Secondo Puntata della rubrica Tennis, Genitori e Figli dedicata al rapporto tra genitore e coach. Queste le nuove testimonianze di addetti ai lavori raccolte da Spazio Tennis. Vi prego di inserire commenti inerenti all’argomento e soprattutto di usare il buon senso e di contare fino a 5 (non dico sino a 10!) prima di pubblicare la vostra idea. Grazie e buona lettura a tutti (belli e brutti!)
di Alessandro Nizegorodcew
Giorgio Di Palermo: “I genitori hanno l’importantissimo ruolo di iniziare i bambini al tennis, ma devono avere l’intelligenza e la pazienza di mettersi da parte, e lasciare che il tennis insegni ai bambini la cosa più bella, che è di crescere sani con uno splendido gioco, che è anche una grande scuola di vita. Devono sapere che il ragazzo dovrà solamente divertirsi con il gioco del tennis, ed imparare la legge dello sport. Sarà il maestro a stabilire se l’impegno da profondere debba essere maggiore, se il ragazzo avrà grandi qualità fisiche e tecniche. Qualsiasi interferenza o ingerenza che non sia un regolare interessamento alle faccende del proprio figlio è a mio avviso pericolosa e per niente produttiva. Per un genitore, lamentarsi del lavoro di un maestro è come lamentarsi del lavoro di un professore di liceo: inutile. Il lavoro del genitore servirà a far giocare tranquillo il ragazzo e a lavorare con lui la bellezza dello sport.”
Piero Pardini (autore del libro “Il Cantastorie Instancabile”): “Caro Alessandro, ho una figlia, oggi quattordicenne, che per 5 anni ha fatto la SAT nel circolo che frequento a Pistoia. Non ho mai avuto problemi con il suo maestro, forse perchè lasciavo a lui il compito di formarla tennisticamente e lui di lasciare a me ed a mia moglie il compito di educare. Personalmente la mia è stata, mia figlia ha deciso di smettere ed iniziare altri sport, un’esperienza positiva poiché ciascuno ha rispettato il ruolo degli altri. Credo che ci si possa e ci si debba confrontare, rispettando comunque ciascuno il proprio ruolo. Ripeto la mia è stata un’esperienza limitata, ma significativa. Chiara adora il tennis ed ha un ottimo ricordo del suo maetro che rivede e qualche volta ci gioca con grande divertimento.”
Elis Calegari (Direttore 0-15): “Dunque, inutile dire che il problema che sta alla base del rapporto tra tecnico e famiglia è piuttosto complesso: si innescano spesso varie e difficili dinamiche di relazione. Di sicuro il mestiere del genitore è il più difficile al mondo: nessuno te lo insegna, finisci col navigare sempre “a vista” ed è davvero complicato sfuggire al sovrapporsi di oggettività e soggettività. Tant’è che, per troppo amore, a volte si finisce per scambiare l’una con l’altra. Venendo al quesito posto, credo che la strada migliore sia quella, dopo aver valutato con un’approfondita indagine preventiva quale possa essere – per capacità tecniche, qualità umane e morali, conoscenze pedagogiche… – il professionista che deve lavorare col nostro pargolo, lasciare campo libero al tecnico, senza interferenze ed invasioni. Da parte di papà e mamma occorre sapere resistere alle tentazioni e chi ti blandisce; non bisogna avere fretta nel veder realizzato e concretizzato “il progetto“: ci vogliono calma, fiducia e pazienza. Spesso, e il tennis italiano ne è purtroppo pieno di esempi simili, molti ragazzi si sono persi perché sono finiti in un groviglio inestricabile di cambiamenti dettati dall’umoralità: grosso guaio quando i genitori si convincono di poter essere, senza conoscenze di campo specifiche, “i medici di se stessi“. Probabilmente il mio pensiero è fortemente condizionato dagli esempi a me più vicini: ho avuto la fortuna di vivere, per quasi sei anni, giorno dopo giorno, accanto a Riccardo Piatti e ai suoi “boys”, Caratti, Furlan, Mordegan e Brandi. Riccardo si è posto nei loro confronti come mentore, tecnico ed educatore; le famiglie, di estrazione assai disomogenea, mai hanno invaso il terreno di Piatti, affidandosi, anche quando i ragazzi erano fuoriusciti dai ranghi della FIT, “in toto” alle capacità del tecnico di Como: che sia anche per questo che tre su quattro hanno vestito l’azzurro in Davis, due su quattro hanno centrato i Quarti in uno Slam e tutti e quattro sono grandi uomini e persone vere? Si dirà: “Be’, però Piatti è Piatti“… Questo è incofutabilmente vero, com’è verò che proprio Riccardo, Alberto Castellani e Pistolesi, tra i nostri migliori coach, hanno spesso preferito allenare giocatori stranieri: questo non dà da pensare? Credo che alcuni dei problemi legati alla scarsa prolificità di campioni nel nostro tennis negli ultimi decenni nascano dal contesto in cui si ritrovano poi a crescere troppi dei nostri ragazzi. Il contesto, il substrato, è il grande problema della società italiana attuale, dove si assiste da tempo ad una sempre più marcata sfiducia nel rispetto dei ruoli, dove la confusione dei ruoli stessi è sempre più lampante. E così agendo non si può che produrre disastri. Le macerie sono sotto gli occhi di tutti ma troppi si ostinano ancora a non voler vedere. Citare esempi come quello di papà Williams per indicare una strada perseguibile da chiunque (senza comprenderne l’unicità e l’estemporaneità…) può far dimenticare che purtroppo abbiamo avuto nel tennis anche gente come papà Pierce, Dokic e tanti altri, gente che per troppo amore ha finito col soffocare fino a sopprimere i propri figli.”
Fabrizio Falciani: “Diciamo che si dovrebbe distinguere un po’ tra genitore di un giocatore e genitore di un bambino o ragazzo che fa la scuola tennis. Nel primo caso giocatore (principale protagonista) allenatore e genitore fanno parte (insieme ad altre figure come anche il prep atletico) di un unica squadra con lo steeso scopo: la crescita del protagonista; la ricetta giusta non c’è ma di sicuro il dialogo e le frequenti “riunioni” sono fondamentali. I genitori non sono i nemici, ma vanno quando è necessario educati e informati delle scelte che si fanno. L’importante è che al giocatore arrivi un’unica comunicazione finale concorde a tutti i componenti della squadra.Il coach non deve fare l’errore di parlar male del genitore (anche se sa che lo stesso sbaglia) e il genitore deve fare altrettanto. Quando c’è disaccordo se ne parla ma alla fine la decisione per quanto riguarda gli aspetti tecnici spetta al coach e il genitore la deve rispettare facendo capire al giocatore che è d’accordo con il coach. Quando non c’è piu fiducia semplicemente si interrompe il rapporto. E’ inutile proseguire in disaccordo, il coach accetta (o incassa) e si prosegue. La cosa brutta comunque è che ci sono parecchi allenatori (o presunti tali) che con la scusa dei genitori che “pressano” tralasciano il lavoro con il proprio pupillo, tanto non arriverà mai perché il padre o la madre lo pressano; cari colleghi passate piu ore in campo perche i doppi falli o le palle facili sbagliate sono 50% per il genitore rompip…. 50% per il poco allenamento quindi percorriamo tutte e due le strade sia quella della psicologia (e quindi genitori e quant’altro) sia quella del buon vecchio e caro allenamento. Un abbraccio è sempre un piacere grande.”
Mauricio Rosciano: “Io credo che il problema fondamentale è da una parte (quella dei genitori) la fiducia. Mi sembra davvero che manchi, e che si sia troppo portati a cambiare nella speranza che il prossimo sia migliore, mentre invece la conoscenza dell’allievo è uno degli elementi fondamentali per tirare fuori il meglio dal rapporto. Per quanto riguarda il coach, mi sembra che quello che manca, generalmente, è la preparazione intesa non come tecnica tennistica (non posso entrare nel merito) ma come conoscenza dei meccanismi che girano intorno a questa disciplina (da quelli psicologici, a quelli della preparazione fisica, ma anche e sopratutto a quelli legati alla programmazione). Siamo sicuri poi che i coach siano sufficientemente umili per mettersi in discussione? Sono così lungimiranti da confrontarsi con i colleghi? Dal mio punto di vista, non è matematico che un giovane promettente allenato da un coach che ha ottenuto risultati con un giocatore, debba ottenere buoni risultati. La forza la fa l’alchimia, la fiducia, la costanza, il coraggio, l’umiltà e la modestia. Purtroppo alcune di queste cose sono mancanti nel dna classico dei figli di questa Italia. Troppo benessere non aiuta. Siamo sicuri che l’avere un torneo dopo l’altro sia una cosa buona? La sconfitta aiuta a crescere ma se è subito diluita da un’altra sfida perde il suo significato.. Troppe wild cards, troppi sponsor, troppe vetrine non aiutano. La strada del tennis è lunga, e le distrazioni sono tante. Emerge solo chi è capace di guardarsi dentro e tirare fuori il 110% di se stesso.”
Marco Mazzoni (Giornalista 0-15): “Non è facile scrivere in quattro parole un commento su di un rapporto così delicato. Il maestro è “l’addetto” alla crescita tecnico-tennistca del ragazzo/a; il genitore dovrebbe pensare alla crescita umana del ragazzo/a. Quando si passa ad invadere i campi nascono spesso problemi…. Questo è quello che generalmente si pensa.
Errato! Io parlo ogni settimana con molti maestri, seguendo il circuito giovanile Nike, e si sente di tutto e di più. Dopo qualche anno di esperienza “sul campo”, mi sono fatto una convinzione: quando si parla di crescita di un giovane, la separazione degli ambiti è un errore di partenza. Grave. Prima di creare un tennista, va sempre ricordato che siamo davanti a giovani, persone ancora acerbe da formare. Quindi il focus principale deve essere la persona, e non l’atleta. Non dritti e rovesci, recuperi e concentrazione, ma il ragazzo/a che ha bisogno di una guida, e di un ambiente intorno sereno, propositivo, se possibile unito senza pressioni eccessive. Meno contraddizioni il giovane vivrà, più sereno crescerà, con meno stress, meno confltti.
Inoltre per “creare” (brutta parola, diciamo formare) un giovane, è importantissimo avere queste basi:
1) sapere dove si vuol arrivare, ossia avere obiettivi molto chiari in partenza. Questo è un presuposto fondamentale. Non ha senso impostare un lavoro su di un giovane da parte di un maestro quando quel lavoro ha un obiettivo che vuole il genitore e non il ragazzo, o viceversa, oppure che è solo una mira-speranza del maestro che intravede un potenziale che il ragazzo ha, ma che in realtà dentro non sente e non persegue;
2) sapere che questi obiettivi devono essere condivisi da maestro, giovane e famiglia. Solo con la condivisione del progetto sportivo, dei metodi, dell’impegno, si potrà ottenere qualcosa di positivo. Il ragazzo tenderà ad emulare, forse colui che sente più vicino, o più forte. Senza una comunità di intenti, di scopi, della strada da percorrere, non si va da nessuna parte, possono nascere solo conflitti e incomprensioni. Quindi è fondamentale non solo che il maestro faccia il maestro, e quindi che il genitore non si intrometta in questioni tecniche; ma a sua volta il maestro deve spiegare al genitore la strada che intende prendere, e sia il genitore che il ragazzo la devono condividere pienamente, altrimenti non c’è alcuna possibilità di arrivare da nessuna parte. Il maestro non deve proiettare sul giovane eccessive pressioni da sue proprie aspettative quando queste non sono condivise dal ragazzo/a e dai genitori.
E’ un concetto forse elementare, ma non è per niente scontato, anzi, succede quasi sempre qualcosa che guasta l’ambiente e che non permette di portare avanti serenamente un lavoro su di un giovane. E questo perché non c’è voglia-tempo di mettersi tutti insieme ad analizzare prospettive, metodi e condividerle. Il tennis è diventato uno sport molto complicato, e solo se supportati da un piccolo team (famiglia e maestro, magari circolo) un giovane ha reali prospettive, se dentro di se ha un buon talento fisico e tecnico. Altro errore comune: non escludere i giovani da queste discussioni maestro-genitore. Non ci sono segreti ma anzi il parlare bene e chiaro al ragazzo finirà ancor più per responsabilizzarlo e fargli capire che se si vuol arrivare da qualche parte è indipesanbile la sua parte! e se lui/lei non se la sente, tutto ok, nessun dramma, si continuerà al limite sulla strada del giocatore amatoriale, che imparerà uno sport bellissimo con cui potrà crescere umanamente, divertirsi e stare in salute per tutta la vita. Quindi parlare di rapporto genitore – maestro è molto riduttivo, e forse tanti problemi del ns tennis oggi deriva proprio da come è affrontato male questo rapporto.”
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