di Andrea Martina
C’è chi è convinto che la fortuna nella carriera di uno sportivo possa avere un ruolo chiave e vedendo i sorteggi dello US Open, magari, avrà pensato: “si è esaurita la buona stella di Simone Bolelli”. Al primo turno ci sarà il giovane canadese Pospisil, uno dei tennisti “non” testa di serie più tosti da affrontare su questi campi. D’altronde Bolelli sia al Roland Garros che a Wimbledon (dove entrò da lucky loser) era stato sorteggiato con un qualificato, prima o poi doveva arrivare un nome importante all’esordio.
Ma prima di raccontare quello che è successo ieri sera sul campo 5 di Flushing Meadows è necessario fare un breve ripasso, perché ogni volta che si parla di Simone Bolelli vengono in mente sempre alcune cose.
Si potrebbe partire dal riscaldamento di ieri, oppure dalla vittoria contro Kohlschreiber a Giugno, oppure andare indietro di alcuni anni e fermare il calendario a quel 4 Maggio del 2008 a Monaco di Baviera.
Bolelli si trova a giocare la sua prima finale ATP in carriera e dall’altra parte c’è un maestro della terra rossa, Fernando “Mano de pedra” Gonzalez. Alla fine vincerà il più esperto con un faticoso 7/6 6/7 6/3, ma nessuno dei tifosi di Simone si preoccupò molto: l’azzurro era lanciatissimo verso i piani alti della classifica e aveva giocato un grande tennis per tutta la settimana, l’impressione era che non ci sarebbe voluto tanto altro tempo per vederlo in un’altra finale. Nei mesi successivi a quel match confermò le attese raggiungendo il terzo turno sia a Parigi che a Wimbledon battendo avversari come Baghdatis, Del Potro e (fresca rivincita) Gonzalez.
In molti iniziavano a sperare in lui, anche perché in quegli anni non erano ancora arrivate le grandi prestazioni da top 20 di Fognini e Seppi. Infatti, proprio nei corridoi del circuito la sensazione era che quel ragazzo italiano dai potentissimi colpi piatti potesse avvicinarsi a quel traguardo o perlomeno dire la sua in diversi ATP 250 e 500. Bolelli rappresentava l’alternativa al tennis ultra-terraiolo di Volandri e Starace e, nonostante alcuni punti deboli da sistemare (gli spostamenti su tutti), il suo gioco aggressivo servizio-dritto poteva essere un’arma assai vincente per affermarsi ai piani alti.
A fine 2008, però, succede un fatto che subito divide gli appassionati. Bolelli viene convocato per il match di Coppa Davis contro la Lettonia, spareggio valido per non retrocedere nella serie C. Lui rifiuta la convocazione per poter preparare meglio la trasferta in Asia, fondamentale per la sua ascesa. Il comitato federale vota all’unanimità la squalifica a tempo indeterminato di uno dei suoi gioielli e il presidente Binaghi dichiara: “Finché sarò presidente della FIT, Bolelli non giocherà più in Coppa Davis”.
Per onor di cronaca è giusto specificare che tali parole non ebbero, fortunatamente, riscontro dato che Binaghi è rimasto alla presidenza della FIT e Bolelli è oggi uno dei titolari della Davis.
Ma quella vicenda spaccò in due il movimento: c’era chi accusava la FIT di “provincialismo” e sosteneva la scelta di Bolelli di voler arrivare al meglio in Asia e non rinunciare a una settimana di preparazione per affrontare un match di serie B e c’era anche chi considerava la convocazione come una cosa sacra e da onorare in ogni occasione.
Lui andò avanti per la sua strada e continuò a scalare il ranking fino alla posizione 36. Nel 2009, a Rotterdam, sfiorò il colpaccio perdendo contro Nadal 7/5 al terzo set. Pochi mesi più tardi tutti si aspettavano che sulla terra rossa europea Simone confermasse le belle cose fatte vedere nello scorso anno, ma questo non successe e, con un certo stupore generale, alla vigilia del Roland Garros annunciò la separazione dal suo coach storico che lo aveva lanciato nel tennis mondiale, Claudio Pistolesi.
Sui motivi di quel divorzio si era detto di tutto, d’altronde la squalifica della FIT era ancora fresca, ma la cosa ancora più importante fu quello che successe dopo. I suoi risultati furono disastrosi e più che il tennis, sembrava che gli mancassero stimoli e voglia di vincere. Con una carriera che stava esplodendo e ampiamente lanciato verso i primi 25 del mondo, Bolelli mise 14 primi turni consecutivi di fila tra gli US Open 2009 e Monte Carlo 2010. Per vincere qualche match andò a rifugiarsi nei challenger, ma la discesa iniziava ad essere incontrollata.
Dopo un buon torneo a Barcellona, nel 2010, continua a faticare nel circuito con uno score di 10 vittorie e 17 sconfitte che lo portano a chiudere l’anno fuori dai primi 100 del mondo. Ma al di là dei risultati sembrava un altro tennista, falloso e discontinuo durante ogni singolo match, un lontano parente di due anni fa dove l’aggressività e la brillantezza del suo tennis facevano tremare anche le teste di serie.
La sua programmazione viene ovviamente ridimensionata. Nel 2011 i challenger iniziano sempre più frequentemente a sostituire gli ATP e, nonostante lo strappo con la federazione sia stato ricucito, Simone non riesce a risalire. Inoltre, mentre lui arranca nei tornei di provincia, molti tennisti che prima riusciva a battere senza troppi problemi crescono e fanno registrare risultati eccellenti nel circuito maggiore. Troicki, Andujar, Berlocq, Montanes e Haase (e l’elenco potrebbe allungarsi ancora) sono regolarmente nei primi 50 del mondo e riescono anche ad imporsi in alcuni tornei. L’unica vera fiammata in singolare del 2011 arriva a Wimbledon dove Bolelli riesce a battere Wawrinka giocando un tennis eccezionale. Mentre agli US Open gioca il torneo di doppio con Fognini e raggiunge una semifinale sorprendente che fa subito strofinare le mani a Barazzutti che faticava a trovare una coppia di doppio stabile. Ma il responso di fine stagione è addirittura peggiore rispetto all’anno precedente: ancora fuori dai primi 100.
I soliti maligni che mai hanno digerito Bolelli iniziarono a dar fiato alle loro sicurezze: “i challenger sono la sua vera dimensione”, “con quel tennis non potrà mai incidere”, “Pistolesi lo ha mollato perché aveva capito che era cotto”, “è meglio se gioca solo il doppio”. I blog erano tempestati di commenti di questo tipo e a difendere la causa Bolelli erano rimasti davvero in pochi.
Quello era il momento giusto per rilanciare, la prima vera risalita di Bolelli. Nel 2012 decide di limitare ancora di più i tornei del circuito maggiore, dove era costretto sempre alle qualificazioni, e concentrarsi sui challenger. Con uno score di 29 vittorie e 13 sconfitte (vincendo i tornei di Florianopolis e Recanati) chiude la stagione nei primi 100 del mondo e si prepara il terreno per i tornei invernali dell’anno successivo.
Nel 2013 va in Sudamerica con Fognini (diventato ormai suo compagno di allenamenti e tournée) e compie un vero e proprio capolavoro nel 250 di Sao Paulo: batte Robredo, Monaco (top 15) e Montanes per poi fermarsi contro Nalbandian. Sempre sugli stessi campi vince il torneo di doppio con Fognini. L’entusiasmo di chi ha visto Bolelli per tre anni nei challenger aumenta e non ci vuole molto per immaginarsi un’annata di ottimi risultati.
La smentita, però, arriva molto presto nel Master 1000 di Miami. Bolelli perde il primo set contro Dimitrov per 6/4 e a inizio secondo set si dirige verso la rete e comunica all’avversario il suo ritiro: il polso non va. Torna in Italia e i medici provano a far di tutto per mandarlo in campo nel quarto di finale di Davis contro il Canada, ma alla fine ci andrà Bracciali. Passano le settimane e il suo nome inizia ad essere cancellato dalle entry list, il suo ranking inizia a calare, ma per il Roland Garros riesce a scendere in campo: perde i primi due set contro Lu e si ritira. Prova a stringere i denti per Wimbledon, perde in tre set da Dimitrov al primo turno e decide di operarsi a Luglio: stagione finita.
Quest’anno si è presentato praticamente fuori dai primi 250 del mondo agli Australian Open, ma solo per giocare il doppio. A breve ci sarà il primo turno di Coppa Davis contro l’Argentina e non vuole mancare. Si ferma al secondo turno, sempre insieme a Fognini, ma sembra bastare per la convocazione di Barazzutti che puntualmente arriva: a Mar de Plata, in uno stadio molto difficile, riescono a battere l’ottima coppia Zeballos/Schwank e a mettere le basi per una comoda qualificazione il giorno successivo.
Archiviata la Davis è ora di rilanciare. La seconda risalita di Bolelli parte da una wild card nel challenger di Bergamo, un indoor molto veloce, che riesce a vincere con grande sorpresa. Quando arriva la terra rossa, specialità della casa, ci sono dei challenger da giocare per preparare i Master 1000 di Monte Carlo e Roma, dove ci sono altre due wild card per il tabellone ad aspettarlo.
Simone vince 10 match in due settimane a Vercelli e nel ricco torneo di Tunisi e si lancia prepotentemente verso i 100 del mondo. Al Foro Italico la sfortuna di questi anni sembra essere una lontana parente quando, al momento del sorteggio, Bolelli scopre di dover entrare in campo con il giovane italiano Travaglia, proveniente dalle pre-qualificazioni e da un infortunio che avrebbe fatto smettere gran parte dei tennisti. Vince tremando non poco e il giorno successivo gioca un match di altissimo livello contro Raonic (che farà semifinale), rischiando addirittura di portarlo al terzo set.
In Francia supera le qualificazioni del Roland Garros e ritrova nel tabellone ancora una volta un italiano proveniente anch’esso dalle qualificazioni, Andrea Arnaboldi. Vince anche questo match e perde nel secondo turno con Ferrer, ma la cosa importante sono i punti guadagnati che, a questi livelli, sono assai pesanti.
Poi arriva Wimbledon, il suo torneo, ma la classifica lo costringe ancora una volta alle qualificazioni che stavolta vanno male. Però Bolelli è ancora in debito con la fortuna e alcuni ritiri gli permettono di entrare nel tabellone principale da lucky loser e vincere il primo turno contro il qualificato Ito. Al secondo turno c’è Kohlschreiber, un tedesco che gioca un tennis di gran qualità sull’erba (è stato vincitore ad Halle) e di colpo troviamo il miglior Bolelli degli ultimi 4 anni: servizio vario e incisivo, colpi potenti, concentrazione altissima e 7/5 al quinto set per lui. È il risultato dell’anno e il match successivo contro Nishikori dovrebbe essere una passerella, dato che il giapponese sta puntando ai primi 10 del mondo. Simone ci prova e quasi ci riesce, in vantaggio di un set si va al tiebreak nel quarto e, come da tradizione erbivora, un paio di punti fanno girare la partita in favore del giapponese che chiuderà il match al quinto.
Ieri c’era Pospisil-Bolelli, primo turno degli US Open. I pronostici erano per il canadese e Bolelli ha fatto un vero e proprio capolavoro per come è arrivata la vittoria. C’è stato tutto: l’attesa del primo set dove ha lasciato andare via un Pospisil aggressivo e motivato, l’attenzione e la lucidità dei due set successivi dove l’azzurro sapeva di dover arrivare pronto a quei 2-3 momenti in cui si poteva strappare il servizio e l’orgoglio del quinto set. Il tutto condito da un servizio impeccabile e dalla bravura tattica di non cedere un millimetro di campo al canadese sui suoi turni di battura e rischiare il vincente in risposta (con degli incrociati di dritto accademici).
Ma è stato l’orgoglio del quinto set a fare sicuramente la differenza. L’orgoglio di dire a tutti: sono tornato a casa, ci sono anche io.
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