di Alessandro Mastroluca
Se non uccide fa crescere. Potrebbe essere questo il motto di Marin Cilic, il più sorprendente vincitore degli Us Open della storia recente. Contro Nishikori, ha chiuso la sua personale settimana da dio con 17 ace, 13 al centro, solo nove punti persi con la prima e il doppio dei vincenti del giapponese un po’ smarrito, 38 contro 19. Si è concesso anche un game perfetto, quattro ace di fila, sul 63 32, e ha iniziato il terzo set con tre ace consecutivi nel primo turno di battuta. Ha eguagliato il suo best ranking di numero 9, ha estromesso Murray dalla top10 per la prima volta dal 2008 e si è di fatto conquistato un posto al Masters di fine anno, che ammette di diritto i vincitori degli Slam se chiudono l’anno tra i primi 20 in classifica.
Cilic ha dominato ogni distretto del gioco. Ha preso rischi, ma ha comunque commesso meno errori del giapponese, 27 contro 30. Ha servito in media a 200 orari, Nishikori a 180 kmh. Nishikori ha perso più punti sia negli scambi brevi, sia in quelli lunghi: 62-45 il bilancio per il croato per i punti chiusi entro il quarto colpo, 18-16 per i punti durati tra i 5 e i 9 colpi, 13-7 per quelli sopra i nove. Soprattutto, Cilic ha vinto 48 scambi da fondo contro 42, compreso lo sfiancante scambio da 23 colpi che l’ha portato al break del 3-1 nel terzo set grazie all’errore di rovescio di Nishikori. Ha costruito un determinante vantaggio competitivo con profondi rovesci slice per tenere l’avversario in difesa e poi chiudere con l’accelerazione di dritto.
Cilic arriva al tennis quasi per caso, a sette anni. Non è facile appassionarsi a questo sport a Medjugorie, dove è nato, perché non ci sono campi da tennis fino al 1991. Da bambino gioca a calcio e a pallamano, passioni che finiscono in secondo piano, però, per lo scoppio della prima guerra dei Balcani. La città delle apparizioni e dei miracoli viene risparmiata dai danni del conflitto, che distrugge molti paesi vicini. E alla fine della guerra Cilic inizia la sua nuova vita.
Nel 1995 una sua cugina, Tanja, visita Medjugorie dalla Germania. Scoppia qui l’amore per la racchetta. “Giocavo tre volte la settimana” ha raccontato Cilic. “Il mio primo allenatore mi ha insegnato la tecnica di base, e dopo un po’ ho iniziato a vincere diversi tornei locali”. Ma non gli basta, per questo lascia la famiglia e va a Zagabria. Qui nel 2002 incontra per la prima Goran Ivanisevic, che adesso è tornato a fargli da coach.
“Quando abbiamo iniziato a lavorare” ha spiegato Cilic, “Goran mi ha detto che il mio tennis doveva essere aggressivo. Il più delle volte mi concentravo troppo sulla tattica e non sul mio gioco. Mi ha aiutato molto dal punto di vista mentale, mi ha insegnato a essere più solido in campo e più duro con me stesso in allenamento. E soprattutto adesso mi diverto molto di più in campo rispetto agli ultimi anni, quando ho cominciato a pensare troppo al risultato. Non è stato facile cambiare prospettiva, cambiare approccio. Mi ci sono voluti cinque, sei mesi per riuscirci e ora capisco che è la cosa giusta per me. Ovviamente anche il servizio è enormemente migliorato, e tutto il resto è venuto di conseguenza”.
“Me l’hanno portato quando aveva 13 anni e mezzo” ha spiegato Ivanisevic, che qualche anno prima aveva preannunciato ad un giornalista britannico, durante una conferenza stampa a Wimbledon, di tenere d’occhio un ragazzino inglese che secondo lui avrebbe fatto strada: Tim Henman. Ivanisevic presenta Cilic a Bob Brett, che ha portato Becker al titolo a Wimbledon nel 1991. “Dopo sei mesi il tennis è diventata la mia priorità” racconta Cilic. “Già allora muoveva l’avversario, dettava gli scambi anche se non aveva grande potenza. Però leggeva benissimo il gioco. E poi era preparato al duro lavoro, ed è questo che fa la differenza. Marin è uno che impara presto, è facile lavorare con lui” ha spiegato Brett, che ha smesso di seguirlo dopo gli screzi seguiti alla squalifica dell’anno scorso per positività alla nikethamide, nota col nome commerciale di Coramina, contenuta nelle zollette di zucchero acquistate in farmacia dalla mamma di Cilic a Montecarlo; squalifica che viene rivelata ai giornali dopo Wimbledon, quando il croato, si legge nella sentenza, si è ritirato fingendo un infortunio per evitare la pubblicità negativa.
Il debutto tra i pro non è dei migliori. Perde presto, 6-4 6-2 da Francisco Costa, al challenger di Zagabria del 2005. Ma una settimana dopo trionfa al Roland Garros junior: chiuderà la stagione da numero 2 ITF dietro Donald Young. Nel 2008 il primo dei 12 titoli in carriera, a New Haven. Non ha grandi sensazioni all’inizio, beneficia del ritiro di Troicki, poi il suo gioco cresce fino al successo finale contro Fish.
Da New Haven al Seventh Heaven, al settimo cielo, Cilic ne ha fatta di strada. Con un solo motto, sempre lo stesso, che ha ripetuto anche nella cerimonia di premiazione sull’Arthur Ashe: lavora duro, le soddisfazioni arriveranno.
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