di Luca Fiorino (@LucaFiorino24) in collaborazione con Paolo Silvestri
Qualche difficoltà e titubanza con la lingua italiana, nessun dubbio invece quando gli si chiede perché abbia scelto i colori azzurri e non quelli dell’albiceleste. Andres Gabriel Ciurletti, nato a Buenos Aires il 4 gennaio del 1998, è stato ed è tuttora, seppur in minor misura rispetto al passato, nell’occhio del ciclone dopo che lo scorso anno lui e Francisco Bahamonde hanno scelto di giocare sotto la bandiera italiana. Una decisione che ha scatenato non poche polemiche, sia nel nostro Paese che in Argentina, come spesso d’altronde accade quando si discute sul tema delle naturalizzazioni. Il giovane si è raccontato ai “microfoni” di Spazio Tennis spiegandoci i motivi di tale scelta, dei suoi inizi con lo sport del diavolo e tante altre curiosità.
Da dove è nata l’idea di giocare per l’Italia? Da chi sei stato contattato? Quanto è stato importante Eduardo Infantino?
L’idea di giocare come italiano è nata per problemi con la Asociación Argentina de Tenis perché, pur essendo il numero uno d’ Argentina, non sono stato convocato per il campionato sudamericano a squadre, né per la Coppa Davis junior. Possedevo i requisiti per entrambe le competizioni e al momento di scegliere le squadre io ero già il numero 1; tutti questi problemi sono sorti con Daniel Orsanic, direttore dell’area dello sviluppo e attuale capitano della squadra di Coppa Davis. Per via di tutto questo io e la mia famiglia abbiamo deciso che non avrei più giocato a tennis come argentino e che avrei cambiato nazionalità una volta terminato il Master nazionale di fine anno, perché se l’avessi cambiata prima non mi avrebbero autorizzato a giocarlo, dato che il Master è solo per gli argentini e serve anche per i finanziamenti per la stagione successiva. Una volta finito il Master, che ho vinto, mio padre ha inviato una mail all’ ITF chiedendo l’autorizzazione per il cambio di nazionalità, con il mio passaporto italiano scannerizzato. Dopodiché mio padre ha contattato Eduardo Infantino e gli ha chiesto se la FIT fosse stata interessata a sostenermi. Dopo sette mesi e dopo aver esaminato il mio curriculum, hanno deciso di aiutarmi, anche se noi non avevamo posto come condizione a questo aiuto il fatto di giocare o no come italiano, questo era già stato deciso da tempo, cioè, come dicevo prima, quando non ero stato convocato nelle squadre del mio paese per motivi che tra l’altro mai ci sono stati chiariti, se non con delle semplici scuse. Eduardo Infantino è molto importante in questo progetto, perché ha fiducia in me, e in Argentina è stato criticato ingiustamente perché lui non ha avuto nessuna responsabilità nel mio cambio di cittadinanza, mentre la stampa ha detto che aveva “rubato” un giocatore argentino, il che è, ripeto, falso. La decisione di giocare per l’Italia era già stata presa, e lo ribadisco, prima di parlare con Infantino.
Qualche tuo familiare era originario dell’Italia? Da quanto hai la doppia cittadinanza?
La mia famiglia ed io abbiamo la doppia cittadinanza, i miei nonni sono italiani, il padre di mia madre è nata in Sicilia, Longi, in provincia di Messina. L’altro mio nonno è di Trento, nel nord Italia, ed io ho la cittadinanza italiana dalla nascita.
Ci racconti i tuoi inizi con il tennis? A che età hai iniziato, in che circolo argentino e chi è stato il tuo primo allenatore?
Ho iniziato a giocare all’età di 3 anni e chi mi ha insegnato a giocare è stato mio padre, fino a 11 anni, quando ho cominciato a essere seguito anche da Fabian Blengino. Poi a partire dai 13 anni mi hanno allenato Mariano Monachesi e Mariano Hood, mentre mio padre si è limitato ad accompagnarmi.
Descrivi le tue qualità? Che tipo di giocatore sei?
Le mie qualità sono lo spirito di sacrificio e di lotta; anche se le cose non vanno bene, cerco sempre di vincere, ho un gioco molto aggressivo e cerco sempre di dominare e tenere il pallino del gioco. Sono un giocatore agguerrito e tenace. Tutti dicono che per vincere con me devono ammazzarmi.
Qual è stata l’offerta della Federazione Italiana Tennis? Hai mai avuto dubbi a riguardo?
La proposta della Federazione Italiana è stata la stessa che fanno ai ragazzi italiani, aiutarli sia economicamente che tecnicamente. Non ho avuto nessun dubbio a rappresentare l’Italia, perché, come ho detto prima, non gioco come italiano in cambio di questo appoggio. Giocare per l’Italia è stata una decisione indipendente.
In Argentina sono dispiaciuti che ora tu giochi per il nostro Paese? Che motivazioni hai dato all’AAT? Escludi un domani di tornare a giocare per l’Argentina?
In Argentina non è piaciuto il mio cambiamento di nazionalità, ma io all’AAT (Asociación Argentina de Tenis) non avevo nessuna spiegazione da dare, perché non mi hanno mai aiutato. Tutti i sacrifici perché io potessi giocare a tennis sono stati fatti dalla mia famiglia che continua a ad appoggiarmi economicamente, perché l’aiuto della FIT è molto importante ma non copre tutte le spese. Comunque il cambio di nazionalità certo che mi ha causato problemi in Argentina, anche se molti giornalisti hanno parlato della questione senza conoscerla in profondità. E l’AAT quando l’ha saputo ci ha offerto un appoggio economico che noi abbiamo rifiutato, perché il cambio di nazione non c’entrava con i finanziamenti. Con l’AAT non ho alcun rapporto, come non ce l’avevo quando giocavo per l’Argentina. Se tornerò a giocare con l’Argentina? NO, LO ESCLUDO ASSOLUTAMENTE, NON GIOCHERÒ MAI PIÙ COME ARGENTINO, indipendentemente da quello che succederà. Come ti ho detto prima, la decisione di giocare come italiano è totalmente indipendente dalla questione economica. Mi sono stancato dell’Argentina e di come si fanno le cose lì, in Italia la FIT mi ha trattato meravigliosamente, come non ha mai fatto la AAT.
Spesso in Italia si è contrari alle naturalizzazioni. Una mentalità diversa da altri paesi. Tu cosa ne pensi a riguardo? Perché ci sono tante polemiche secondo te?
Il mio caso è molto diverso rispetto a quanto succede in altri paesi che naturalizzano giocatori stranieri, perché ho la cittadinanza italiana dalla nascita, e tra l’Argentina e l’Italia vi è un accordo di doppia cittadinanza per i discendenti di italiani. Io ho solamente scelto la nazionalità per la quale volevo giocare e visto che siamo molto arrabbiati per le ingiustizie che hanno commesso nei miei confronti, ho deciso con la mia famiglia che avrei giocato come italiano, e questa decisione non ha avuto niente a che fare con l’aiuto economico della FIT, è una decisione che era stata presa molto tempo prima. In generale la mia opinione sui paesi che naturalizzano giocatori stranieri perché li rappresentino è negativa, perché alla fine le federazioni più potenti “acquistano” i giocatori di stati che non hanno la possibilità appoggiare adeguatamente i loro giocatori, e così federazioni come la USTA, quella canadese o quella australiana riescono a naturalizzare ragazzi di buon livello.
Come te anche Bahamonde giocherà per l’Italia. Siete amici? Quali altri tennisti italiani hai conosciuto?
Con Bahamonde ci siamo conosciuti bene recentemente a Tirrenia, lui è di due anni più grande di me e per questo non ci eravamo incontrati in nessuna categoria nei tornei giovanili, poi lui è di Mendoza, una provincia che è a più di mille chilometri da Buenos Aires. Nel periodo di Tirrenia siamo diventati amici, anche perché condividevamo la stanza al CONI, ci allenavamo insieme, anche se lui è stato in Italia meno tempo di me. Io ci sono stato quattro mesi di seguito e ho conosciuto molti giocatori italiani, come Quinzi (anzi quest’ultimo lo avevo già conosciuto a Buenos Aires perché si eravamo allenati insieme con Monachesi), Dalla Valle, Balzerani, Oradini, Bolelli, Giorgi, Gaio, Giannessi, Licciardi, Pellegrino, Ocleppo, Volandri e molti altri.
Quali sono i tuoi risultati a livello juniores? In Italia spesso abbiamo grandi aspettative su giocatori che ben figurano da piccoli (per esempio Quinzi). Hai paura di accusare la pressione?
Nella categoria Junior ho giocato pochissimi tornei, solo nove. Sono stato campione alla Vendimia Cup, finalista al Città di Prato e all’Uruguay Bowl, ho fatto terzo turno a Santa Croce (dove ho perso 6/4 6/3 con Tsipsipas), ho fatto qualche semifinale ed un quarto in un altro torneo che non ricordo. Quando ho perso è stato sempre con buoni giocatori e in partite equilibrate, e questo mi dice che nonostante la mia mancanza di esperienza a livello internazionale sono sulla strada giusta. Sono numero 112 nel mio primo anno come junior e se avessi giocato tanti tornei come quelli che sono davanti a me in classifica, non ho alcun dubbio che la mia posizione sarebbe di gran lnga migliore, anche perché da quando sono arrivato in Italia non ho giocato solo tornei junior, ma anche Futures e qualche challenger, dove ho ottenuto i miei primi punti ATP. Per quanto riguarda le aspettative che si hanno su di me e se possono essere motivo di pressione, è un fatto che non mi preoccupa, perché il tennis è pressione e chi non riesce a sopportarla non può giocare a tennis. Comunque ogni caso è un mondo e per poter giudicare bisogna conoscere le questioni in profondità, come per esempio nel caso di Quinzi, di cui mi chedi, ma sicuramente prima o poi starà nella posizione che gli corrisponde, perché è un buon giocatore e un ottimo agonista. Capita che molti giornalisti non capiscano quanto sia difficile il tennis, soprattutto nel circuito maschile, e criticano da una posizione troppo comoda. In Argentina succede la stessa cosa e molti non sanno dare valore allo sforzo se uno non diventa il numero uno.
Cosa conosci dell’Italia?
L’Italia la conosco bene, la mia famiglia è di origini italiane e questo è un vantaggio. Quello che più mi piace dell’Italia sono le città, il cibo e poi gli italiani sono molto simili agli argentini nel modo di essere, ma molto più ordinati e rispettosi. In realtà non c’è proprio niente che non mi piaccia dell’Italia.
Dove ti alleni? Da quali persone sei seguito? Come ti trovi in generale?
Mi alleno con Mariano Monachesi e Mariano Hood da più di 4 anni, ma spesso non mi possono accompagnare, perché loro hanno un’accademia e ci sono altri ragazzi che devono seguire. Quando non possono viene con me mio padre, con il quale vado molto d’accordo. In Italia mi sento comodo, come a casa, anche per via del modo di vivere e la gastronomia. Per quanto riguarda la FIT e il CONI, mi sento a mio agio, mi hanno ricevuto molto bene tutti gli allenatori, oltre a Eduardo Infantino, Giancarlo Palumbo, Roberto Pellegrini, Tomas Tenconi, Gabrio Castrichella, i preparatori atletici e il resto del personale del CONI. Mi trattano bene, mi sento come in famiglia e sono attenti ad ogni dettaglio. Quello che ha la FIT a Tirrenia è un grande centro di formazione, le strutture sono ottime.
Il tennista italiano più forte ad oggi? Chi altro stimi tra gli azzurri?
Il tennista italiano più forte per ranking e qualità è senza dubbio Fabio Fognini, ma mi piace molto Simone Bolelli, anche perché abbiamo fatto amicizia allenandoci insieme a Tirrenia; ha un’ottima tecnica e gioca in scioltezza. Se non avrà altri problemi fisici sicuramente migliorerà il ranking di singolare, mentre in doppio è già molto buono soprattutto con Fognini.
Quali sono i tuoi idoli del tennis? I tuoi obiettivi immediati e futuri?
Non ho idoli nel tennis ma solo specchi nei quali guardarmi. Cerco di trarre il meglio dai buoni giocatori e dal mio punto di vista uno dei migliori esempi è David Ferrer: non possiede una grandissima tecnica, né il fisico migliore, ma ha l’atteggiamento migliore per allenarsi, competere e cercare di superarsi ogni giorno. Il mio obiettivo è quello di essere n°1 al mondo e vincere Wimbledon, il mio torneo preferito. Nell’immediato l’obiettivo è giocare il Junior Grande Slam 2016.
Se son rose fioriranno, sperando che non siano cachi…
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