di Paolo Silvestri
Chissà che cosa sarà passato per la testa di Juan Carlos Ferrero il 10 dicembre del 2000, alla fatidica ora taurina de las cinco de la tarde, quando aspettava il servizio di Lleyton Hewitt sul punteggio di 6-2 7-6 4-6 5-4 e con un match point a disposizione. Quella palla doveva pesare più di un tomo dell’Enciclopedia Britannica, quello contenente la voce “Davis Cup” che Mosquito, allora ventenne, aveva la possibilità di riscrivere, aggiungendo per la prima volta la Spagna nel novero delle vincitrici della competizione a squadre più antica e prestigiosa. Quel “Davis point” aveva anche il sapore di una doppia rivalsa, perché nelle due uniche e lontane finali giocate dalla Spagna, nel ’65 e nel ’67, proprio l’Australia aveva inflitto sull’erba di casa due sonori 4-1 a Santana &C. La vendetta è un piatto che si serve freddo.
Sulla terra rossa del Palau Sant Jordi di Barcellona le cose non erano per la verità cominciate con il piede giusto per via della vittoria di Hewitt in cinque set ai danni di Albert Costa. Il G4, ossia il quadrumvirato di capitani composto da Javier Duarte, Josep Perlas, Juan Avendaño y Jordi Vilaró, pareva aver sbagliato a escludere dal singolare Corretja, in quel momento il numero uno spagnolo (nº8 Atp), decidendo di schierare Costa (nº25) e Ferrero (nº12) e relegando il buon Álex al doppio a fianco di Balcells, una coppia creata proprio quell’anno, ma che era stata fondamentale nei turni di qualificazione in cui la Spagna aveva superato nettamente (e giocando sempre in casa) Italia, Russia e Stati Uniti. Ma la Storia della Davis è anche segnata dalle decisioni impreviste e coraggiose dei capitani, e i quattro “capitani coraggiosi” dimostrarono di averci visto giusto.
Nel secondo incontro Ferrero, l’eroe di quella finale, batte Rafter in tre set e mezzo, complice il ritiro dell’australiano che si inciampa mentre esegue una volée. Si chiude così la prima giornata sull’uno a uno: una situazione classica, che sposta peso e responsabilità sul punto decisivo del doppio. E agli spagnoli non tremano le gambe pur trovandosi di fronte uno dei più grandi specialisti, Mark Woodforde, in questo caso affiancato però da Sandon Stolle e non dal fido Todd Woodbridge. Onore al merito a Corretja per la sua umiltà ed intelligenza (qualità che ben conosciamo), ma anche a Joan Balcells, che pur non essendo stato un grande campione dimostrò in quella e in altre occasione di avere la stoffa del davisman. Con la sua bandana, i suoi basettoni da bucaniere, il suo aspetto da mercante di tappeti persiani e il suo potente servizio, ebbe la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto e di entrare così anche lui nella storia del tennis iberico.
Sul 2-1 per la Spagna è il turno di Ferrero, che avevamo lasciato in attesa del servizio di Hewitt e con un match point (il quarto) a disposizione. Doppio fallo. La tensione si taglia col coltello. Juan Carlos saltella e si sposta a destra e a sinista, in modo eccessivamente vistoso e con un pizzico di malizia, ma il fine giustifica i mezzi. Uno scambio interlocutorio, poi Lleyton fa onore ai suoi attributi e scende a rete, ma lo spagnolo lo passa con un preciso lungolinea di rovescio e si accascia a terra. Gioco, partita, Davis:
È lui per un momento re Juan Carlos di Spagna, rubando tutto il protagonismo al vero re Juan Carlos, in tribuna insieme a tutti i notabili spagnoli. Proprio tutti no, a dire il vero. José María Aznar, allora presidente del governo, era a Nizza nel summit in cui si stava discutendo uno dei trattati fondamentali dell’Unione Europea. Insomma, non era proprio una cenetta per farsi gli auguri di Natale, ma Aznar (a proposito di attributi) al ricevere la notizia della vittoria interruppe la sessione esclamando: “Un momento! La Spagna ha appena vinto la coppa Davis”, al che il presidente francese Jacques Chirac ribatté divertito con un “Che si verbalizzi!” fra gli applausi degli astanti.
Ferrero in lacrime, osannato dal pubblico, abbracciato dai compagni, portato trionfalmente a spalle in una vuelta al ruedo da Corretja (umiltà e intelligenza, appunto), mentre il veterano Andrés Gimeno ai microfoni della Tv non riesce ad articolare un commento decente per via della commozione. Questi sono i fotogrammi ingialliti e melodrammatici che rimangono di quella vittoria, a cui ne seguirono come è noto altre quattro (2004, 2008, 2009 e 2011) e due finali (2003 e 2012). Cinque coppe e due coppette in una decina d’anni, ovvero come recuperare il tempo perduto.
Adesso invece i corsi e i ricorsi della storia obbligheranno la squadra spagnola a cercare di recuperare la serie A dopo la recente sconfitta con il Brasile, paradossalmente con una squadra migliore, almeno in potenza, di quella del 2000, Nadal in testa. A proposito, chissà che cosa stava facendo Rafa durante quel fine settimana di dicembre del 2000. La domanda è retorica, perché lo sappiamo bene che cosa stava facendo, e se no ci sono le foto ufficiali a testimoniarlo. Faceva parte della squadra in qualità di… portabandiera!
Finale Davis – World Group 2000
Palau Sant Jordi, Barcelona (Clay Indoor)- 8-10 dicembre
SPAGNA 3 – AUSTRALIA 1
Hewitt b. Costa 3-6, 6-1, 2-6, 6-4, 6-4
Ferrero b. Rafter 6-7, 7-6, 6-2, 3-1 (abbandono).
Corretja-Balcells b. Woodforde-Stolle 6-4, 6-4, 6-4.
Ferrero b. Hewitt 6-2, 7-6, 4-6, 6-4
Costa-Rafter: non disputato.
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