di Andrea Villa
Quando l’ultimo giocatore abbandona il circolo, la tristezza prende il posto della gioia per avere contribuito ad organizzare uno dei tornei junior più prestigiosi al mondo. Come ad un concerto rock appena concluso, parte quasi immediatamente l’opera di smontaggio del “palco”, in modo da far tornate tutto alla normalità. L’aria che si è respirata per un’intera settimana svanisce all’improvviso, soffiata via dalla consuetudine, da volti conosciuti, da uno scenario desideroso di riappropriarsi di sé stesso.
Ho sempre considerato il Torneo Avvenire come un importante aggiornamento professionale, un momento in cui osservare con grande interesse culture e comportamenti diversi, come cambiano nel tempo dentro e fuori da campo. Tuttavia gli aspetti puramente tecnici colpiscono la mia attenzione in maniera meno forte, privilegiando il contatto umano, per tentare di conoscere la storia personale di giocatori, coach e famiglie.
La fredda cronaca dice che per il secondo anno consecutivo il singolare maschile è stato vinto da un ragazzo italiano, Andrea Pellegrino; in finale ha battuto in due set il tenace argentino Franco Capalbo, che in semifinale aveva eliminato forse il giocatore più interessante del torneo, l’americano di origine norvegese Henrik Wiersholm. La gara femminile è stata invece conquistata dalla russa Sofya Zhuk, nata l’1 dicembre 1999, che ha sconfitto la simpatica tedesca Anna Gabric, di genitori provenienti dalla Croazia, con il punteggio di 75 76.
Quasi metà dei tabelloni di singolare era composti da giocatori italiani, un dato su cui sarebbe opportuno fare una riflessione, soprattutto rispetto a qualche decennio fa, dove erano presenti in numero nettamente inferiore. Questo non significa un conseguente abbassamento della qualità della manifestazione, per altro buona, ma un punto da tenere presente in vista dall’edizione del 2014, la numero 50.
Pellegrino ha meritato il successo, giocando con ottima continuità, e facendo anche vedere spesso un tennis più vario rispetto alla maggior parte dei suoi coetanei. Ragazzo umile e disponibile, era visibilmente teso ed emozionato prima della finale, forse non ancora avvezzo a partite così importanti. In semifinale ha superato lo spagnolo Alvaro Lopez San Martin, che visto giocare in settimana sembrava favorito, ed invece dopo un primo set molto lottato, ha perso il secondo senza vincere nemmeno un game.
Lo spagnolo al terzo turno aveva sconfitto facilmente Gian Marco Moroni, un risultato che non deve sorprendere, viste le qualità dell’iberico. Nessun italiano, oltre Pellegrino, ha raggiunto i quarti, per un bilancio maschile non troppo positivo. Ottimo il comportamento dei quattro ragazzi Usa, con Jake Devine capace di raggiungere i quarti partendo dalle qualificazioni, e Nathan Ponwith abile nello sconfiggere al primo turno la testa di serie numero uno, Daniel Orlita.
Henrik Wiersholm è senza dubbio un giocatore notevole, vincitore tra l’altro a Montecatini la settimana precedente; quando colpisce sembra pervaso da una scossa elettrica, con una capacità di anticipazione già di ottimo livello. Conversando un po’ con lui dopo la semifinale persa con Capalbo, mi ha confessato di essere molto stanco, deluso per non aver vinto un match da favorito, visto il successo sull’argentino proprio a Montecatini.
Anna Gabric pensava invece di perdere al secondo turno, sorpresa quindi di essere arrivata in finale, dove non ha giocato il suo miglior tennis. Tedesca di origine croata, si allena vicino a Zurigo, e cosa abbastanza curiosa gioca con gli occhiali, non potendo mettere ancora le lenti a contatto a causa di una eccessiva lacrimazione.
Ho seguito con attenzione il suo match con Bianca Turati nei quarti, partita equilibrata solo nel secondo set, finito al tie break. L’italiana ha un rovescio ad una mano di livello assoluto, ma contro la tedesca è stata troppo remissiva, distante dalla linea di fondo e quasi sempre in difesa. Anna Gabric gioca in continua pressione, nonostante una tecnica all’apparenza poco ortodossa; parlando con lei durante la premiazione, era insoddisfatta della sua prestazione in finale, consapevole di dover migliorare in fase difensiva, e nel servizio, di cui talvolta perde il ritmo.
Sofya Zhuk è molto giovane, non ha ancora compiuto 14 anni, e fisicamente è quasi una bambina. Sarà interessante vederla quando avrà completato lo sviluppo fisico, per ora è molto rapida e dotata di un gran tempo, e per tutta la settimana ha combattuto con ragazze di maggiore prestanza: se il tennis fosse come la boxe, avrebbe potuto gareggiare con pochissime altre.
Verena Hofer ha perso in semifinale proprio dalla Zhuk, pur essendo la prima testa di serie; l’italiana non ha brillato particolarmente durante l’Avvenire, all’apparenza un po’ stanca e con qualche piccolo problema fisico. Mi ha confessato che ad Ortisei, dove vive e si allena, fino a tre settimane fa nevicava ancora, e non era possibile giocare all’aperto perché i campi non erano stati preparati. Questa sua precisazione mi ha fatto capire che prima di giudicare un atleta, soprattutto giovane, sarebbe sempre meglio conoscere il suo quotidiano, la sua vita, la sua storia di uomo o donna.
Ecco perché ho trascorso otto giorni cercando di sapere come vivono questi ragazzi, cosa pensano, e cosa si aspettano dalla attività tennistica che così tanto li tiene occupati. Un’occasione d’oro da sfruttare ogni anno, per rendere più ricco il mio bagaglio, non soltanto di insegnante. Non è stato un caso se chi ha inventato l’Avvenire gli ha dato quel nome, perché gli unici che possono costruire il futuro sono solamente i giovani: guardarli edizione dopo edizione riesce almeno per una settimana a farmi sentire un po’ meno vecchio.
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