Sono stati per anni predestinati a diventare gli eredi di Nadal, con una pressione mediatica addosso che neanche un monaco tibetano avrebbe sopportato. Uno zaino pieno di pietre sulle spalle, che ha reso molto difficile il loro passaggio al professionismo. E, come se non bastasse, sono subentrate le lesioni, gli stop e i tentativi di ripresa. Non so se sia una caso o no, ma proprio in questo week-end in cui tutti gli sguardi sono rivolti verso l’emisfero australe per i preliminari del primo Slam della stagione, i loro nomi sono tornati alla ribalta, anche se in teatri secondari.
Non stiamo a ripercorrere la storia accidentata di Carlos Boluda, che un po’ di anni fa vinceva il doppio di quello che aveva fatto Nadal alla sua età e che tutti gli addetti ai lavori davano come sicuro top player. Ne abbiamo anche parlato recentemente su Spazio Tennis, prima in un articolo e poi in un’intervista. L’anno scorso i primi segni di ripresa sotto le ali protettrici del saggio Óscar Burrieza, che riesce a fargli ritrovare la strada della fiducia smarrita. Poi una nuova lesione, l’ennesima, questa volta una fascite plantare, dolorosa e complicata da curare. Molti mesi fermo, poi un tentativo fallimentare di rientro a fine anno, in tornei sperduti e lontani dalle luci dei riflettori. Ma questo magico fine settimana gli ha regalato la prima vittoria a livello pro in carriera, nel Futures dell’antica città sumera di Kish, in Iran, lontano anncora una volta dalle luci dei riflettori che a suo tempo lo avevano accecato. Il suo è stato un percorso netto, con cinque vittorie in due set facili, finalmente aiutato anche da un po’ di fortuna, perché ha incrociato la racchetta con con giocatori che navigano intorno alla sua attuale posizione, oltre la seicentesima, per quanto possa vantare come best ranking il nº 556, raggiunto nel maggio dell’anno scorso. Gli auguriamo che questo possa essere l’inizio di un’altra storia, anche perché, nonostante il suo percorso così tortuoso, in fondo non ha ancora 22 anni e ha tempo e diritto di provarci. Provare a diventare un professionista vero, non provare ad essere Rafa Nadal. In una recente intervista il suo coach ha detto che è molto difficile che possa diventare un crack, come si pensava un tempo. E se lo dice lui…
Javier Martí, classe 1992, quindi di un anno più “vecchio” di Boluda, ne condivide in parte la storia. Anche lui stravinceva nelle varie categorie giovanili ed anche a lui fu cucita addosso una lettera scarlatta con la “P” di Predestinato, e in regalo un altro zaino pieno di pietre. E anche per lui in dotazione un fisico delicato e non sufficientemente possente per il corpo a corpo con i pro. Però, prima della lesione al gomito che lo ha costretto ad operarsi dopo le qualificazioni di Wimbledon 2013 e a più di un anno di riposo forzato, dei buoni risultati li aveva ottenuti: 170 al mondo a vent’anni, qualche vittoria Futures, qualche buon risultato a livello Challenger, e addirittura un primo turno al Roland Garros. Nella seconda parte del 2014 anche per lui un rientro non eclatante (se si eccettua una vittoria in un 10.000 dollari in Croazia), e una classifica di fine anno intorno al numero 800. Nel primo impegno del 2015, il Challenger di Casablanca, è invece arrivato in finale, anche lui con un percorso relativamente facile e con avversari non impossibili, ma comunque una finale che significa buona forma, fiducia e circa 300 posizioni conquistate. Oscar Burrieza, il coach-psicologo di Boluda, l’ha allenato fino a non molto tempo fa (prima che decidesse di proseguire sotto la guida di suo padre) e sono sicuro che ne sarà felice. Questi successi vanno anche dedicati a lui.
Questo è stato il week-end delle seconde opportunità. Chi ha stoppato Martí in finale è un altro ex predestinato, Lamine Ouahab, ormai trentenne e molto giù in classifica, ma con una promettente carriera come junior (4 del mondo nel 2002 e finalista a Wimbledon) e un tennis niente male, che meriterebbe davvero di più. Anche Victor Troicki, dopo la sua squalifica per doping, è tornato a vincere, aggiudicandosi il titolo a Sidney, dove c’era pure Juan Martín del Porto, che è riapparso dopo più di un anno. È arrivato ai quarti, battendo Stakhovsky e Fognini, ma purtroppo il suo polso dolorante l’ha già obbligato a dare forfait per gli Australian Open.
Chi per il momento non ha bisogno di seconde opportunità è invece Jiri Vesely, che è andato a segno al primo colpo ad Auckland. Il giocatore ceco, per la cronaca,è praticamente coetaneo di Martí e Boluda. Ma ognuno ha la sua storia, il suo momento e le sue chances.
Leggi anche:
- None Found