Ha chiuso col ventunesimo ace, a 133 mph, il servizio più veloce della sua partita. Così Benoit Paire, con 46 discese a rete, 64 vincenti e 67 gratuiti, ha firmato quella che ha definito la più bella vittoria della sua carriera e la più grande sorpresa della prima giornata nel singolare maschile dello Us Open: battere 6-4 3-6 4-6 7-6(6) 6-4 il finalista del 2014 Kei Nishikori.
“E’ una gran bella vittoria” ha detto Paire, che aveva perso i primi due confronti diretti contro il giapponese, “ma non mi voglio fermare qui. Quando ho visto il sorteggio, mi sono detto che sarebbe atato un match difficile, che avrei avuto bisogno di divertirmi in campo. Mi sentivo in fiducia all’inizio, ho giocato un primo set offensivo, e Kei forse era un po’ nervoso. Quando poi mi sono trovato sotto due set a uno, non mi sentivo così a posto fisicamente. Devo essere sincero, sono stato anche molto fortunato sui due match point, perché non li ho salvati, me li ha offerti lui”. È soprattutto il primo, buttato via col dritto largo a sventaglio, che resterà tra i rimpianti di Nishikori. Paire fa comunque il suo sul secondo e stampa la prima vincente a 122 mph. E ringrazia per il secondo gratuito di dritto che certifica l’8-6.
Si tiene il meglio per la fine, Paire, che vince il 73% di punti con la prima nel quinto set e dal break del 3-2 perde solo due punti negli ultimi tre turni di servizio. Così Nishikori, dopo la vittoria a Washington e la semifinale a Montreal, dopo i problemi fisici che però gli hanno impedito di essere a Cincinnati, perde per la quarta volta su 16 un quinto set in uno Slam e diventa il primo finalista a perdere al primo turno l’anno successivo allo Us Open dal 1991.
Allora, fu Andre Agassi (sconfitto in tre finali Slam su quattro nel 1990) a cedere di schianto, 7-5 7-6(3) 6-2 sul Louis Armstrong contro Aaron Krickstein, alla 22ma vittoria allo Us Open. La sua corsa si fermerà ai quarti in un Labour Day che tutta New York non ha ancora dimenticato, con tanto di torta e candeline, e un Happy Birthday cantato da tutto lo stadio, per Jimmy Connors, l’eroe tanto odiato e ora amato perché più vecchio ma non ancora stanco, a celebrare una delle sue vittorie più iconiche.
È l’inizio di una seconda carriera, l’anno della maturità per il francese, tornato al numero 41 del mondo, che si è alleggerito di qualche pressione dopo aver alzato il primo trofeo ATP della carriera a Bastad, in finale su Robredo. Una svolta non così scontata per una stagione iniziata intorno al numero 150, ripartita dai Challenger e dalle qualificazioni. Il viaggio sulla highway to heaven ha preso una nuova rotta, e una nuova marcia, da marzo, con la prima vittoria su un top-100 dal successo contro Pedro Sousa al Challenger di Genova del settembre 2014. E si rilancia a New York, dove non ha mai superato il secondo turno ma le sconfitte diventano spesso gli ingredienti delle grandi storie di successo.
Ha una nuova fiducia Paire, col suo approccio stilnovistico che guarda all’estetica e alla sostanza insieme, il mancino convinto a giocare con la destra dopo un infortunio al polso quando da ragazzino si divideva ancora fra calcio e tennis e che per questo costruisce il gioco col dritto ma sente meglio la palla di rovescio. La stagione sulla terra gli ha restituito un orizzonte, una possibilità, una prospettiva.
“Sapevo di poterlo battere” ha spiegato, “affrontarlo non è come giocare contro Federer”, il suo grande idolo. “So che posso breakarlo. Non ha punti deboli, è vero, ma fa meno male di Roger o di Djokovic”. Non ha smesso di crederci, anche se le sensazioni della vigilia non inducevano certo all’ottimismo. “L’ultima settimana di allenamento non è andata bene, non avevo buone sensazioni”. Ma il coach Lionel Zimbler, che gli ha cambiato la vita e la carriera dopo l’annata triste al CNE (il Centro Nazionale d’Allenamento al Roland Garros, NdT) che l’ha quasi portato a lasciare il tennis, conosce le parole giuste per caricarlo. “Mi ha detto: quando esci dal campo, che tu vinca o perda, devi sentire di esserti divertito”.
Parole che fanno la differenza con un giocatore come Paire, per cui vincere senza stile non conta, non basta. C’è una filosofia, una personale coerenza, dunque, nell’uso, e a volte abuso, della palla corta: è l’unico colpo, dice, “che giochi quando vuoi. Gli altri, li giochi quando puoi”.
Troppe volte descritto con la, questa sì abusata, associazione di genio e sregolatezza, Paire ha tenuto bene anche di testa. “Ora c’è un nuovo Benoit” ha dichiarato, “anche nell’allenamento quotidiano. Sono più calmo, più sereno, ho interno delle persone. Si apre una nuova fase per me, ora voglio raggiungere la seconda settimana di uno Slam”. Per capire se è davvero così basterà aspettare il secondo turno contro Marsel Ilhan. Perdere contro il turco dopo la grande impresa sarebbe tipico del vecchio Paire. Di quel passeggero oscuro che Benoit si è lasciato dietro lunedì: per un giorno, per una settimana o per il resto della carriera?
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