di Roberto Commentucci
Così cantava Mina nei ruggenti anni ’70, e così sperano, ogni volta, gli appassionati italiani, nei confronti delle nostre giovani promesse, non sempre capaci di confermarsi fra i professionisti.
La vittoria di Gianluigi Quinzi su Filippo Baldi nella finale dei campionati europei under 14, manifestazione dominata dalla squadra azzurra (i due hanno anche fatto finale nel doppio), ha destato parecchia attenzione sui media: non solo i siti specializzati, ma anche la stampa scritta, hanno riservato all’evento un risalto inconsueto per le manifestazioni giovanili. Immediatamente, tra gli appassionati si è scatenato il dibattito: da un lato gli ottimisti, tra cui qualcuno che si spinge a parlare dei due azzurrini come di sicuri top 10, dall’altro lato quanti invece mettono in guardia sulla presunta poca importanza delle vittorie nei campionati giovanili, che non sempre si traducono in splendenti carriere nel difficilissimo circuito professionistico.
In passato, altri azzurrini erano riusciti a centrare vittorie molto prestigiose nelle competizioni under. I campionati europei under 14 li vinse nel 1994 il povero Federico Luzzi, mentre a livello under 16 si registrano i successi di Pietro Ansaldo nel 2000 e di Fabio Fognini nel 2003.
Altre affermazioni di grande prestigio i nostri giocatori le hanno ottenute, in tempi più remoti, fra gli under 18. Nel 1985 Claudio Pistolesi vinse l’Orange Bowl e fu proclamato campione del mondo junior. Nel 1987 Diego Nargiso si aggiudicò il torneo juniores di Wimbledon, mentre Andrea Gaudenzi, nel 1990, fece ancora meglio: si affermò al Roland Garros e agli Us Open juniores a soli 17 anni (al primo anno under 18) e fu anche lui proclamato campione del mondo juniores.
Come sappiamo, non sempre le grandi speranze suscitate da queste vittorie si sono tradotte in carriere all’altezza delle aspettative, ma è opportuno effettuare dei distinguo. Per quanto riguarda le vittorie fra gli under 18 ottenute negli anni ’80, va detto che in quel periodo il livello tecnico del circuito juniores era poco significativo, dal momento che gran parte degli junior più forti erano già molto competitivi nel circuito maggiore. Ad esempio, alla vittoria di Pistolesi all’Orange Bowl, faceva da contraltare l’affermazione del suo coetaneo Boris Becker a Wimbledon. Gaudenzi è una parziale eccezione: il faentino, con il suo best rank di n. 18 del mondo, ha avuto una carriera pro di tutto rispetto, anche se inferiore, ad esempio, a quella dello svedese Enqvist, da lui sconfitto nella finale di Parigi juniores.
In anni più recenti si situano le vittorie di Luzzi, Ansaldo e Fognini nei campionati europei. Anche qui, tre storie profondamente diverse. Il compianto Federico, classe 1980, a 14 anni batteva tutti i più forti suoi coetanei, incluso Marat Safin. L’azzurrino, dotato di buona tecnica e di ottimo tocco, era agonista precocissimo ed era tatticamente molto smaliziato. Quel che mancò, nella sua costruzione, fu soprattutto il necessario lavoro di potenziamento atletico e muscolare, che lo rese troppo “leggero” per il power tennis degli anni 2000, e ciò gli impedì (assieme con un carattere un po’ particolare e alcuni sciagurati infortuni) di andare oltre la 92° posizione del ranking. Storia tutta diversa quella di Pietro Ansaldo, un ragazzo ligure che pareva avere tutte le carte in regola per diventare un giocatore coi fiocchi, ma che poi fece una scelta di vita, e preferì una sicura carriera da manager nell’azienda di famiglia. Arriviamo infine a Fognini, anch’egli precocissimo agonista. A sedici anni Fabio, rapidissimo negli spostamenti, solidissimo in difesa, dotato di gran tocco e di un gioco vario, era superiore ai suoi coetanei Murray e Djokovic. Poi, negli anni successivi, il gap fisico (in chili e centimetri), l’inferiore efficacia del servizio, la minore adattabilità alle superfici rapide, la minore solidità nervosa, hanno portato alla situazione attuale, con l’azzurro buon professionista, con sprazzi di ottimo tennis, ma ben distanziato dagli altri due, da tempo top10 affermati.
E così l’appassionato, in bilico tra speranza e scetticismo, si domanda quale sia il corretto significato da attribuire agli exploit di Quinzi e Baldi. E’ lecito sperare?
Ebbene, è lecito. Tanto per cominciare, un campionato europeo under 14 rappresenta un ottimo punto di partenza. Se si va a spulciare l’albo d’oro della manifestazione, si trovano, è vero, parecchi carneadi, ma anche, in una proporzione diciamo di 1 a 1, molti nomi eccellenti: partendo dagli anni ’90, abbiamo Beto Martin, Tommy Robredo, Mario Ancic, Richard Gasquet, Novak Djokovic e, tra i vincitori più recenti, le grandi promesse Boluda e Dimitrov. Tra i finalisti figurano altri affermati top 100: il belga Rochus, il tedesco Benjamin Becker, lo slovacco Lacko, e, last but not least, Marin Cilic.
Ma soprattutto, quello che fa ben sperare è la futuribilità dei nostri due ragazzi. Intanto, sul piano fisico entrambi sembrano avere le carte in regola per il tennis moderno: Gianluigi a 14 anni è già intorno all’1,85, Filippo poco meno. Ma oltre all’elevata statura hanno tutti e due un’ottima rapidità di piedi e sono molto rapidi negli spostamenti. Entrambi devono migliorare la forza della parte superiore del corpo, ma quello verrà a suo tempo, con una preparazione mirata. Quel che più conta, però è il loro approccio tecnico e tattico alle gare. Questi ragazzi sono entrambi dotati un gioco moderno e aggressivo: cercano il vincente, a partire dal servizio e dalla risposta, non stanno lì ad aspettare l’errore dell’avversario, e hanno un repertorio tecnico completo, basato su un servizio già pungente e su fondamentali pesanti, corredati da una mano sensibile e dalla capacità di variare e verticalizzare il gioco.
Insomma, l’impressione è che dietro le loro nascenti carriere ci sia un progetto a lungo termine, con ambizioni vere, e che queste vittorie, pur importanti siano interpretate nel modo giusto: ovvero, come una verifica dei progressi fatti nel livello di gioco, e non come degli obiettivi a se stanti, a cui sacrificare la crescita.
Nessuno può dire oggi, con certezza, dove arriveranno questi due ragazzi. Ma intanto, non facciamo loro mancare il nostro incoraggiamento, e lasciamoli crescere tranquilli.
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