di Salvatore Greco
Reilly Opelka, della interessantissima nidiata di tennisti USTA emersi negli ultimi due anni, è uno dei meno conosciuti in assoluto. Un anno più vecchio di due grandi innamoramenti della stampa specialistica come Kozlov e Tiafoe, non ha il loro stesso appeal e la sua vita apparentemente normalissima ha attratto poco o niente i cacciatori professionisti di storie drammatiche a ogni costo. Eppure questo ragazzo classe 1997, originario di Saint Louis in Michigan, si candida senza se e senza ma a essere uno dei giovani più interessanti del periodo e lo fa a partire dal risultato che oggi lo ha consacrato campione juniores di Wimbledon 2015.
La conquista dei prati non è il primo acuto della carriera giovanile di questo ragazzo del Midwest che anzi lo scorso dicembre aveva conquistato il prestigioso torneo under-18 dell’Eddie Herr a compimento di una settimana impeccabile sui campi in terra verde della Florida e poi su quelli in terra rossa dell’Orange Bowl si era fermato solo in semifinale di fronte al futuro vincitore Stefan Kozlov. Quest’anno ha mosso i primi, faticosi, passi nel circuito professionistico dopo la decisione di saltare il college e di firmare un vero contratto pro’ con la stessa agenzia sportiva che cura gli interessi, tra gli altri, di Sam Querrey e John Isner. A livello juniores ha giocato molto poco esordendo nei fatti solo al Roland Garros poche settimane fa e togliendosi lo sfizio di eliminare agli ottavi il campione del Bonfiglio, e dominatore del circuito sulla terra rossa, Orlando Luz prima di cedere nei quarti di finale al connazionale Michael Mmoh, lo stesso che poi l’ha fermato in semifinale nel torneo preparatorio di Roehampton, la porta di servizio che si spalanca poi sui Championships.
Sull’erba più nobile di tutte Opelka ha iniziato il torneo faticando un po’ contro il sedicenne australiano Alex De Minaur (sconfitto 13-11 al terzo) e poi procedendo in maniera piuttosto lineare seppur mai facile contro Denolly, Watanuki, Blumberg e soprattutto Taylor Fritz prima di giungere alla finale di oggi. Dall’altra parte della rete del nobile campo n.1 dell’All England Club Opelka ha trovato il fratello più piccolo del già noto ai più Elias Ymer, il classe 1998 Mikael, arrivato in finale anche grazie a un tabellone non impossibile che gli ha messo di fronte come solo vero pericolo su questa superficie il finlandese Niklas-Salminen.
La finale tra i due, oltre a rievocare un incrocio USA-Svezia che avrà fatto venire un sobbalzo al cuore dei nostalgici degli anni Ottanta, è stata uno scontro di stili dal sapore quasi scolastico con l’americano che ha messo in mostra un servizio praticamente impeccabile, una confidenza con il gioco di volo piuttosto inusuale per la sua generazione e al contempo fondamentali da fondocampo non sempre all’altezza mentre lo svedese si è mostrato decisamente più solido quando gli scambi si facevano più lunghi, bravo a manovrare, abile e cinico nel tirare passanti ogni qual volta le discese a rete di Opelka glielo permettevano.
Il primo set ha messo in mostra in maniera sfacciata un copione di questo tipo con Opelka che ha tenuto i suoi turni di servizio senza far nemmeno mai avvicinare a palla break Ymer servendo bene e aggredendo il campo ogni volta che poteva dimostrando doti davvero inusuali nel gioco di volo e di controbalzo e Ymer che teneva i suoi causando i (facili) errori dell’avversario costretto a entrare nello scambio. Il parziale si è poi risolto all’inevitabile tie-break, iniziato malissimo da Opelka con un doppio fallo nel primo punto al servizio ma poi recuperato sulla distanza mostrando ancora una volta tocchi di volo non indifferenti.
Il secondo set sembrava destinato a una sorte simile con i molti (troppi) errori da fondocampo da parte dell’americano che in più occasioni lo hanno privato della possibilità di strappare il break a un Ymer solido ma poco propositivo e che non ha mai dato l’impressione di poter davvero fare girare il match fino a quando l’inevitabile break in favore dell’americano è arrivato sul 4 pari e ha portato quindi Opelka a servire per il match e il torneo, con il ragazzo del Michigan che ha retto benissimo la pressione del momento affidandosi al solito, quasi impeccabile, servizio.
Reilly Opelka succede a Noah Rubin mantenendo così nell’albo d’oro del torneo la bandierina americana per il secondo anno di fila, un piccolo traguardo per una nazione tennistica che al maschile –com’è noto- non esprime campioni di altissimo livello da ormai troppo tempo. Certo non è detto che Rubin o Opelka possano assurgere al compito di riportare in alto gli Stati Uniti e prendere i posti che furono di Agassi e Sampras. Di sicuro però guardando Reilly Opelka presentarsi in campo a tirare ace micidiali dall’alto dei suoi due metri abbondanti e con un berrettino bianco in testa non si possono avere dubbi, Long John non lascerà il tennis senza eredi.
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