di Alessandro Mastroluca
E’ il personaggio della prima settimana, Aleksandra Krunic. Ha eliminato Petra Kvitova, è arrivata per la prima volta agli ottavi di uno Slam e per la prima volta entrerà in top-100 (sarà almeno n.91 da lunedì prossimo). Veloce di braccio e di pensiero, è un talento che contiene moltitudini con passioni a volte contrastanti, che si interessa di criminologia e di aerei, ma ha paura di volare. “Ho uno sponsor” ha raccontato, “un amico di mio padre che mi aiuta da quando ho 14 anni. Ho avuto tutto a disposizione, dovevo solo pensare a giocare. Ma allo stesso tempo quando è così non sai che ti serve, non sei abituata a lottare”. Conosciamola un po’ meglio attraverso le risposte che ha fornito a Spazio Tennis e quelle che ieri ha consegnato agli appassionati sulla pagina Facebook ufficiale degli Us Open.
“Ho iniziato a giocare quando i miei nonni mi hanno comprato una racchetta di plastica e una pallina di spugna” ci racconta. “La colpivo per tutta la casa e ho distrutto tutte le piante che avevamo, così quando avevo 4 anni i miei genitori mi hanno iscritto a una piccola scuola e a sette sono entrata allo Spartak dove ho incontrato il mio primo coach Eduard Safonov”. A 18 anni, poi, “mi sono trasferita in Slovacchia e ho lavorato con Mojmir Mihal per più di un anno. Poi dal 2013 sono tornata in Serbia, perché lì ho tutto, perché tutto il mio team è serbo, anche il mio preparatore Ivan Dimitrijevic e il fisioterapista Miroslav Cuckic. Penso sia stata la decisione migliore”. Curiosamente, proprio contro la Slovacchia, nel 2010, ha vissuto il momento più emozionante della carriera: la vittoriosa rimonta da 16 15 nel doppio decisivo per entrare nel World Group.
Con il suo nuovo team, ci spiega, “è scattato qualcosa, tutti hanno bisogno che accada ma non sai mai quando o sé succederà. Più che dal punto di vista tecnico, è la mentalità che è migliorata. E’ tutta una questione di testa, di riconoscere qual è il mio gioco, di capire che cosa mi riesce meglio in campo, di trovare un equilibrio tra ‘non preoccuparmi troppo’ e ‘non preoccuparmi troppo poco'”.
Un equilibrio che ha portato al grande exploit di New York. “Non mi aspettavo affatto questo risultato” risponde ai suoi tifosi su Facebook. “Non sapevo nemmeno come reagire dopo la vittoria con Petra Kvitova, non capivo nemmeno cosa provavo. Quando ho visto l’ultima palla andare larga, non capivo più niente volevo solo correre dal mio team, abbracciarli tutti e festeggiare”. Eppure, spiega, non è stata questa la partita mentalmente più difficile del torneo. “E’ stata durissima affrontare Katarzyna Piter, che è una mia grande amica, al primo turno. E’ stata dura, ma ho vinto la mia prima partita in uno Slam”.
Spiega che il suo tennista preferito nel circuito ATP è Novak Djokovic, che fa il tifo per lei. Prima del match di secondo turno contro Madison Keys, ha rivelato Aleksandra, “ho dovuto cacciarlo da una saletta tranquilla accanto alla palestra. Dopo la partita, scherzando mi ha detto: buttami fuori tutti i giorni, se poi giochi così bene”. Non c’è solo Novak a supportarla. “Lui mi dice ‘è solo l’inizio’ e cose del genere, è bello. Anche Jelena Jankovic mi aiuta, mi dà un sacco di consigli. L’altra sera poi siamo usciti insieme con tutti i giocatori serbi presenti qui”.
Oltre a Jelena Jankovic, la sua compagna nel memorabile doppio in Fed Cup, le piace guardare Agnieszka Radwanska. In passato, racconta, “ho visto tantissime partite di Mary Pierce e Kim Clijsters”.
“La terra rossa è la mia superficie preferita”, ma è sul duro che ha ottenuto i risultati migliori, a New York e a Baku dove ha raggiunto i primi quarti WTA in carriera. Prossimi obiettivi? “Vorrei entrare nel main draw degli Australian Open l’anno prossimo e raggiungere la top-50”.
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