di Luca Brancher
Il caso in diverse circostanze sa essere a tal punto beffardo che pensare di prevederlo, o immaginare di poterlo davvero predire, risulta un’azione ascrivibile al rango di eresia. Un’azione eretica. Eretica come la considerazione che si può possedere di presunti campioni, a margine di carriere che un’attenta analisi, se effettivamente scevra da ogni condizionamento emotivo, non avrebbe mai permesso venissero infarcite di elogi a tal punto ridondanti da suonare falsi come la musica irradiata dal proverbiale organo della chiesa di Baggio (quartiere di Milano, non calciatori o vincitori di World Peace Award). Eretico come l’assistere ad una tennista rumena che si laurea campionessa in un torneo disputato a Niteroi. Niteroi, per i meno avvezzi, è una città in continua espansione, oltre che meta di un turismo sempre più sfrenato – e paese natale di Leonardo Araujo do Nascimento – nonché unico centro cittadino brasiliano fondato da un indio – Tupi, per la precisione. Insomma, un luogo particolare, che sorge ad oriente della Baia di Guanabara, che la separa da Rio De Janeiro, capitale di quella regione. Niteroi è quindi un posto non comune, per varie e diverse ragioni, di cui una di nostra competenza: il successo di Alexandra Cadantu, 20enne, rumena. Appunto, rumena, perché, per quanto ci sforziamo di pensare al tennis come ad uno sport globalizzato, ben conosciamo quanto questo assunto perda un po’ di valore se ci riferiamo al circuito inferiore, dove un legame con la propria terra, per la vincitrice, non è un elemento di secondaria importanza. Al via, della kermesse da 25.000$, ben 11 atlete brasiliane, 8 equamente distribuite tra argentine e statunitensi, poi cilene, boliviane e qualche europea: russe, francesi, austriache e 2 rumene. Agnes Szatmari e Alexandra Cadantu. Per Alexandra era tutto nuovo: mai, infatti, prima di allora si era esibita sul suolo sudamericano, o americano in generale, visto che in sparute occasioni, e sempre con un’unica destinazione – l’Egitto – si era spinta fuori dall’Europa. D’altronde, a pensarci bene, non era un atteggiamento poi così conservativo, perché la Romania offre diverse possibilità sotto forma di manifestazioni ITF, e, quando da Bucharest e città limitrofe non giungono opzioni in tal senso, tante chances si sprecano nel resto del Vecchio Continente. Tuttavia, come ci insegnano nei più svariati ambiti, viaggiare è un modo rapido e talvolta indolore per crescere, per cui anche Cadantu si è sottoposta alla prima lunga trasferta di un certo spessore, recandosi a Niteroi. Dove, nella sorpresa generale, ha saputo imporsi facendo leva su un’esperienza inusitata, soprattutto in finale, dove non si è lasciata suggestionare dalle altalene di punteggio che hanno contraddistinto il suo scontro contro la seconda testa di serie Julia Cohen: 6-1 1-6 6-1 e felice epilogo carioca. Il quarto titolo stagionale, il primo fuori dal non appagante circuito dei 10.000 dollari, il secondo lontano dalla Romania, dopo quello egiziano del mese scorso, al sesto tentativo in finale. Numeri che delineano una stagione tutt’altro che negativa, brillante come lo è stata per molte altre sue connazionali, che, come spesso accade, si innalzano a regine ITF, per poi diventare delle chimere a livello WTA. La stagione di una presunta, possibile, big, nonché coetanea di Cadantu, Sorana Cirstea non è stata salutata con i favori del pubblico rumeno, mentre nei panorami internazionali secondari spopolano tenniste di tutte le età: a partite dalle 1993, come Stomlega, Dinu, Radu, per continuare con Elena Bogdan, Mitu, Buzarnescu, Andrei, Begu e via dicendo, tutte giocatrici con all’attivo almeno un trofeo nel corso del 2010. E non solo. I record che al momento sono detenuti da giocatrici con in comune la bandiera “rosso-giallo-blu” sono dei più variegati, a partire da quelli conquistati dalla rientrante Madalina Gojnea da Ploiesti, unica a vincere 6 titoli ITF nella stagione e unica ad aggiudicarsi ben 63 partite nello stesso arco temporale, potendo così permettersi di urlare “Yes, I am”. Infinita, invece, sembra l’annata di Diana Enache: ne avevamo già scritto, quando sorniona languiva al quinto posto di quella classifica di novelle stakanoviste, ai tempi in cui a guidare c’era Julia Mayr. E’ corretto coniugare il verbo al passato, perché Enache, complice il suo rapporto amoroso con le kermesse da 10.000$, ha messo la freccia, prima, e non ha tolto il piede dall’acceleratore, poi. La sua vittoria maiorchina su Karin Knapp la porta a quota 89 partite disputate, +6 su Mayr e Bergot, che, collezionando primi turni, ma giocando con un’imperturbabilità stoica, si è quantomeno meritata di spartire il secondo posto con l’altoatesina. Per quanto concerne la più anziana Enache sul circuito – c’è anche Claudia Antonia, classe 1994 – lasciatecelo dire: ormai è imprendibile, vediamo dove e quando si fermerà. La Romania sale a quota 29 titoli stagionali – + 1 Wta, il consueto successo di Dulgheru a Varsavia – seconda dietro all’Italia: sarà a lungo seconda?
RE E REGINA DELLA SETTIMANA
La tennista ITF della settimana. Che trasmettano un pochino di tristezza, i tabelloni incompleti che spesso compaiono in questo particolare momento della stagione, soprattutto in ambito femminile, è un fatto risaputo, la cui unica panacea è vedere quantomeno trionfare, in queste competizioni così monche, delle possibili future buone giocatrici. A Quito, ad esempio, a vincere è stata la 17enne Marie Elise Casares, al primo hurrà in carriera al termine di una settimana in cui gli ostacoli da affrontare, invece dei consueti cinque, per la problematica prima esposta, si sono ridotti a quattro. Forte della prima testa di serie, Marie Elise ha trionfato senza evidenti difficoltà, ma non per questo ci sentiamo di svilire questo primo, importante, passo vittorioso nel mondo delle grandi. Tra l’altro, è anche il primo successo assoluto dell’Ecuador in ambito rosa: piccole Lapentti crescono?
Il tennista ITF della settimana. Per troppo tempo è stato accompagnato dall’odiosa etichetta di “più scarso vincitore dell’ultimo decennio nel Torneo Bonfiglio”. Un pochino composito, come titolo, a dire il vero, eppure Sebastian Rieschick, classe 1986, tedesco, non aveva di certo regalato spessore all’albo d’oro del torneo under 18 milanese, pur avendo superato giocatori del calibro – a rileggere il passato si scoprono cose impensabili – di Kevin Anderson, Fabio Fognini, Robin Haase e Juan Martin Del Potro. In effetti Sebastian per mantenere una classifica poco meno che dignitosa nel mondo ATP aveva dovuto viaggiare e non poco, facendo punti in posti sperduti. Non che l’abitudine gli sia completamente scomparsa, a dirla tutta, però Sebastian, anche grazie ad una programmazione più ambiziosa, pare essere molto più convincente. Di certo non al punto di diventare il nuovo Carlos Moya, tuttavia il teutonico quest’anno conta già cinque titoli a livello ITF, conquistati nelle sette prove più recenti cui ha preso parte. Nelle ultime due settimane, Rieschick ha centrato bottino pieno in due tornei da 15.000$ tra Esperance, Australia, e Wellington, Nuova Zelanda, battendo in finale sempre Brydan Klein. Forse quella scomoda etichetta sarebbe anche ora venisse rivisitata.
BABY D’ORO (migliori risultati degli under 18)
La scorsa settimana ci siamo addentrati in maniera piuttosto approfondita sulla qualità delle seconde linee francesi maschili, mentre un’analisi di poco precedente aveva fatto emergere, anche se non in maniera esplicita, che, in ambito femminile, le tenniste transalpine avessero un’età media tale da scoraggiare una rosea visione del futuro. Ora, quelle conclusioni, come abbiamo modo di vedere dalla prima tabella che vedrete comparire qui sotto, non sono assolutamente venute meno, sebbene la settimana appena conclusa registri quantomeno un piccolo cambio di rotta, rappresentato dalla finale ottenuta nel torneo da 10.000$ di Equeurdreville, da Clothilde De Bernardi, sconfitta in un atto conclusivo tra wild card dalla connazionale Jessica Ginier. Per De Bernardi, 16 anni compiuti lo scorso martedì, un’ottima apparizione, considerato che quello nella Bassa Normandia era il secondo torneo in assoluto tra le professioniste. Oltre ad emulare la medesima prestazione fornita, solo 12 mesi prima, proprio in questo torneo, dalla coetanea tedesca Annika Beck, che veleggia ai primi posti della graduatoria ITF ristretta alle 1994, dietro soltanto all’ucraina Kateryna Kozlova e al pari di Laura Robson
Se l’intenzione che si cela dietro l’organizzazione di un torneo future fosse realmente quella di dare la possibilità ai giovani della propria terra di sfondare nel mondo del professionismo, senza falsa modestia i “padri” della manifestazione ceca di Roznov pod Radhostem, estremo oriente della nazione centro-europea, possono affermare che la loro missione è stata compiuta. Appieno. Perché se la finale è stata vinta dal “vecchio”, classe 1982, Jan Mertl, addirittura fino alla semifinale ben due ragazzini hanno spinto il loro sogno di gloria. Da una parte il “nobile” Jiri Vesely, accreditato di wild card oltre che terzo attuale giocatore nel ranking mondiale under 18, dall’altra il meno noto Robert Rumler, passato invece dalle qualificazioni. Entrambi classe 1993, sono presenti nella top-ten ITF relativa al loro anno di nascita: Rumler, con questi 8 preziosi punti, sale quinto posto, Vesely, invece, supera di slancio il nostro Edoardo Eremin per accaparrarsi la decima posizione.
VECCHIE GLORIE (migliori risultati over 30)
Un solo dato, che riassume bene l’andamento della settimana: nessun giocatore e nessuna giocatrice nati prima del primo gennaio 1980 sono andati a punti. Anzi, ad un’analisi più attenta, tra le donne nemmeno una giocatrice nata antecedentemente a quella data è scesa in campo in una di queste manifestazioni, differentemente da quanto avvenuto nel maschile, dove, come di consueto, i futures americani hanno regalato spazio a giocatori dalle età piuttosto insospettabili. Questa volta, e non è la prima, è toccato a Parrish Preston, classe 1962, sconfitto al primo turno di quali nella manifestazione di Amelia Island dal russo Evgeny Tikhonov, in tre set. Dicevamo che non era la prima volta: in effetti, solo in questa stagione, Preston contava già nove presenze, con altrettante sconfitte, per un record che nell’ultimo biennio si trasforma in un più onesto 2-16, di cui una vittoria per ritiro, dopo il rientro avvenuto alla tenera età di 47 anni, a 10 anni dalle prime apparizioni nel circuito USTA.
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