Michaella Krajicek, ora o mai più…

Michaella Krajicek
di Alberto Cambieri

Sono tantissime le storie di ragazze fortissime a tennis già intorno ai 14/15 anni che però poi, per motivi vari, si sono perse: le tante pressioni da parte di famiglia, fans e federazioni e le illusioni delle vittorie nel circuito juniores possono essere fattori determinanti per il loro mancato salto di qualità. Figuriamoci se poi la giocatrice in questione è (mezza) sorella di un vincitore Slam come Richard Krajicek, trionfatore a Wimbledon nel 1996: le pressioni su di lei sono state notevoli, ma nei primi anni di carriera è sembrata in grado di gestirle alla perfezione: moltissime vittorie a livello juniores, culminate con la conquista nel 2003 della posizione numero 1 del ranking di specialità e del titolo agli Us Open di categoria nel 2004.

Tutto sembrava far presagire a una carriera ad alti livelli, e così è stato dal 2005 al 2006 quando, seppur ancora minorenne (è nata nel gennaio 1989) Michaella Krajicek è balzata agli onori delle cronache per risultati decisamente impressionanti considerata la giovane età e per il non trascurabile nobile, a livello tennistico, legame di sangue con Richard. E’ riuscita infatti in pochissimo tempo a farsi strada tra le professioniste, debuttando in Top 100 nel giugno 2005 dopo il Roland Garros, ad appena 16 anni (ma all’epoca non esistevano ancora le limitazioni sul numero di tornei che le Under 18 devono invece ora rispettare al fine di salvaguardare le loro carriera in un’ottica soprattutto di lungo periodo) e raccogliendo scalpi importanti soprattutto sulle superfici rapide: nell’ottobre dello stesso anno si è aggiudicata il primo titolo a livello WTA nel torneo di Tashkent e ha poi messo in seria difficoltà la nostra Francesca Schiavone nelle semifinali di Hasselt qualche settimana dopo. Dotata di un servizio devastante, molto fluido come movimento (evidenti le somiglianze con la altrettanto efficace battuta del fratello) e capace di generare moltissimi servizi vincenti e aces durante ogni incontro, di una naturale capacita di colpire la palla in anticipo, in particolare con il rovescio, non ha certo faticato nel diventare una delle “ragazze terribili” di quella generazione; molti aspettavano lei e Nicole Vaidisova ad alti livelli in poco tempo (le due sono coetanee ma la ceca ebbe una crescita ancora più precoce dell’olandese), ma la storia ci ha purtroppo raccontato di due tenniste estremamente talentuose ma incapaci di resistere a livello di tenuta atletica e mentale alle fatiche del tour. Il 2006 della tennista di Delft è stato positivo tanto quanto il 2005: finale in Hopman Cup insieme al non irresistibile Wessels persa contro gli americani Dent e Raymond, secondo titolo in carriera la settimana successiva a Hobart, e poi terzo alloro in carriera conquistato nella “sua” ‘s-Hertogenbosch, sede di un torneo ora combined e diretto dal fratello Richard. All’epoca era una mina vagante in tutti i tornei, specialmente in quelli sul veloce, e si mise in evidenza, di fronte al pubblico di casa, per una prestigiosissima vittoria nei quarti in rimonta contro la Top Ten Dementieva e poi, in finale, per un successo fatto di tattica e maturità contro un’altra futura stella WTA all’epoca in rampa di lancio, Dinara Safina. Compiuti i 18 anni, il suo 2007 non partì nel migliore dei modi, ma seppe riprendersi a Charleston raggiungendo i quarti; il primo terzo turno in carriera raggiunto a Parigi e perso contro Serna fu il preludio per una trionfale cavalcata sui prati di Wimbledon, dove si spinse fino ai quarti; lì trovo un’ispirata Bartoli, anche lei sorpresa a quei livelli del torneo, capace però di gestire meglio della tennista olandese le pause per la pioggia: un 36 63 62 spinse la francese a disputare un’inaspettata semifinale che diventò poi una finale, persa contro un’ allora irraggiungibile Venus Williams. Nonostante la sconfitta, c’erano tutti i presupposti per continuare a credere nella possibilità di vedere la sorella di Richard ad altissimi livelli in poco tempo, ma così non è andata e il suo 2008 è stato l’inizio di una crisi tennistica che non ha mai saputo davvero arrestarsi. Le 10 sconfitte nei primi 10 incontri del 2008 all’epoca fecero scalpore perché la protagonista in negativo fu quella giocatrice classe ’89 tanto osannata ma ormai superata nettamente dalla coetanea Vaidisova, seppure anche lei ai tempi in leggera crisi, e dall’altro talento cristallino nato quell’anno, Victoria Azarenka. Quest’ultima in particolare ha saputo crescere e maturare costruendo una personalità che non piace a tutti nemmeno ora ma che risulta perfetta per affrontare il difficile mondo della WTA: all’epoca era difficile pronosticare chi delle 3 sarebbe diventata la tennista più forte, ma la storia ci racconta di una giocatrice bielorussa diventata fortissima, capace di vincere due Slam (e senza Serena sarebbero almeno un paio in più, ma questo discorso vale per tutte), e di rimanere a lungo al numero uno della classifica mondiale, e di una giocatrice olandese da sempre afflitta da problemi fisici, incapace di migliorare sensibilmente la sua condizione fisica e di rendere più completo il suo gioco basato sulla potenza.

Il 2009 e il 2010 non sono certo state stagioni memorabili, così come il 2008, ma nel 2011 i segnali di risveglio da parte di Michaella sembravano esserci: capace di chiudere l’anno al numero 93 del mondo, si pensava che quello potesse essere un nuovo punto di partenza per una carriera di nuovo ad alti livelli (ancora oggi il suo best ranking è di numero 30, raggiunto a inizio 2008), ma così non è stato. Mentre diventava sempre più difficile riuscire a trovare suoi incontri trasmessi in televisione o su Internet, ci si ricorda di lei in quegli anni per le wild card nel “suo” torneo di s’Hertogenbosch, sempre onorate al meglio ma che sembravano ricordare quanto fosse forte quella ragazza prodigio che non ha però mai saputo trasferire l’entusiasmo e le vittorie degli anni in cui era ancora teenager nelle stagioni successive, quando la maturità e la capacità di vivere al meglio l’ambiente del tour diventano esigenze fondamentali. Nel 2013 proprio in quel torneo conobbe Martin Emmrich, dignitoso doppista tedesco, figlio d’arte, che nel 2014 le fece la celebre proposta di matrimonio in diretta tv e sempre su quei campi in seguito alla vittoria della sua amata al primo turno contro la Cepelova: fu quello, senza essere troppo critici, l’unico highlight del 2014 della olandese (se si esclude qualche risultato in doppio, come le semifinali a Parigi raggiunte in coppia con la Hradecka perse contro le nostre Errani e Vinci), che pare però aver trovato nuova linfa in seguito alla celebrazione del matrimonio circa tre mesi fa.

La cerimonia tenutasi a Praga, città a cui la Krajicek è molto legata, sembrava poter rappresentare il definitivo distacco della tennista di Delft dal mondo del tennis, mentre invece le ha dato evidentemente la forza e le motivazioni per riprendere gli allenamenti anche per quanto riguarda il singolare (in doppio in questa stagione ha giocato con la Zahlavova raggiungendo discreti risultati): nelle ultime due settimane ha messo in fila 13 vittorie consecutive a livello ITF in America, vincendo il $75,000 di Albuquerque partendo dalle qualificazioni e il $50,000 di Las Vegas, tornando prepotentemente tra le prime 200 del mondo e dunque con la possibilità di poter provare le qualificazioni a Melbourne a inizio 2016. Specialmente nel torneo di Las Vegas ha sconfitto giocatrici non trascendentali ma di buon livello e che di certo non si battono da sole: la connazionale e altrettanto in crisi da anni Arantxa Rus, la “stellina” statunitense Vickery, l’ex promessa Glatch, la star del tennis universitario Gibbs e l’imprevedibile e potente Rogers sono giocatrici di tutto rispetto, che la Kraijcek è riuscita a mettere in fila una dopo l’altra perdendo appena un set contro la Vickery. Non possiamo sapere se questo sia davvero un nuovo inizio per la tennista olandese o se sia stato un episodio sporadico dovuto alla tanta frustrazione per vicende tennistiche ed extra non troppo positive, ma non ci resta che sperare che almeno una dei due talenti classe ’89, lei e la rientrante Vaidisova, riesca di nuovo a tornare a livelli che sembravano essere scontati per due giocatrici dotate di un gioco così “pesante”.

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