di Roberto Commentucci
Meglio un uovo oggi che una gallina domani.
Chi si contenta, gode.
Chi troppo velocemente sale, cade sovente,
precipitevolissimevolmente
Chi lascia la strada vecchia per la nuova,
sa quello che lascia, ma non quello che trova
(Proverbi popolari)
In Italia siamo tutti molto fieri della nostra saggezza popolare e contadina, quella delle nostre nonne, alla quale ripensiamo con una vena di rimpianto, magari guardando un vecchio film di Alberto Sordi o di Totò. In realtà, forse proprio in quel retrotrerra, estremamente individualistico, diffidente, orientato al vicino e al concreto, impermeabile a voli pindarici di alcun tipo, affondano le radici della cronica mancanza di cultura civica e, in ultima analisi, sportiva, che affligge il nostro paese. Un cultura e un modo di pensare nei quali concetti come lungimiranza, obiettivi ambiziosi, programmazione di lungo termine, cui ci si dovrebbe costantemente ispirare nella crescita dei giovani atleti, paiono essere del tutto sconosciuti.
Qualche esempio concreto renderà più chiara questa fumosa premessa.
Andrea è un vispo dodicenne campano, figlio di un grossista di pomodori. Ultimo nato da una famiglia di tifosissimi del Napoli, si è avvicinato al tennis per puro caso, seguendo l’esempio dell’amico del cuore Filippo, suo compagno di banco in terza elementare, il cui papà è maestro di tennis. Ma ben presto Andrea è diventato più bravo del suo amico, ed ora è uno dei migliori della sua regione. Gioca da 4 anni, e tutti dicono che ha talento. Buon braccio, piedi veloci, gioco solido, tanta passione e, ciliegina sulla torta, una buonissima mobilità scapolo-omerale, grazie alla quale sa eseguire un servizio kick molto regolare e preciso, difficile da attaccare.
La stagione agonistica volge al termine. Il maestro, che è poi il papà del suo amico Filippo, è un tipo giovane ed entusiasta: pianifica come obiettivo tecnico, da raggiungere entro la fine dell’anno, l’apprendimento e l’uso in partita del servizio piatto e slice. “Devi imparare a pensare al servizio come un colpo con cui fare il punto, devi tirare la prima. Poi, se non entra, pazienza, ti fermi un attimo, e ti concentri sulla seconda.” “Maestro, ma se sulla seconda mi attaccano?” “Non ti preoccupare, tu pensa a spingere la prima e non stare lì a pensare al punteggio”.
Andrea è un 4.3. Siamo a ottobre. Secondo gli obiettivi di classifica fissati ad inizio anno dal coscienzioso maestro, dovrebbe finire la stagione con i punti necessari per passare 4.1. Il papà, sempre molto attento alle classifiche, lo iscrive agli ultimi 2 tornei dell’anno, fiducioso che, come sempre, il figlio ce la farà. Ma qualcosa va storto. Nel primo torneo, Andrea perde al primo turno con un coetaneo 4.4, suscitando la delusione del genitore. “Ma che tenevi? Hai fatto più doppi falli oggi che in tutto l’anno.” “Papà, te l’ho detto. Col maestro stiamo provando a tirare il servizio…Aggia imparà a fa ace…” “Ma che buò tirà tu, che sei alto come a due barattoli di pomodoro? Ma che ti dice questo… Metti la prima into ‘o campo, e giocati lo scambio no?… Mò per passare 4.1 abbiamo solo il prossimo torneo, là devi andà bene per forza”. “ Va buò papà. Stai tranquillo”.
Nei giorni successivi, Andrea in allenamento continua a lavorare sul servizio con il maestro, ma non sembra molto convinto di ciò che fa. Tira un cesto di servizi piatti, sbuffando ogni volta che la palla prende la rete, e poi fa: “Maestro, facciamo nù poco di palleggio?.. Mi fa un poco male la spalla…”. Il maestro non è del tutto convinto, c’è qualcosa che non gli torna.
Decide di accompagnare l’allievo al torneo, per una volta ci rimette un pomeriggio di lavoro. L’avversario è un 4.1. Andrea rapidamente fa due conti: se vince avrà i punti per passare anche lui. Va al servizio. Il papà e il maestro, fuori, sono seduti uno a fianco all’altro. Andrea guarda prima il maestro, poi il papà, e mette una prudente prima palla in kick. Da fondo gioca bene. Vince il game, si carica, fa il break e va a servire avanti 2 a 0. Mette un’altra prima in kick. Il papà è tutto felice. Il maestro, deluso, inizia a scuotere la testa, e lo guarda con un muto rimprovero. Andrea, visto che è in vantaggio di un break e di un 15, prova a tirare la botta piatta. La palla finisce lunga, ma con la coda dell’occhio vede il maestro, che con un cenno del capo lo incoraggia. Tira la seconda, un po’ cortina, e l’altro gli gioca subito una risposta vincente. Il maestro pronto, a bassa voce: “Va bene così, tranquillo”, mentre il papà aggrotta la fronte.
Andrea è sempre più confuso. Decide di tornare ad usare il kick, ma ormai inizia a perdere la concentrazione, e smarrisce il filo del gioco. Il papà prende a gesticolare, e Andrea nota che lui e il maestro stanno discutendo animatamente, nonostante cerchino di mantenere il controllo, e la voce bassa. Il ragazzo è sempre meno concentrato, non riesce più a pensare al match, continua a guardare fuori dal campo. L’avversario prende fiducia, rimonta, e la partita, come tante a questa età, finisce in un amen: 62 60. Andrea nello spogliatoio si sta asciugando i capelli, quando sente le urla del papà e del maestro, che là fuori, adesso, stanno litigando sul serio. Ha un gran peso sullo stomaco e piange, solo, nella penombra dello spogliatoio. A un tratto un pensiero, improvviso, lo rasserena. Forse il tennis non gli piace poi così tanto… “Domani dico a papà che mi porti a Soccavo: voglio joca ò pallone!”
* * *
Francesca è una bella 15enne friulana dall’ottimo fisico. E’ alta, è magra, è bionda. Ha le gambe lunghe e muscolose. Come le sue antenate slave, si muove benissimo e ha tanta forza. Non a caso, è già seconda categoria: serve bene, ha un ottimo diritto e un rovescio bimane piatto e penetrante. Certo, c’è ancora molto da lavorare: il tocco è decisamente ruvido, non sa affrontare le variazioni, ed è molto a disagio nei pressi della rete. Il suo gioco, insomma, è potente, ma anche molto ripetitivo, schematico e prevedibile. Il suo maestro, un tipo molto metodico e sempre aggiornato, sa bene che la ragazza, per crescere ancora, deve completarsi tecnicamente, e sta da tempo lavorando sul rovescio in back, sulla manualità, sul tocco e sulla voleè. Qualche risultato si inizia a vedere, fra un torneo e l’altro, ma il tecnico pensa che l’allieva dovrebbe smettere di fare gare per un po’, e prova a dirlo al presidente del Club, uno dei più prestigiosi di Trieste: “Vorrei che Francesca saltasse le qualificazioni della Coppa a squadre, questo mese. Stiamo facendo un lavoro tecnico particolare, è un po’ confusa, e non le farebbe bene gareggiare in questo momento. Tanto, con le altre ragazze che abbiamo ci qualifichiamo anche senza di lei”. “Ma non se ne parla proprio!” Lo interrompe seccato il presidente. “Lo sai che la Sofia è fuori per un mese? Si è stirata l’adduttore proprio stamattina!”. Il maestro, deluso, non osa ribattere. Il presidente è pur sempre il suo datore di lavoro, e lui tiene famiglia. Va da Francesca, e le fa un discorso strano: “Allora, Francesca, adesso, stai a sentire: domenica giochiamo la Coppa a Squadre. Beh, guarda, fa una cosa. Ti do questo compito: devi giocare almeno due rovesci in back in ciascun game, cercando di scegliere il momento adatto, come abbiamo visto in questi giorni. Non pensare al risultato, pensa solo a svolgere questo compito”. Francesca, come molti friulani, è taciturna e disciplinata. Annuisce, ma in cuor suo è terrorizzata.
Arriva la domenica. Coppa a Squadre, contro il circolo vicino. E’ un derby sentitissimo. Un sacco di pubblico. Ci sono i soci di entrambi i club a fare il tifo. Francesca gioca da favorita, ma questo la rende, se possibile, ancora più tesa. Inizia il match, e nei primi 5 games di rovesci in back nemmeno l’ombra. La ragazza è avanti 32, ma non si scioglie. Il maestro, che fa da capitano, la rimprovera: “Non me ne importa niente del risultato, devi tirare questo cavolo di back!”. Francesca allora ci prova, ma la tensione le fa un brutto scherzo. I primi 3 che gioca, timidi, col braccino, finiscono in mezzo alla rete. Le ragazze vanno in lotta, 4 pari, games interminabili, tanti errori, nervosismo alle stelle. Altri due rovesci tagliati, tremanti: uno finisce lungo, l’altro atterra molle, a metà campo, e offre all’avversaria un comodo assist per il diritto vincente. Quell’altra si gasa, e chiude 64 il primo set. Al cambio di campo il presidente del club si avvicina, furioso, al maestro: “Ma che diavolo state facendo, gli esperimenti proprio oggi? E poi, a che le serve quel rovescino tagliato oggigiorno? Dille di piantarla, perché se oggi mi fai perdere ti licenzio sui due piedi!” Il maestro abbassa gli occhi. La Francesca ha sentito tutto. Non deve più giocare il back. Un peso le si toglie dal cuore. Rientra in campo sicura, come una scolaretta che sa di aver ben imparato a memoria la poesia: a suon di pallate rimonta e vince al terzo, contenta di aver salvato il posto al suo caro maestro.
E il back, e la palla corta, e la voleè?
Non li imparerà mai più.
* * *
Davide ha sedici anni, ed è un bel ragazzo romano, di famiglia agiata. Suo padre, avvocato come suo nonno, è socio da sempre, come suo nonno, in uno dei Circoli storici della Capitale. Davide è il cocco di tutti, al Circolo: è seconda categoria, ha una buona classifica Tennis Europe under 16, ha vinto un sacco di competizioni giovanili a squadre per il club e dato che i soldi non sono un problema ha ben due maestri che si occupano di lui: l’anziano Fausto, da sempre al Circolo, di cui è il Direttore Tecnico, coetaneo e amico del nonno, maestro del padre; e Luigi, un giovane sparring, un 29enne che ha avuto anche qualche punto Atp, che ha smesso l’attività da poco e che ambisce, prima o poi, a prendere il posto di Fausto.
Luigi in cuor suo è pieno di dubbi sulla futuribilità di Davide. Sa che molti dei successi ottenuti dal ragazzo dipendono dalla sua notevole scaltrezza tattica e dall’ottimo tocco, uniti alla buona mobilità: ma ne vede anche troppo bene, in una prospettiva di alto livello, i limiti di potenza e la scarsa attitudine aggressiva. Per questo, ha proposto a Fausto di fermare il giovane per 4 mesi: visto che, arrivato al metro e 78, magro come un chiodo, ha terminato lo sviluppo osseo, Davide dovrebbe iniziare a lavorare duro con i pesi per mettere massa, irrobustire i fondamentali, consolidare gli appoggi, cercare di avanzare la sua posizione in campo, acquisire un gioco più moderno e aggressivo.
Fausto però non vuole sentirne parlare. Ha pianificato una tournee invernale di 4 tornei under 18 in paesi esotici, dove raggranellare punti per la classifica ITF “Così in primavera avrà la classifica per fare le qualificazioni a Santa Croce, a Firenze e, se tutto va bene, forse pure al Bonfiglio. E in più, forse sarà testa di serie all’Avvenire. Sai come saranno contenti suo padre e suo nonno!” “Ma Fausto, ma anche se va in Africa a prendere i punti ITF, poi che ci va a fare al Bonfiglio? E’ troppo leggero, lo sai anche tu…” “Ma dai, non è vero, fino a un certo livello juniores può già competere… Il resto verrà col tempo…”
Luigi, testardo, insiste. Cerca di far capire all’anziano maestro che il resto non potrà venire col tempo, che anzi se vogliono fare le cose sul serio per il professionismo sono già in ritardo, e che andando avanti così, nella migliore delle ipotesi Davide non andrà mai oltre la seconda categoria. Alla fine, Fausto taglia corto: “Sentime bene, regazzì. Tu devi comincià a capì andove stai. Questi pagano bene. Se tu je dici chiaramente come stanno le cose, penseranno che pè te er fijo loro è ‘na pippa, e allora sai che faranno? Lo porteranno ad allenasse da n’antra parte, e tu te dovrai trovà un’antra pippa da seguì, altrettanto ricca ma cò ancora meno futuro. Perciò statte zitto e nun pijà più ‘sti discorsi!”.
Luigi ammutolisce. Esce dalla club house. Vorrebbe spaccare a racchettate la vetrina di mogano, piena zeppa di coppette giovanili. Ma poi, con un sospiro, alza le spalle e va a fare le valige. Si parte per Nairobi.
* * *
Come avrete capito, Andrea, Francesca e Davide non sono personaggi reali, e le loro storie sono solo frutto di fantasia.
Ma se vi guardate bene intorno, nel nostro movimento giovanile, potrete trovare alcune decine di storie come queste. Cambiano solo i nomi, i luoghi, forse le età.
Voltiamo pagina, tutti assieme.
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