L’esenzione, i messaggi, la sveglia e la finale. Deborah Chiesa: “Così ho rischiato di saltare Antalya”

Oltre quattro anni dopo l’ultima volta, Deborah Chiesa è tornata in finale in un torneo internazionale. La trentina classe ’96 è giunta all’ultimo atto dell’ITF $15.000 di Antalya, in Turchia, in cui è stata sconfitta dalla greca Sapfo Sakellaridi. Un secondo posto prezioso in ottica ranking mondiale ma soprattutto pensando alla continuità di cui necessita l’ex numero 143 WTA dopo gli svariati problemi fisici superati e con i quali ancora combatte. Su tutte l’artrite, che ha rischiato di compromettere la trasferta della giocatrice del Piccari&Knapp Tennis Team di Anzio.

A metà marzo mi sono tornati alcuni sintomi dell’artrite – racconta Deborah -, così il mio reumatologo Massimiliano Limonta, che ringrazio di cuore per la pazienza, mi ha prescritto una piccola dose di cortisone. A quel punto avevo bisogno del TUE (Therapeutic Use Exemption, ndr), l’esenzione da parte dell’ITF, come fatto tre volte durante la scorsa stagione. Rispetto al passato, in questo caso per concedermelo mi hanno chiesto mille referti e documenti, tanto da costringermi a saltare il primo torneo che avrei dovuto disputare ad Antalya. Ho sfruttato il weekend per sottopormi a visite ed esami a Bergamo, tutto ok”.

La documentazione non arriva, ma la voglia di scendere in campo spinge l’atleta a fare una insolita scelta: “Abbiamo inviato decine di mail, non sapevo più cosa mandare in allegato. Non si sa bene per quale motivo, nonostante la mancata autorizzazione ho deciso di non cancellarmi dal secondo torneo, quello della settimana di lunedì 28 marzo”. Scelta che paga: “Il giorno prima, domenica, aperti gli occhi ho trovato la mail delle 7 con l’esenzione da parte dell’antidoping”.

Fretta e giustificata violenza, in un momento come questo, sono le parole chiave: “Dovevo fare le valige, ma soprattutto dovevo avvertire le persone. Mando un messaggio ad Alessandro Piccari, mando un messaggio a Marco Mosciatti, che doveva partire con me in veste di coach. Niente. Nessuna risposta. Ho pensato che tu, Matteo, avresti potuto svegliare tuo fratello in malo modo, così ho scritto anche a te”. Mission complete.

Tutto è bene quel che finisce bene: “Ero contenta solo di poter tornare in campo a competere, figurati della finale raggiunta. Ho rischiato di saltare il torneo che spero rappresenti per me la ripartenza dopo anni molto complicati. Non mi voglio più fermare”.

 

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