(Vincenzo Santopadre e Karolina Boniek con il piccolo Matteo – Foto Nizegorodcew)
di Maurizio Pusceddu (alias Mauro G&F)
Noi genitori veniamo accusati spesso di voler trasferire le nostre ambizioni ai figli, spingerli a fare quel qualcosa che noi non siamo riusciti a fare. Spesso anch’io mi sono chiesto se a far diventare mia figlia un’agonista nel tennis sia stata principalmente la sua volontà o la mia ambizione.
Ebbene la risposta giusta è la seconda, ovvero il suo essere un’agonista nel tennis è frutto essenzialmente della volontà dei genitori, nella fattispecie della mia.
Prima di scandalizzarci però la domanda da fare è un’altra, ovvero: ciò è veramente un male oppure un fatto inevitabile e per certi versi giusto?
Da secoli, soprattutto per necessità, l’uomo ha trasferito ai suoi figli il proprio sapere, perché ciò significava insegnare a vivere e camminare con le proprie gambe, pensiamo per esempio all’arte della caccia. Col tempo l’uomo ha trasferito alla sua progenie il proprio mestiere, chi l’agricoltore, chi il fabbro, chi il falegname ecc., perché significava dare al proprio figlio la possibilità di imparare un mestiere e guadagnarsi da vivere.
Oggi questa necessità è andata scemando, anche se in molti casi un avvocato ha un figlio avvocato, un panettiere ha un figlio panettiere ed un politico ha molti figli (ahimè) politici.
Non solo, con l’andare degli anni sono nati anche gli hobbies e gli sport, ed anche in questo caso assistiamo spesso al passaggio di padre in figlio.
Ma è un male?…..Andiamo avanti.
A noi genitori, hanno anche insegnato che educare significa tirar fuori, far venire alla luce, dal latino educere; giusto, corretto, ma sicuramente si intende non far emergere un desiderio particolare ma piuttosto fare venire alla luce delle qualità quali la forza di volontà, il coraggio, la sensibilità la generosità ecc.
C’è qualcosa di male se un genitore cerca di far sviluppare queste doti usando come mezzo ciò che meglio conosce e ama di più? A questa domanda occorrerebbe rispondere.
Certo, meglio sarebbe se il mezzo lo scegliesse il proprio figlio, ma da piccoli, hanno gli strumenti e le conoscenze per farlo?
Credo inoltre che i nostri ragazzi, oggi, abbiano bisogno di certezze, di strade tracciate nelle quali possano scegliere se percorrerle o meno, ma devono vederle, hanno bisogno di porti sicuri dove potersi riparare in caso di necessità.
La scuola trasmette valori e conoscenze ai nostri ragazzi, gli amici trasmettono loro socialità e complicità, i genitori tutte queste cose, ma c’è qualcosa di male se trasmettono anche le proprie passioni?
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