(Gianmarco Gandolfi, classe 2004, figlio dell’olimpionico Nando Gandolfi – Foto Mosquitos)
di Luca Fiorino
Pochi secondi al suono finale della sirena ed in testa un solo obiettivo: infilare la palla alle spalle del portiere avversario e regalare alla nazionale italiana la terza medaglia d’oro nella storia dei giochi Olimpici. Era l’11 agosto del 1992 quando un goal di Ferdinando Gandolfi permise al Settebello di battere i padroni di casa della Spagna per 9-8 dopo più di due ore di gioco, sei supplementari ed un arbitraggio al limite dell’inverosimile. La rete più importante della carriera, una gioia ancora oggi indescrivibile che coinvolse, come spesso accade in queste manifestazioni, un popolo intero.
Oggi, a quasi 23 anni di distanza, quella marcatura rappresenta l’ultimo oro azzurro della pallanuoto maschile ad una Olimpiade. Abbiamo incontrato l’eroe di quella giornata presso i campi del New Penta 2000 in occasione dei sedicesimi di finale del Lemon Bowl. Il motivo della sua presenza? Ferdinando oggi è papà di tre splendidi bambini (due femminucce ed un maschio) ed uno di questi, Gianmarco, era presente al tabellone principale del Torneo dei Limoni. “E’ un torneo che ci piace e che rappresenta un bell’ingresso all’anno nuovo” spiega l’atleta genovese, “siamo di Roma ed è ormai la terza partecipazione di Gianmarco qui. Nella scorsa edizione volle partecipare nonostante l’influenza e difatti uscì subito. Quest’anno invece dopo 12 incontri tra «pre-quali» e «quali» è riuscito a qualificarsi al main draw”.
Un avversario difficile fin da subito, non a caso arrivato sino alla finale, Jack Pinnington-Jones. Contro l’inglese sconfitta più che dignitosa in tre set nonostante un anno, 15-20 cm e diversi kg di differenza. Un tennis fluido e concreto che personalmente ha ricordato (con le dovute proporzioni) un Bautista Agut. Palle sempre profonde e mai banali, mi ha colpito per l’abilità negli spostamenti sia in verticale che in orizzontale. “Voleva entrare nel tabellone principale perché così avrebbe potuto incontrare ragazzi che esprimessero un tennis di livello, coi quali misurarsi e capire il suo reale valore attuale. Un tennis molto più fisico e di resistenza. Quello era l’intento principale e credo che nonostante la battuta d’arresto, l’obiettivo sia stato raggiunto”. Il figlio dell’oro olimpico a Barcellona ’92 è under 12, si allena alla D’Innocenzo Tennis Team presso il circolo Veio. “In questo circolo abbiamo trovato una vera e propria oasi di pace. Sono socio a diversi circoli, mi piace come ambiente sociale e di vita. Ci siamo iscritti tempo fa, mio figlio ha iniziato ad ottenere man mano risultati ma tengo a precisare che l’aspetto che più mi preme sia il divertimento, viene prima di ogni altra cosa a quest’età”.
La domanda nasce spontanea, perché il tennis e non un altro sport. “Premetto che non so neanche impugnare una racchetta (ride, ndr). Ho tre figli che si sono innamorati del tennis un po’ per caso. Hanno iniziato in vacanza ad un circolo vicino la casa al mare giusto per trascorrere i pomeriggi d’estate per poi non smettere più. Ho provato a portarli in piscina ma con scarsi risultati. Lo sport deve piacere ed è giusto che lo scelgano loro. Ciò non toglie che voglio che pratichino sport di squadra, per avere altre forme di socializzazioni e acquisire nuovi valori. Gianmarco quest’anno ha lasciato il calcio per via dei troppi impegni e dovendo scegliere ha scelto tra pallone e racchetta non ci ha pensato due volte”. Una carriera piena di successi quella di Ferdinando, vincitore di tre scudetti con altrettante formazioni diverse, a cui potrà di certo trasmettere oltre che questo carattere vincente anche una certa cultura sportiva. “Questo è un altro mondo, dal punto di vista della mentalità sportiva. Il tennis è uno sport che mentalmente carica molto i ragazzi, sentono da piccolini già il peso delle partite e della classifica. E’ giusto che ora facciano esperienza, si divertano e non guardino troppo al risultato, il vero limite del tennis rispetto altre discipline a quest’età. Io cerco di aiutarlo ad affrontare lo sport in generale dandogli il giusto peso, alle vittorie così come alle sconfitte, nonostante stare da soli in campo non sia facile, soprattutto quando bisogna gestire le emozioni ”. Infine un augurio sincero, una piccola grande speranza. “Vorrei che lui giocasse a lungo a prescindere dai risultati perché è giusto che lo sport sia maestro che compagno di vita. Questo è quel che voglio principalmente trasmettere a Gianmarco così come a tutti i miei figli”.
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