di Giorgia Giambenedetti
Socio-novela: dal lunedì al sabato ogni giorno live dal campo 3
„Tié, beccati questa!“, urla il signor Rossi mentre il suo corpo è concentrato nell’arduo tentativo di mantenere l’instabile e assai precario equilibrio post-servizio. “Hai visto che comodino? Questa era un ace sicuro, Albe’!”.
Alberto Bianchi intanto è seduto sulla panchina, intento ad allacciarsi le sue Superga da gioco. “Sei caldo ora?”, chiede al suo amico mentre si stringe i nodi. “Io sí, e tu? Non li provi un paio di servizi prima di cominciare a perdere con me?”
“Ma che li provo a fa’!”, risponde il signor Bianchi andando a raccogliere le palline. “Col braccio che mi ritrovo sono sempre caldo, che ti credi?”
Rossi e Bianchi (o Bianchi e Rossi che dir si voglia) a quell’ora, le 15.00 del pomeriggio, da anni sono sempre lí sul campo 3, sei giorni alla settimana. Non è la pioggia, né il vento, né il sole cocente a fermarli. E tantomeno gli impegni di lavoro. L’unico ad avere il potere di non farli scendere in campo è il Santissimo Campionato di Serie A. La domenica infatti i loro amichevoli discussioni vengono sottoposti ad una variazione di luogo. Dal campo 3 si spostano nella hall del circolo, davanti al televisore. Laziale il signor Bianchi e grande adoratore del Pupone il signor Rossi, ai due non è mai permesso di passare un pomeriggio tranquillo, senza discussiocine. Discussioncine che, dal lunedì al sabato, iniziano fin dal primo punto del match.
“E tu volevi battermi? Guarda che t’ho tirato!”, grida il signor Bianchi dopo una risposta stranamente tesa. “Ma se era fuori di chilometri?”. Così comincia il primo battibecco. Mancando a entrambi qualche decimo di vista, queste discussioni sono all’ordine del giorno. E chissà se non lo sarebbero anche se entrambi godessero 11/10.
“Se da piccolo avessi avuto la possibilità di allenarmi, con questo mio talento sai dove sarei arrivato?”, intona l’uno, dopo una smorzata telefonata e rimbalzata a metà campo, ma che, complice l’avanzata e avanzante artrosi dell’amico, si è rivelata imprendibile.
Dove sarebbe arrivato? Sarebbe arrivato dove sarebbero arrivati tutti coloro che non hanno mai provato ad arrivare. Tutti talenti sprecati. Tutti potenziali numeri uno del mondo. Se avessero avuto la possibilità di allenarsi tutti loro, avremmo avuto per anni un’anomala classifica mondiale. Una classifica mondiale composta esclusivamente da numeri uno.
Poi c’è anche un’intera classe di giovani promesse che, per timidezza, nessuno conosce. Una di queste è il nipote del signor Bianchi. “Vedessi come gioca bene il mio Giovanni!”, si vanta con gli altri soci. “Si vede proprio che ha preso tutto dallo zio; ha la mia stessa mano.” Ecco! Con quest’ultima frase, anche i più creduloni e meno assidui frequentatori di circoli smettono di credere nel mostruoso talento di Giovannino. Che si trattasse dell’unica promessa del tennis non classificata, ancora sarebbe potuto risultare credibile. Ma che sia così promettente grazie al talento dello zio no, questo no! Caro signor Bianchi, con questo ti sei giocato la tua credibilità!
“Ma perché non hai mai visto giocare la mia Sara!”, si sente rispondere dal campo accanto e questa risposta segna l’inizio del tipo di competizione preferita tra gli over 55: la gara a chi ha il figlio/nipote migliore. “È la nuova Sharapova!”. No, il Signor Casale parte proprio sconfitto in partenza. Alla Sharapova sua figlia proprio non può somigliare. Non perché non tiri forte e teso, e nemmeno perché non strilla e fa grintosi pugnetti. Nessuno l’ha mai vista giocare, quindi nessuno può mettere in dubbio le sue capacità. Ma…una ragazza mora, di carnagione abbronzata non può proprio essere paragonata alla Sharapova, non può risultare credibile!
Partono così, dal campo e da fuori, pittoresche descrizioni di un’intera generazione di bambini e adolescenti che, per loro fortuna, ignari di tutto ciò, sono assenti. Si trovano a casa, davanti allo schermo delle televisione. A giocare a tennis alla Wii.
Un ultimo punto, l’ennesimo dritto tirato piano e fuori (ovviamente per colpa delle corde lente del signor Bianchi). “3-2 per te, si cambia campo.”, avverte Alberto Bianchi. Entrambi i soci si avvicinano alla panchina a prendere l’acqua per sorseggiarne un po’. Rigorosamente in piedi, per mostrare e dimostrare che loro no, non sono stanchi dopo appena 5 games e soprattutto non sono vecchi. “Certo che questa è sicuramente l’estate più calda che ci sia mai stata!” Anche le goccioline di sudore vanno giustificate in qualche per evitare che vengano interpretate come segni di stanchezza. Perché la stanchezza, per il signor Bianchi ed il signor Rossi si manifesta in queste piccole cose, non negli spostamenti lenti, nei mancati recuperi di palle corte. Quella è l’artrosi e in quanto tale va taciuta ed ignorata, trattandosi di un tasto dolente per loro e per tutti i loro coetanei.
“L’hai visto ieri il match di Roddick? Ha sbagliato completamente tattica.”, sostiene uno dei due. “Poi, fossi io il suo allenatore, gli cambierei immediatamente qualcosa nel rovescio.” Già, perché oltre a lavorare in banca la mattina e ad essere un mancato asso del tennis, nonché zio di un enfant prodige, il signor Bianchi è anche l’allenatore migliore e più esperto del mondo. Ma, causa assenza di tempo ed impegni più importanti, i tennisti saranno per sempre condannati a fare a meno dei suoi preziosi consigli. Che grave mancanza per il tennis mondiale!
“No, ieri non l’ho potuto vedere perché ero al circolo ad assistere agli allenamenti di mio figlio. Il maestro non riesce a tirare fuori il potenziale di Lollo, quindi mi tocca intervenire. Pensa che ho dovuto insistere affinché lo facessero allenare tutti i giorni 4 ore al giorno. Come se non sapessero che i veri campioni si allenano tanto. ‘È troppo piccolo’, sostengono. Ma bisogna cominciare da subito, eh! La Hingis a 14 anni già era là su!”
I maestri. I maestri sono quella categoria di uomini che, non avendo un lavoro serio, fanno ciò che gli altri, pur avendone il potenziale, non hanno tempo di fare. E spesso lo fanno anche peggio. I maestri sono coloro a cui addossare la colpa per ogni sconfitta. I meriti no, quelli sono dei genitori che fanno tanti sacrifici per permettere ai loro figli di allenarsi e fare tornei. E tutt’al più possono essere attribuiti, in parte, anche ai ragazzi. Ma solo se hanno ereditato le loro qualità dai genitori.
Il gioco riprende. 3 pari. 4-3. 4 pari. 5-4.
“Sai, sabato mi sono comprato una racchetta nuova. Ho preso l’ultima di Federer. È tutta un’altra cosa ora. Soprattutto con le corde ibride che ci monto io. Pensa, me le faccio mandare apposta dall’Austria, perché qui non le vendono. Infatti hai visto come mi viaggia bene la palla?” Sì, è vero. Oggi al signor Rossi la palla viaggia diversamente. Consapevole di aver cambiato racchetta, si lascia andare in un gioco più teso e più veloce. La caccia al piccione è stata sostituita con la caccia agli animali di terra. La palla viaggia forte…e va fuori! Ma questo non è un problema. Tra una settimana si dimenticherà del cambio di racchetta e ricomincerà a giocare a palombella come ha sempre fatto. In fondo si sa, questa trasformazione gli avviene ogni anno per la prima settimana dopo l’acquisto di una nuova racchetta. Poi tutto torna come prima. L’unica eccezione è stata quando la moda imponeva l’acquisto della racchetta di Nadal. Allora il gioco era rimasto lo stesso, ma il signor Rossi, con la sua impugnatura rigorosamente a martello, sosteneva che la palla girasse di più e fosse più pesante. E il signor Bianchi, da bravo amico, glielo lasciava credere. Glielo lasciava credere così come il signor Rossi gli lasciava credere che le sue smorzate fossero illeggibili e che i suoi colpi fossero potentissimi. In fondo, attribuire meriti all’avversario a volte serve anche a ingigantire le qualità di chi è in grado di giocarci alla pari. E a furia di far credere qualcosa agli altri, si finisce sempre per autoconvincersene.
“Guarda che punto che ti ho fatto! Hai visto che dritto? Te l’ho proprio disegnato il segno sull’incrocio delle righe, eh?”, esulta Bianchi dopo aver giocato un dritto vincente nei paragi dell’incrocio. “Bello, sì. Molto bravo! Anche se…il mio dritto di prima era più bello, lo devi ammettere.”
“Quale, quello sul 15 pari? Ma se hai preso il net? Era solo fortuna, amico!”
“Ma che fortuna e fortuna! Io ci ho mirato, che ti credi?”
“Ma fammi il piacere, va…”
E già, il mondo è pieno di gente che mira i punti più improbabili del campo. E la mira è sempre precisissima. Ancora più precisa è quando poi, al posto di impattare con le corde, la palla viene steccata. Guai a parlare di culo! Il culo è un tabù! Bisogna sempre usare il suo sinonimo, ossia “volontà e grande mira supportate da un invidiabile braccio”.
E se invece la palla va fuori?
“Out!”, urla il signor Bianchi, vedendo che la palla, dopo aver toccato il nastro, rimbalza nel corridoio. “Mannaggia a questo maledetto nastro, oh! Che sfiga! Mai una volta che sta dalla mia parte.”, borbotta il compagno.
Questi nastri imparziali sono proprio odiosi, vero! Hanno imparato dal vento: danno sempre fastidio ad uno solo dei due giocatori. Insopportabili.
E se la palla esce, senza che la colpa possa essere scaricata sul vento, sul nastro, sull’ape che svolazza nella propria metà campo o sul bambino che continua a far rumore nel giardino retrostante? “Ahia, che mal di schiena. Mi impedisce proprio di giocare bene…” Mai sottovalutare l’utilità di un improvviso dolore. Ha il potere di liberarti dalla vergogna dei più indecenti errori!
“Avete questo campo?”, chiede a questo punto il signor Rossi ai due soci fermi davanti al cancelletto del campo 3. Sono le 16 ormai. “Finiamo il game e ce ne andiamo!”
Finito il game, tra una chiacchiera e l’altra radunano la propria roba. “Oggi ho giocato proprio male. Non sono riuscito ad esprimermi al meglio!”, si giustifica lo sconfitto. “A chi lo dici. Bisogna avere la mente libera per giocare a tennis e io con il mio lavoro non ce l’ho. Sto tutto il tempo a pensare alla pratica che ho lasciato aperta prima di venire. Dovrei smetterla di giocare. Ho troppo da fare, mille pensieri più seri per la testa!”
“Fai la doccia qui ora?”, chiede il signor Bianchi. “No grazie, devo volare ad accompagnare mio figlio agli allenamenti. Poi se ci riesco mi vedo un po’ di Wimbledon.”
Alla faccia degli impegni di lavoro…
“Ci vediamo domani, stessa ora, okay?”
“Certo, e fatti trovare in forma…”
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