di Luca Brancher
Mark Philippoussis. Ancora lui. Sempre lui. Il caro vecchio Scud, che da quando ha abbandonato lo sport professionistico non ha smesso di far parlare di sé, vuoi per le peripezie televisive, vuoi per quelle assolutamente meno gradite in campo finanziario, è tornato d’attualità “down under” per un ruolo che, per quanto bene gli si possa volere, difficilmente lo avremmo definito adatto a lui. Quello di Musa. Infatti se l’Australia tra qualche anno potrà vantare una scuderia di giocatori degna delle nazioni più rappresentative dovrà in parte ringraziare il bel Mark, che ignaro di tutto questo prosegue la sua vita da tennista amatoriale negli Stati Uniti d’America.
“Mark Philippoussis è stato importante nella mia formazione perché mi ha fatto capire che anche chi è di origine greca può giocare a tennis. E bene. La pensa come me anche il mio amico Thanasi”. Un attimo, prego. Per quanto la frase appena riportata mostra diverse falle dal punto di vista sia logico sia concettuale – per quanto vale, anche Sampras era greco, ed a tennis malino non giocava, ma, appunto, centra poi molto l’etnia? Oddio qualche fans un po’ miope del tennis italiano lo penserebbe, ma tant’è – non possiamo lasciarla passare così, come se nulla fosse. Soprattutto se valutiamo che a pronunciarla è stato il più recente vincitore degli Australian Open Junior e quel suo amico, questo Thanasi, non è il vicino di casa, bensì l’ultimo giocatore ad essersi frapposto fra lui ed il titolo. Insomma, Thanasi è quel Thanasi Kokkinakis, classe 1996, che a Melbourne Park si è fregiata dell’ambito scalpo di Gianluigi Quinzi e che nelle qualificazioni del torneo dei grandi, due settimane prima, ha trascinato fino al 32esimo gioco del set decisivo Steve Johnson, non propriamente l’avversario più semplice da affrontare e non solo per un sedicenne. Kokkinakis, a dire il vero, deve principalmente la sua notorietà ad un paio di infortuni. Non suoi, chiaramente, ma quelli che impedirono a John Isner e Tommy Haas di concludere l’esperienza in Hopman Cup. Così, senza alcun esperienza, seppur in ambito non pienamente professionistico, Thanasi fece due set contro Verdasco, un doppio in coppia con Venus Williams ed uno sfidando il duo serbo Ivanovic-Djokovic, all’interno di uno stadio, non molto più piccolo della Rod Laver Arena, piuttosto colmo. Niente male.
A sconfiggerlo, tre settimane più tardi nella manifestazione che negli ultimi anni sta regalando più di qualche gioia ai canguri – sebbene una finale tutta australiana mancasse da 19 anni – Nicholas Hilmy Kyrgios, detto Nick. Anche lui greco, dicevamo, ma quell’Hilmy come secondo nome non è una falsa traccia, infatti la madre, ingegnere informatico, è malesiana, il che rende il suo profilo etnico ancora più interessante. Ancora più peculiare, poichè non è di certo di retaggi razziali che qui vi vogliamo parlare, è il motivo per cui questo giovane tennista classe 1995, nato a Canberra, si è meritato uno spazio tutto suo. Cinque settimane, non ci ha messo di più Kyrgios a passare dall’essere una promessa del panorama sportivo, dopo il titolo già menzionato di Melbourne, al divenire una “certezza” del circuito vero e proprio, col conseguimento del primo titolo challenger della sua giovanissima carriera. Non ancora diciottenne Nick ha colto un’insperata gemma a Sydney, in una nuova data del circuito secondario dell’ATP che ha premiato gli organizzatori australiani, ritrovatisi con un vincitore giovane e fatto in casa. Per chi, come me in questo caso, deve redigere la biografia, scrivere di Nick è piuttosto piacevole, visto che la scarsezza di avvenimenti fino ad ora manifestatisi consente di organizzare per bene quello che è necessario che un lettore sappia.
Il primo momento fondamentale risale ad appena 4 anni fa, nel 2009, quando per Nick è stato necessario adoperare una scelta: tennis o basket. Già, perché Kyrgios, fino ai 14 anni, era un portento in entrambe le discipline – e l’atletismo classico dei cestisti è una delle chiavi nel gioco dell’australiano, che non a caso ha come riferimento un altro super-atleta, Jo-Wilfried Tsonga – tanto da arrivare a rivestire la maglia delle nazionali giovanili di pallacanestro. Tuttavia scelse il gioco della racchetta “A basket ero davvero bravo, ma non come a tennis, e il numero di infortuni che pativo sul parquet mi fece propendere per l’altro tipo di rettangolo. Solo che una tale decisione non poteva permanere senza alcuna conseguenza e da quel momento decisi che il tennis sarebbe stato il centro di ogni mia attività e di ogni mio interesse. Volevo vedere fin dove riuscivo a spingermi.”
Non ci volle poi molto per capire che quella era stata la scelta corretta, sebbene nel 2011 si verificò un piccolo intoppo che ne rallentò la corsa. Una piccola frattura da stress alla schiena lo costrinse lontano dai campi per ben 7 mesi, non poco tempo considerando che in quel periodo era nel pieno della sua crescita. Tant’è, nel 2012 Kyrgios ha avuto comunque modo di esordire nel circuito dei grandi, grazie ad una wild-card per le qualificazioni dell’Australian Open, dove è stato capace di togliere un set, quello d’apertura, all’allora 215esimo giocatore al mondo Mathieu Rodrigues. A fine marzo giungeva la prima vittoria in campo pro’, in un future giapponese, contro il cinese Bowen Ouyang, ma è solo nella parte finale della stagione che Kyrgios si impose sulla stessa scena, con una semifinale ed un quarto nella sua terra natale che gli diedero la possibilità di dare una prima sterzata alla scalata del ranking ATP. Al contempo, però, il preludio al suo dominio a livello junior si manifestava nel doppio, con due titoli Slam all’attivo (Parigi e Londra) ottenuti assieme ad Andrew Harris, una finale a New York con Jordan Thompson ed una semi in Australia sempre con lo stesso Harris. Grazie ai titoli di inizio 2013 a Traralgon ed a Melbourne Park Nick è anche stato capace di issarsi fino alla prima posizione del ranking giovanile mondiale.
Uno dei segreti di quest’esplosione è da rintracciare in una migliore gestione della dieta alimentare, grazie a cui ha perso ben 5 chilogrammi – “Non è che mangiassi male, mangiavo semplicemente troppo qualche volta. E poi c’è da dire che ora mi alleno atleticamente in maniera molto più minuziosa, per cui sto bruciando diverse calorie.” Sarà, ma gli addetti ai lavori non hanno potuto fare a meno di notare quanto questo nuovo “assetto” stia giovando al suo gioco, rendendolo più reattivo e più mobile, aspetti che ne hanno aumentato la fiducia in campo. E poi c’è la sua arma principale, il servizio. Nel corso della finale dell’Australian Open contro Kokkinakis più volte il rilevatore della velocità ha raggiunto la cifra a tre zeri col 2 davanti, ma lui ci tiene a ribadire che nei turni precedenti una sua prima aveva raggiunto i 212 km/h. E per chi ama il giornalismo tennistico ed in particolare Gianni Clerici, come dimenticare un articolo di 17 anni fa, sempre da Melbourne, in cui lo scriba ci raccontava di un giovanotto australiano che di lì a poco si sarebbe fatto strada fino ai quarti di finale del main draw, grazie soprattutto al suo servizio. Era Philippoussis. Celebre l’incontro tra Clerici ed il padre di Mark, in cui quest’ultimo narrò di come, qualche mese prima, Mark, in un singolo incontro, aveva messo a segno 44 aces contro Black. Gianni non legò subito il nome di Black a quello del celeberrimo atleta di Zimbabwe Byron, pensò bensì ad uno sventurato junior. 44 aces in un incontro. Prima dell’avvento di Karlovic e poi del duo Isner-Mahut era qualcosa di sensazionale.
Casualmente (forse…) 44 sono stati anche gli aces che sono serviti a Nick Kyrgios per cogliere il primo titolo in carriera nel torneo di Sydney già menzionato, il secondo challenger a cui prendeva parte, dopo la semifinale conseguita meno di un mese prima a West Lakes, sempre in Australia. 10 contro Brydan Klein, 8 contro Ivo Klec, 7 contro Greg Jones, 10 contro Stephane Robert e 9 nell’atto finale contro Matt Reid. Davvero niente male, considerando il fatto che lungo questa corsa il 17enne di Canberra ha concesso un solo set, nei quarti a Jones, e non è mai stato costretto al tie-break, sintomatico di quanto i suoi miglioramenti siano rintracciabili in ogni zona del campo. Ora però andrebbe ridefinito quell’obiettivo di fine stagione, che dopo il titolo Slam era stato posizionato attorno alla 300esima posizione del ranking ATP: adesso siamo già alla casella 330, e di mesi, dove si può solo migliorare, ce ne sono davanti davvero parecchi.
Il successo di Nick è però importante anche sotto un altro aspetto: i denigratori storceranno il naso perché asseriranno, non totalmente a torto, che le competizioni australiane non sono attualmente paragonabili, per valore dei partecipanti, a quelle che si disputano in Europa o nelle Americhe, ma non si può dimenticare di quanto fosse limitata l’esperienza di Kyrgios nel mondo pro’, tanto da dare finalmente lustro alle sempre svalutate competizioni Slam Junior. Se nel femminile capita più spesso – lo scorso anno a Parigi si impose la tedesca Beck, saldamente nelle top-100 – è raro vedere un vincitore di uno Slam junior capace di raggiungere un titolo challenger meno di un mese dopo. Anzi. Definire per cui l’australiano un “volto nuovo” è calzante come non mai, spetta a lui ora dare seguito alle sue ambizioni e provare ad emulare i suoi tre idoli: il già citato Jo-Wilfried Tsonga, l’emblema di questa generazione, Roger Federer, e Mark Philippoussis, amato appunto per le sue origini greche.
Se però, come lui stesso conferma, Kyrgios è tanto legato al mondo ellenico, saprà sicuramente che il suo nome deriva dalla parola Nikè, vittoria. Quindi, va bene idolatrare e rivedersi in Philippoussis, in quanto primo giocatore mezzo australiano e mezzo greco a raggiungere la top-10 del tennis mondiale, ma se volesse fare ancora di più, per rimanere legato al suo background, potrebbe semplicemente assecondare quello che il suo nome sta a significare. Ne trarrebbero vantaggio tutti: lui, l’Australia, i greci espratriati e sì, perfino Mark Philippoussis.
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