cultura sportiva, il nostro capitale umano, sono di qualità inferiore a quello degli altri paesi nostri vicini.
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