di Luca Brancher
Estevez e le partite già perse, Linzer e la cura-Davis per la sua Austria, la maledizione di Lopez-Jaen.
L’ultima volta che vi avevo trasmesso le mie sensazioni all’interno di un articolo “di colore” – definiamolo così – vi avevo esposto la curiosa coincidenza che aveva portato Kenny De Schepper ad invertire le sue sorti, fino a quel momento parche, nel momento stesso in cui consigliai ad un mio amico di investire pesantemente contro il suo avversario di allora, Nicholas Mahut – lo stesso Mahut che per vincere partite, ormai, è sceso a livello ITF. Ignaro dei pregressi, questo amico si è nuovamente rivolto a me, a ridosso della Coppa Davis, desideroso di sapere cosa ne pensassi di una “doppia”, a suo modo di vedere le cose, abbastanza sicura: Canada e Francia in semifinale. Invece che difendere le velleità della mia patria, dalla mia bocca uscì un nuovo messaggio che, questa volta, invece, si sarebbe rivelato tutt’altro che fallace. “Mai sottovalutare gli argentini”. Che cosa mi aveva spinto a dire ciò? Qualcosa che era accaduto qualche giorno prima e che anche nella settimana seguente avrebbe avuto ulteriore, seppur tardiva, conferma. Quanto vi racconto è un rapido resoconto della prima esperienza tennistica fuori dalle Americhe di Maximiliano Estevez.
Maximiliano Estevez, Argentina, 1989. Quando, per hobby e per mania, ci si è messi in testa di catalogare tutti i risultati dei tornei ITF a partire dall’anno X – e per un certo periodo anche delle qualificazioni – la maggior parte dei tennisti viene identificata quasi esclusivamente da queste quattro caratteristiche essenziali: nome, cognome, nazione, anno di nascita. Sono rari quelli di cui mi è possibile avere maggiori dettagli, taluni se ne possono desumere dalla programmazione o dalla superficie su cui maggiormente ottengono risultati (ma anche qui, bisogna stare attenti, non c’è uno stile di gioco univoco per esprimersi meglio su una rispetto che su un’altra), ma per il resto un tennista è principalmente la combinazione di quei quattro elementi, almeno per me. Maximiliano Estevez, Argentina, 1989.
Nello scorso autunno Maximiliano ingaggiò una sfida epica in un sabato di metà novembre, quando in Italia erano circa le 8 di sera, contro il nostro Gianluigi Quinzi, contesa da cui l’argentino uscì vincitore non si è ancora ben capito come – esperienza direbbe qualcuno – recuperando un set di svantaggio ed un secondo, che, ad un certo punto, sembrava altamente compromesso. Il portacolori italiano si sarebbe preso la su rivincita nel quarto di finale della manifestazione successiva, mentre per Maxi, che nel 2012 aveva raggiunto il suo risultato più lungimirante, la finale nel challenger di Salinas, si trattava dell’ennesimo atto conclusivo nella stagione. Come accaduto nelle precedenti, ad eccezione di una, Estevez sarebbe però andato incontro ad una sconfitta. E da lì avrebbe avuto inizio un periodo di appannamento. Capita spesso, ai tennisti, dopo una stagione in cui hanno giocato tanto, e per forza bene – perché altrimenti, se non giochi bene e perdi, le partite si riducono – che nell’anno seguente non riescano ad esprimersi sullo stesso livello. Vuoi perché per sfortuna o per poco zelo non si sono preparati allo stesso modo, vuoi perché si trovano proiettati in una nuova dimensione a cui non sono abituati, non a caso si è portati a dire che certi traguardi non è tanto difficile raggiungerli (oddio, non che sia propriamente facile) quanto mantenerli. Ad Estevez sta esattamente succedendo questo. Ha provato un paio di challenger, poi un future, ma l’esito è stato sempre il medesimo: disco rosso all’avvio. Prima della svolta che lo ha portato per la prima volta fuori dalla zona del centro-sud America. Maximiliano è andato in Turchia, la vera patria dei future.
Tanti chilometri per trovarsi di fronte…un brasiliano. E per perdere nuovamente al primo turno. Nonostante la classifica da top-300 gli conferisse la palma di secondo favorito del tabellone, l’argentino non è stato capace di collezionare più di 5 giochi contro il 19enne Thiago Monteiro all’esordio nella manifestazione di Antalya. E il morale nei giorni che precedevano il secondo torneo a cui Maxi avrebbe preso parte, nonostante i successi conseguiti in doppio, non era esattamente dei più alti. Ad attenderlo il tedesco Jeremy Jahn, altro giocatore, altra storia. Non possiamo propriamente definirlo una delle maggiori promesse tedesche, il classe 1990 Jahn, tuttavia un tennista che, nel 2012, in maniera inaspettata, aveva colto ben tre finali future in patria. E per fermarlo si sono dovuti scomodare connazionali del calibro di Bastian Knittel e Jan-Lennard Struff. E con quale fatica. Insomma, la Germania sembrava aver trovato un altro giocatore da coccolare, quando un infortunio, a metà settembre, lo ha spedito ai box per diverso tempo. E proprio in Turchia, dopo quasi 7 mesi, Jeremy si palesava per correre nuovamente su un campo da gioco. L’avversario, come detto, sarebbe stata la prima testa di serie Maximiliano Estevez. Un giocatore in crisi, con la pressione derivante dal suo rango di favorito, contro un tennista al rientro: difficile attendersi dello spettacolo. E così è, perché nel primo set sono più i break che non i giochi in cui viene mantenuta inalterata la gerarchia del servizio; ed a sfruttare questa situazione è il tedesco. 6-2 il primo per lui, 4-2 avanti nel secondo. Estevez, fino a quel momento, aveva tenuto la miseria di un turno di battuta: Jahn, d’accordo, non gioca male, ma è al rientro e un tal avvenimento non era facilmente preventivabile. L’argentino, con orgoglio, con le unghie e con i denti, rientrava sul 4-4, ma era una mera illusione, perché qualche minuto più tardi arrivava il match point per il tedesco, sul tutt’altro che affidabile servizio del sudamericano. Titoli di coda? No, esecuzione rinviata, ma pareva veramente di pochi attimi, perché ne arrivava un secondo, di punto decisivo.
I tempi della sconfitta non erano però ancora maturi. Dopo che anche questo match-point si vanificava, il tedesco avrà riflettuto sull’occasione buttata, Estevez, invece, rendeva più ricco d’amore il suo fino a quel punto drammatico rapporto con il servizio e l’intera disputa assumeva di conseguenza contorni differenti. Estevez pareggiava il conto dei set (7-5) e poi, al termine di un pirotecnico set conclusivo, dopo essersi fatto breakkare avanti 5-4, l’argentino bissava, con medesimo punteggio, il risultato del set precedente, riassaporando finalmente il dolce gusto della vittoria. Al turno successivo, Maxi saggiava ancora negative sensazioni nella prima frazione e per buona parte della seconda, ma, sotto 5-7 2-4 contro il tedesco Tom Schonenberg – che di rientro dalla trasferta indiana sulla terra battuta ha voluto testarsi sul cemento turco – ha acciuffato il bandolo della matassa finendo col vincere per 6-3 al terzo, mentre ai quarti ed in semifinale ha dovuto sì sudare, ma solo per un set. Contro il dominicano, nonché suo compagno di doppio, Josè Hernandez si è trattato semplicemente di un banalissimo break da recuperare nella prima frazione (7-6 6-1 il risultato finale), mentre contro lo svizzero Yann Marti, oltre al ritardo accumulato ad inizio partita, Estevez ha annullato due set point consecutivi nel tie break, prima di volare in finale. Dove, a sorpresa, Maximiliano non ha sofferto per nulla, regolando con un doppio 6-1 il belga Julien Dubail. A capirci qualcosa….La vera “prova-Lazzaro” di Estevez, però, doveva ancora arrivare, perché nella settimana successiva, nella nuova tappa future turca, dove ricopriva il ruolo di secondo favorito dietro a Fabrice Martin – peraltro sconfitto all’esordio dal giovane teutonico Maximilian Marterer – dopo aver superato in maniera secca il moldavo Andrei Ciumac, il sudamericano viveva una vera e propria esperienza mistica nel derby che lo opponeva a Juan Ignacio Londero. Nuovamente vittima di evidenti problemi col servizio, Maximiliano, senza mantenere un servizio, perdeva di schianto la prima frazione per 6-1 e nella seconda, pur trovando la via per non farsi breakkare almeno in un’occasione, vedeva l’amico-rivale scappare sul 5-2 e battuta a favore. Tutto finito? Neanche per sogno. Londero non sfruttava la prima chance di chiudere, perdendo il game al servizio ai vantaggi, così come ai vantaggi Estevez si portava sul 4-5. Poi accadde l’irreparabile. Londero veleggiava tranquillo fino al 40-15, ovvero a due match point che apparivano un viatico sicuro verso i quarti di finale. Ed invece… Estevez risorgeva nuovamente, allungava la pratica al tie-break, dove prendeva e manteneva un vantaggio sin dai primi scambi e chiudeva al set decisivo per 6-2. Ai quarti ci sarebbe andato lui. Incredibile. Purtroppo, però, conquistare un secondo alloro dopo aver annullato almeno due match-point, un vero e proprio record da guinness dei primati, non sarebbe riuscito al nostro eroe, che dopo aver eliminato il britannico Tom Farquaharson, si sarebbe arreso in semifinale, per 6-1 6-2, nuovamente a Thiago Monteiro, unico tennista in terra turca, quindi, ad aver trovato l’antidoto per rendere inefficace Estevez non solo fino al match-point, ma anche oltre. Ci sarebbe qualche altro giocatore che ne avrebbe avuto davvero bisogno.
Se da Antalya ci fossimo spostati a Mersin, la città che quest’anno ospiterà i Giochi del Mediterraneo, non avremmo percorso molta strada e così facendo ci saremmo potuti imbattere in un giocatore che ha un background agli antipodi rispetto al nostro precedente protagonista, sebbene come lui sia nato nel 1989. Si tratta di Michael Linzer. Austriaco, qualche appassionato di tennis italiano se lo ricorderà per il fatto di aver vinto il ricco avvenimento di La Spezia nello scorso anno. Da quel momento, però, è cominciato il suo periodo nero, concretizzatosi prima in una serie di sconfitte consecutive e poi in un vero e proprio susseguirsi di ritiri che celano una condizione fisica non soddisfacente. L’ultimo, sulla cui tempestività ci sarebbe da discutere, si era manifestato contro il nostro Matteo Fago nel future turco numero 12, sempre ad Antalya, avvenimento che avrebbe preceduto la sua partecipazione al challenger di Mersin appunto, dove Linzer ha brillantemente superato il torneo di qualificazione. E qui è accaduto quello per cui ho deciso di scrivere di lui. Linzer, stando al ranking attuale, è il sesto giocatore austriaco, dietro a tennisti esperti come Melzer e Haider-Maurer e giovani promesse come Dominic Thiem e, non brillando nemmeno come doppista, per lui un posto in Davis è quanto mai chimera. Eppure… Lo scorso febbraio la nazionale austriaca è stata sconfitta per 3-1 dal Kazakhstan, perdendo 3 singolari su 3, nel primo turno del Gruppo Mondiale. Questa settimana, a Mersin, Michael ha vinto 2 singolari su 2 contro tennisti provenienti dal Kazakhstan, uno con Korolev, ritiratosi sotto 2-5, e uno con Mikhail Kukushkin, prima di arrendersi ai quarti di finale, al tedesco Bastian Knittel ed ai suoi, tanti, troppi, infortuni. Va bene, non era Davis e quant’altro, però Michael il suo segnale lo ha lanciato. E poco importa se la sua partita contro Knittel è durata appena cinque giochi e poco meno di mezz’ora, perché, a quel punto, quello che doveva emergere dalla sua prova si era già manifestato. Una cosa analoga, ahinoi, si potrebbe dire del povero iberico Miguel-Angel Lopez Jaen, che ormai 30enne vede i tempi in cui era un top-200 così drammaticamente lontani. Se Pablo Carreno-Busta, che ha visto la scorsa settimana la sua striscia di vittorie consecutive fermarsi a 39, è a ragione visto come l’emblema dell’armata spagnola che funziona e convince a livello ITF, il povero Miguel-Angel è l’altra faccia della medaglia: ci ha provato 8 volte, quest’anno, una volta anche da lucky loser, a superare il primo turno di un torneo, ma il suo tentativo non ha ancora trovato gloria. Siamo però certi che ci riproverà e ci riuscirà, prima o poi. Io, per ora, però, non punterei alcunché su di lui.
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