Dell’Edera: “Vincere è bello, ma lavoriamo per il futuro”

Flavia Pennetta e Michelangelo Dell'Edera
di Roberto Commentucci
Dopo la bella affermazione della nostra squadra under 14 ai campionati europei disputati a Pilzen (Repubblica Ceka) abbiamo incontrato Michelangelo Dell’Edera, Direttore dell’Istituto di Formazione Roberto Lombardi, che nell’occasione è tornato al suo vecchio ruolo di Capitano della nostra rappresentativa giovanile.
Ne è venuta fuori una lunga chiacchierata: sulle due promesse azzurre Quinzi e Baldi, sulle loro prospettive di crescita, ma anche sull’organizzazione del Settore Tecnico, sul nostro tennis giovanile e soprattutto sul modo corretto di interpretare queste competizioni.
Allora Michelangelo. Dominio azzurro nel singolo, sconfitta di misura in finale nel doppio, una grande prestazione di squadra. Te lo aspettavi?
“Beh, Quinzi era il favorito della vigilia, mi aspettavo un dominio al 50%, invece è stato totale. Arrivare a Pilsen (90 km da Praga) e trovare 45 altre nazionali, 180 ragazzi tra maschi e femmine e più di 100 tecnici e pensare che l’ultimo giorno saremmo rimasti solo noi, in una finale tutta italiana, dopo tutte le emozioni scaturite da una lunga settimana di tensioni, è stato splendido.”
L’Italia si è aggiudicata anche lo speciale trofeo per nazioni. Che significa questa vittoria per il nostro tennis?
“Vincere per la prima volta nella storia il trofeo delle nazioni under 14, davanti a “potenze tennistiche” quali Francia, Inghilterra, Russia sta anche a significare che questa Federazione sta investendo risorse importanti sul piano economico ed umano nel Settore Tecnico Nazionale. Si stanno perseguendo forti sinergie con l’attività dei maestri e dei Circoli, mettendo loro a disposizione progetti seri. All’apice, il Centro tecnico federale di Tirrenia, che anno dopo anno stiamo potenziando sempre più, sia in termini di strutture, sia con l’acquisizione di professionalità importanti.”

Come avete preparato questo Campionato Europeo?
“Ci siamo preparati secondo me al meglio. Abbiamo fatto un raduno a Sestola, centro federale estivo situato a 1000 metri di altitudine, e poi siamo arrivati a Pilsen (che invece è a 500 metri) due giorni prima dell’inizio delle gare, in modo da ambientarci al meglio e preparare la lunga settimana nei minimi particolari. Anche a questo livello, ormai, i particolari possono fare la differenza.”
Raccontaci un pò questa finale azzurra fra Quinzi e Baldi. Non è mai facile fare il Capitano in un derby no?
“E’ stata una finale strana sia per me che per i ragazzi. Filippo e Gianluigi volevano fare gli “avversari” fin dal primo mattino, ma sono troppo amici per esserlo davvero fuori dal campo. Abbiamo ripetuto le stesse routine degli altri giorni, facendo una buona attivazione sia fisica che tecnica. Io, come Capitano, sono stato molto attento nel mantenere gli equilibri giusti rivolgendo lo stesso numero di parole e le stesse attenzioni ad entrambi. Dopo un “batti il cinque” ed aver augurato loro in bocca al lupo e buon tennis è iniziato il match.”
Che partita è stata?
“In verità non è mai iniziata. Baldi era mentalmente scarico. Probabilmente ci sperava, ma forse non pensava di raggiungere la finale. Nei turni precedenti aveva speso molto: in ottavi, quarti e semi ha vinto dei match intensissimi, superando tre teste di serie: lo slovacco Blasko, numero 6, la tds n. 3 Gresk, un rumeno alto 1,98, e poi in semifinale l’ungherese Biro, il numero due d’Europa della categoria.”
E Quinzi invece?
“Quinzi, dopo aver avuto un esordio molto difficile (era sotto 5-2 al terzo con il lettone Slobodkins, prima di vincere al tie-break), ha preso fiducia ed il suo livello è cresciuto. Ha giocato sempre con grande autorità, da numero 1. Così è stato anche in finale, un netto 62 61 giocando un tennis sempre aggressivo.”
Descrivici i due azzurrini: che caratteristiche hanno, come giocano?
“Esprimono entrambi un gioco di pressione, con la differenza che Quinzi si esprime meglio con servizio e rovescio, mentre Baldi con servizio e diritto. Gianluigi ha la grande capacità di trasformare situazioni tattiche difensive in offensive. Riesce sempre nelle difficoltà a trovare la giocata giusta e ad aggiudicarsi il punto. Filippo con la sua grande esplosività e fisicità tende a comandare sempre lui ed a imporre il proprio gioco. Due modi diversi ma simili nell’interpretazione di ricerca attiva del punto. Quinzi mancino, ha ulteriori vantaggi nell’impostazione del gioco.
Insomma, Gianluigi è il classico “contrattaccante”, mentre Filippo è un tipico attaccante naturale. Pensi che sia positivo farli allenare assieme? Come potranno evolvere in prospettiva?
“Allenarsi spesso assieme in prospettiva è un gran vantaggio poiché con le loro differenze di impostazione riescono ad arricchire a vicenda, giorno dopo giorno, la loro espressione di gioco. E questo è particolarmente importante alla loro età. A 14 anni si è particolarmente ricettivi e si imparano facilmente cose nuove: la continua evoluzione li rende quotidianamente più forti.”
Baldi ha iniziato a giocare a 9 anni, quando Quinzi era già una piccola star e aveva già una borsa di studio da Bollettieri. Ma il lombardo è cresciuto tantissimo negli ultimi tempi: a cosa è dovuta questa crescita?
“Nella crescita di un giovane tennista incidono diversi fattori: qualità tecniche, ordine tattico, saldezza psicologica, forza fisica. In generale, questi fattori tendono a formarsi e a stabilizzarsi tra i 15-16 e i 18-20 anni. Ma in questo intervallo di tempo, che è piuttosto lungo, si ha una parabola differente da individuo ad individuo, ed ecco allora che c’è chi va molto avanti, e poi qualche anno dopo le differenze si riducono, per poi magari aumentare nuovamente. Poi, dopo i 18-20 anni, la crescita continua ad esserci ma in modo più misurato.”
E cosa fa la differenza?
“La differenza vera la fa l’aspetto mentale, e Gianluigi attualmente è nettamente avanti rispetto a Filippo ed ai suoi coetanei, poiché le esperienze che ha vissuto grazie ai grandi sacrifici che la famiglia ha voluto affrontare fin da quando aveva 6-7 anni gli consentono ora di esprimersi in campo e fuori con più personalità e certezze.”
Aver davanti un Quinzi può aver fatto da traino a Filippo?
“Sicuramente Quinzi rappresenta un traino per l’intero movimento, ma non è il solo. Penso ad esempio, tra i nati nel 1995, a Napolitano e Donati. E poi ce ne sono altri ancora.”
A Plizen c’era con voi anche Eduardo Medica, il coach argentino di Gianluigi. Come sono i rapporti tra i tecnici federali e i team privati che seguono i due ragazzi? Non credi che questo tipo di collaborazioni pubblico-private, se improntate al rispetto dei ruoli di ciascuno, possano essere molto proficue?
“La collaborazione tra tecnici federali e team privati è essenziale affinché i ragazzi possano crescere nel miglior modo possibile. Abbiamo gli stessi obiettivi, che vanno condivisi senza gelosie creando i presupposti perché si capisca che il “progetto” è la crescita del ragazzo. Gli individualismi e la pretesa della centralità del ruolo sono comunque negativi per tutti. Il lavoro di squadra, con il giusto confronto, è determinante. Così è stato a Sestola e Pilsen con Eduardo Medica che fa parte del team Infantino. Abbiamo lavorato insieme, fianco a fianco per permettere i ragazzi di esprimersi nel miglior modo possibile.”
Tra un paio di settimane, di nuovo nella Repubblica Ceca (a Prostejov) i due ragazzi, insieme con un altro azzurrino di talento, il mancino siracusano Riccardo Chessari, andranno a giocarsi la Davis Cup junior. L’Italia l’ha vinta 4 anni fa con una squadra composta da Miccini, Gaio e Colella; pensi che i nostri abbiano prospettive concrete di successo?
“La nostra squadra di Davis Cup Junior ha delle buone prospettive, ma negli incontri a squadre possono sempre subentrare ulteriori difficoltà da gestire ed affrontare. Speriamo bene e in bocca al lupo al nostro team.”
In conclusione, Michelangelo, c’è chi dice che si tratta di gare importantissime, e chi dice invece che i successi a questa età non contano nulla… Qual’è secondo te il modo corretto con cui vanno interpretati questi risultati?
“Queste gare giovanili sono importanti se si capisce che sono un mezzo per crescere e migliorare e non un fine a cui magari sacrificare il lavoro da fare. Un mezzo però importante, che se ben interpretato porta dei vantaggi. Altrimenti, porta solo “illusioni”. Inoltre, queste gare non sono da considerare tappe obbligatorie per diventare giocatori e giocatrici di vertice. Per fare un esempio pratico che ho vissuto personalmente, Roberta Vinci, nata nel 1983, a 15 anni aveva girato il mondo con il tennis, mentre Flavia Pennetta, classe 1982, fino a 15 anni aveva giocato solo in Italia. Ebbene, sono arrivate entrambe.”
In conclusione?
“In conclusione, dobbiamo pensare solo a lavorare nel modo più corretto possibile, pensando non tanto a vincere queste gare, quanto a costruire atleti in grado di vincere domani. Per fare questo, dobbiamo fare meno errori possibili e non pensare di detenere la verità tennistica.”
Grazie di cuore, Michelangelo, e buon lavoro.
“Grazie a voi, e buon tennis a tutti.”

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