La Storia di Pietro Ansaldo


(Alessandro Giannessi e Pietro Ansaldo)

di Gianfilippo Maiga

Non si può dire che Pietro Ansaldo sia una promessa mancata. Direi piuttosto una rosa  sbocciata in un altro campo. Certo, con la fame di campioni che abbiamo, ci fa un po’ specie pensare di aver rinunciato ad uno così, che sembrava avere un po’ tutte le qualità che servono: tennis, cervello, fisico. Tutte, tranne una: la voglia di rinunciare alla vita per dedicarsi  ad abitudini da frate trappista.

Campione europeo under 16, 850 atp a 18 anni, come mai oggi Pietro Ansaldo non è un tennista professionista?  La mia è stata una scelta di vita. Intendiamoci, adoravo (e adoro) il tennis, ma durante gli anni del liceo,quando si affacciava sempre di più la prospettiva di scegliere fra lo sport  professionistico e una vita “normale”, mi sono reso conto che avevo molti interessi anche al di fuori del tennis e che non avrei saputo rinunciarvi. Una combinazione di fattori mi ha portato a questa conclusione: da un lato la consapevolezza che ero molto legato alle mie radici, (la mia famiglia, la mia città, gli amici),  dall’altro la filosofia di famiglia, che mi spingeva ad arricchirmi culturalmente e a proseguire negli studi, il condizionamento esercitato dalla frequentazione di un normalissimo liceo, disposto ad accettare qualche assenza, ma non la impreparazione e infine forse, la mancanza di un bisogno di sfondare nel tennis avendo altre opzioni, a differenza di molti miei compagni. Non è certo la ricerca di sicurezza o una presupposta riluttanza a sacrificarmi che hanno influenzato la mia decisione. Vorrei far presente che l’idea di avere un’opzione come tennista professionista è arrivata un po’ casualmente, man mano che certi risultati si profilavano. Non mi sono, né sono stato programmato, per riuscire come tennista e in fondo questa idea non l’ho mai veramente avuta in testa. È proprio la dimensione dello sport in senso professionistico che non mi ha convinto fino in fondo. Decisivo è stato l’anno in cui, diciottenne, stavo per finire il liceo. Tennisticamente, è stato il primo anno in cui avevo abbandonato il mondo junior, i miei coetanei, per frequentare da solo, sia pur accompagnato da un tecnico,i satelliti. Lì mi sono accorto che il tennis, persa la sua atmosfera giocosa, non mi avrebbe dato la stessa gioia che in passato, se lo avessi scelto come la via definitiva. Ho ritenuto allora una prova di serietà fare una scelta netta di campo e non “tirare avanti” lasciando che le cose si trascinassero.

A soli 28 anni, sei ancora attivo nel tennis giocato con i campionati a squadre e gli open. Hai qualche rimpianto? Se ho rimpianti, questi non riguardano il tennis. Ho probabilmente perso un po’ di tempo scegliendo la facoltà di ingegneria (navale), nella quale ho trascorso 2 anni e per cui non ero probabilmente adatto, per poi orientarmi su economia, che si è rivelata invece la mia strada. Il tennis non mi manca certo, nel senso che riempie ancora molto della mia vita. Fino all’anno scorso ero 2.1 e ora sono sceso 2.2, mantenendomi quindi sempre ad un buon livello. Non solo mi tengo ben allenato fisicamente, ma disputo il maggior numero possibile di tornei open nel Nord Italia, compatibilmente con il mio lavoro (in un’agenzia di prodotti siderurgici). Gioco inoltre il campionato a squadre per il Tennis Park Genova, con cui siamo stati promossi in A1: giudico questa un’esperienza di alto livello, considerato che in squadra ci saranno, tra gli altri, Fognini e Giannessi. No, se mi rubassero le racchette di notte e non potessi più giocare, non credo che avrei rimpianti, perché ho comunque molte pagine da ricordare

A Genova c`è una grande rivalità fra i due tennis storici: il Tennis Club e il Park Tennis. Tu hai giocato per entrambe, crescendo nel primo ma disputando, dopo il 2005, i campionati a squadre per il secondo. Cos’ha determinato questo “passaggio”? Nessun tradimento, naturalmente, né polemica. Quando è stato chiaro che avevo raggiunto il mio massimo e non sarei stato un professionista, hanno prevalso altre considerazioni, rispetto a quelle di porre il massimo risultato al centro delle mie priorità: per esempio, la comodità di abitare a 150 m dal Park, di condividere l’esperienza di squadra con amici storici, (e compagni di università) quali Wellenfeld, Cafferata e Sanna. Il mio passaggio al Park è inoltre coinciso con un momento in cui il Tennis Club non intendeva investire sull’agonistica di alto livello. Oggi questo problema, al Tennis Club, è a quanto vedo totalmente superato, con una agonistica di eccellenza a livello giovanile e una squadra che ha centrato la promozione in A2. In questo caso nessuna rivalità: anzi, con i regolamenti attuali possono giocare  in A1 i giovani del vivaio e io appartengo al vivaio del Tennis Genova, non del Park, quindi non si sa mai….

Hai “smesso” da pochi anni.  Cosa ti è rimasto della tua esperienza? Moltissime cose. Innanzitutto un patrimonio di conoscenze personali, visto che ho avuto la fortuna di incrociare le racchette con i giovani più forti della mia epoca,(Tsonga, Berdych, Tipsarevic, Gasquet, Ancic, per fare i nomi più noti, Petschner, ecc) : ne ho rivisto qualcuno in un recente torneo internazionale ed è stata una bellissima rimpatriata. In secondo luogo, la convinzione che nel tennis non puoi riuscire se a fianco delle doti tecniche non hai anche fondamentali  doti umane. Ho maturato questa opinione non solo conoscendo molti tennisti che poi si sono fatti valere, ma anche frequentando veri e propri personaggi. Sono stato due anni con Piatti a Montecarlo; mi sono allenato  con Ljubicic, conoscendolo personalmente. Ho avuto così modo di rendermi conto della sua grandissima umanità, di una fortissima determinazione agonistica, ma anche di un incredibile equilibrio personale: sono queste qualità che gli hanno permesso di diventare il numero 3 del mondo, partendo dalla condizione di uno sconosciuto under 16.Una delle esperienze che considero più significative è stata senz’altro la settimana che ho trascorso con Federer due anni fa a Genova, in occasione dell’incontro di Davis disputato contro l’Italia. Per dire com’è l’uomo, invece di trattarmi con degnazione, come in fondo ci si sarebbe potuti aspettare da uno che ha le dimensioni di una rockstar, mi ha detto di essere informato su di me e che , tramite i suoi compagni, conosceva molto dei miei trascorsi tennistici, Ogni episodio che lo riguardava, in quella settimana, è stato per me una vera scoperta e mi ha fatto capire perché sia un numero 1. Il tennis poi mi ha trasmesso anche una cultura: quella dell’importanza di mantenere una disciplina nel tenersi in forma fisicamente e nell’alimentarsi correttamente, per esempio, o quella dei sani valori agonistici. Mi ha permesso di sviluppare delle doti che mi sono e mi saranno utili nella mia vita professionale e di relazione. I valori del tennis sono stati importanti per la mia formazione. Mi si presenta istintivo un confronto con l’ambiente del calcio, che a volte, nel veder l’esempio che danno insigni professionisti, mi disgusta. Nel tennis certi comportamenti sarebbero impensabili. E pensare che a scuola, ai miei, tempi, si capivano perfettamente le esigenze dei ragazzi che giocavano a calcio, mentre risultavano totalmente misconosciuti e incomprensibili i sacrifici di chi praticava il tennis…. Vorrei mettere all’ultimo posto, ma non per importanza, i  bei ricordi. Sono tanti, ma fra loro scelgo il campionato europeo a squadre disputato insieme ad Andreas Seppi e, naturalmente, quello individuale del 2000, da me vinto.

Com’è stato il rapporto con la Federazione italiana. Ti ha aiutato? Si tende spesso a sottolineare le manchevolezze della nostra Federazione. Personalmente, non posso che parlarne bene. Certamente allora non era organizzata come può esserlo oggi, che a parer mio si è avvicinata di molto alle migliori Federazioni Europee, ma mi ha dato un grande supporto e le sono grato per questo.

Hai, tennisticamente  parlando, un sogno nel cassetto? Non dal punto di vista progettuale; semmai, a livello personale. So che difficilmente, in una vita di lavoro, posso pensare di tornare ai miei livelli massimi, ma spero davvero, regolamento permettendo, di trovare un po’ di spazio  nell’esperienza di A1 che quest’anno mi attende con il Park Tennis.

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