Ho conosciuto Renato Fontana un paio di estati fa in un villaggio vacanze in Sardegna e ci presentammo dopo che aveva avuto il coraggio di assistere ad un set tra mio fratello ed il sottoscritto, che vi assicuro non dev’essere uno spettacolo gratificante; da lì trascorremmo la settimana giocando quotidianamente, per lo più in doppio, ed ho quindi avuto il piacere di ascoltare chicche di ogni tipo sulla sua attività, sportiva e non (perché come tiene a sottolineare “non sono mai stato neanche lontanamente un professionista. L’unico periodo in cui mi guadagnavo da vivere con la racchetta è stato uno spazio di qualche mese in cui ho fatto l’istruttore in un club vacanze, prima del servizio militare”). Residente a Lugano, oggi sfiora i sessant’anni in modo sublime, con il suo velenosissimo rovescio in back e un’ottima presenza a rete, fondamentale per coprire gli scempi sportivi che chi vi scrive commetteva quando in coppia con lui; la nostra chiacchierata inizia dal suo approccio al tennis: “Ho iniziato a giocarlo verso i dodici anni, in tempi in cui era tutt’altro che facile accedere ai campi; era uno sport d’elite, le associazioni erano chiuse dall’interno ed era complicato senza avere un genitore o un contatto che ti inserisse nell’ambiente. Ho coltivato di pari passo anche il calcio fino alla maggiore età, poi la situazione si sbloccò e tornai al mio primo amore.” Renato mi spiega poi come abbia fatto e in che modo abbia partecipato alla vita della federazione del proprio paese, esaminando con estrema precisione tutto l’assetto strutturale dell’organizzazione: “Da noi sono i club tennistici che compongono l’associazione cantonale (paragonabile a qualcosa di intermedio tra comitato provinciale e regionale in Italia), e le singole associazioni cantonali si uniscono in quella che è l’associazione nazionale federale che adesso si chiama Suisse Tennis. Ogni livello di amministrazione sceglie poi dei delegati che lo rappresentino, ed io ho ricoperto ciascuno di questi ruoli, in carriera; inoltre, cinque anni presidente del club con cui abbiamo poi vinto due titoli svizzeri, in seguito responsabile della sezione tecnica per più di dieci anni”. Parla con nonchalance di parecchi aneddoti invidiabili, per cui gli chiedo quale sia l’aspetto che più gli manca, di quel mondo: “Da responsabile tecnico di un club, vedi i ragazzini che crescono e attraversano le varie categorie, e perché no arrivare anche a livello internazionale. Abbiamo avuto Roberto Parli (diventato ben più famoso per i gossip sul suo matrimonio con Adriana Volpe) che è stato attorno alla trecentesima posizione mondiale, e sapere che è cresciuto nel nostro vivaio è senz’altro una enorme soddisfazione”.
Spostiamo il focus sul tennis giocato, con copiose battute sulle mie indegne performances sarde, e mi parla della sua attuale visione dell’attività agonistica; non parteciperà al torneo di Roma, ma offre spunti interessanti sulla realtà della competizione over: “Nelle buone intenzioni c’è sempre l’idea di effettuare preparazione e programmazione oculata; alla nostra età però gli acciacchi sono più frequenti, quindi spesso siamo costretti a modificare i nostri obiettivi o le nostre idee. Con il passare degli anni, aimè, si passa più tempo a curarsi che a prepararsi, almeno secondo la mia esperienza. Quanto al campo dei partecipanti, non si può assolutamente parlare di professionismo; moltissimi sono maestri di tennis nazionali, ma nulla di più. Qualche eccezione è costituita da ex giocatori; nella squadra con cui abbiamo vinto nel 2010 avevamo Miguel Mir (ex Davis-man iberico, seppur con risultati tutt’altro che esaltanti)”. Quindi quali sono le intenzioni per questa stagione in corso? “L’obiettivo di quest’anno è la qualificazione all’Europeo a squadre; ogni anno i campioni nazionali, assieme ai runners-up, hanno diritto a partecipare ai campionati continentali della categoria. Noi ci siamo già qualificati tre volte, due delle quali come vincitori, anche se in passato abbiamo dovuto rinunciare a causa dell’importante impegno economico che la partecipazione comporta; gli europei si svolgono ad Alicante, quindi anche se non spropositate, le spese sono comunque ragguardevoli”.
Andando un po’ più a fondo, gli chiedo quali pensa possano essere i margini di miglioramento che la competizione over potrebbe avere: “Onestamente credo sia in generale ben organizzati; bisognerebbe forse evitare che i tornei vengano ospitati da strutture non adatte. A volte capita di assistere a scene di sovraffollamento degli spazi o di ritardi e cose simili; altre volte il club non comunica chi è l’avversario, che magari è la prima di testa di serie e sei costretto a sobbarcarti una trasferta internazionale per poi tornare a casa il giorno dopo. So che sembra antisportivo, ma nella nostra categoria è abbastanza frequente non partecipare in caso di sconfitta quasi certa, proprio perché i costi, anche psicofisici, diventano eccessivi, e invece le organizzazioni pur di non perdere iscritti non si fanno scrupoli. Io mi muovo in auto, ma c’è chi viene dalla Grecia o dall’Inghilterra”. Abituato a leggere e vedere del Senior Tour, mi incuriosisce poi sapere se le condizioni di un eventuale ritorno economico possono giustificare una pseudo carriera da professionista anche in ambito over: “Assolutamente no! Uno dei tornei più pagati in assoluto è quello di Klosters, a duecento chilometri da casa mia, ed il montepremi è di diecimila franchi, ma da suddividere per ogni categoria di competizione; ai finalisti garantiscono l’hospitality, ma più di questo non si trova da nessuna parte. Le competizioni a squadre invece permettono una prospettiva più interessante, perché prevedono un regime a gettone o a ingaggio; un paio di anni fa Mir fu contattato da una squadra tedesca che gli ha proposto diecimila euro per una stagione, quindi non chissà quale stipendio, ma meglio averli che perderli! Io personalmente sono professionista nel mio ambito lavorativo, quindi continuo per divertimento e passione”.
Chiudiamo Skype tra le risate. Grazie infinite Renato, ed in bocca al lupo!