Per qualche porzione più o meno lunga di quella lunga semifinale a Melbourne non pochi hanno pensato che se Milos Raonic fosse riuscito a spuntarla l’avrebbe meritato e – chissà – avrebbe potuto giocare una finale migliore di quella di Murray contro l’indomabile Djokovic di questi ultimi due anni. L’attenzione che il canadese di origini montenegrine ha attirato su di sé è frutto di un tennis che è cresciuto in tutte le sue fasi portando ai risultati che conosciamo. Risultati che fanno sorridere tutto il mondo di Tennis Canada ma che non sono i soli punti positivi di un movimento che a oggi presenta un parco di giovani talenti per quantità e qualità secondo solo forse alla nuova primavera yankee.
Di Raonic e del florido mondo che ruota attorno a Tennis Canada abbiamo parlato con Roberto Brogin, tecnico italiano in forza alla federazione canadese nonché vecchia conoscenza di Spazio Tennis a cui pochi mesi fa ha rilasciato un’altra interessante intervista.
Nell’ultima chiacchierata con Spazio Tennis avevi concluso dandoci quattro nomi quasi di sfuggita: Auger-Aliassime, Shapovalov, Andreescu e Robillard-Millette. Nel giro di sei mesi da quel giorno Auger-Aliassime ha conquistato l’Eddie Herr e la Andreescu sette giorni dopo l’Orange Bowl mentre Shapovalov ha recentemente vinto il suo primo titolo Futures sull’har-tru di Weston. Il quadro pare radioso, che aria si respira per i campi di Tennis Canada a riguardo?
Sicuramente stiamo vivendo questi ottimi risultati con molto piacere e passione, ne andiamo fieri del lavoro svolto. Dei quattro nomi menzionati tre sono usciti dal centro tecnico di Tennis Canada. Il solo Shapovalov, per sua scelta, è cresciuto con la madre anch’essa allenatrice in quel di Toronto dove hanno svolto un lavoro eccellente. Per adesso ci godiamo il lavoro svolto anche se siamo consapevoli che il cammino è ancora molto lungo prima di approdare nei circuiti professionistici. Sicuramente i successi di Raonic e Bouchard sono una rampa di lancio per tutti questi giovani ragazzi e ragazze.
Vorrei soffermarmi un po’ di più su Auger-Aliassime, non tanto per parlare delle qualità del ragazzo che sono indubbie e sono state raccontate anche da Spazio Tennis più che bene. Quello che mi interessa chiederti, da esponente di una federazione famosa per la sua capacità di gestione della crescita dei giovani, è: come si lavora su un crack del genere? A livello mentale e organizzativo più che tecnico come si fa a gestire un ragazzo che a quindici anni vince partite a livello challenger?
Felix è un ragazzo di sani principi, di famiglia umile proveniente da Quebec City (distante tre ore di macchina da Montreal). Il papà, anche lui allenatore, capì molto presto che le sue capacità per far crescere il figlio erano limitate per cui chiese a Tennis Canada la possibilità di mandare Felix durante i week-end a Montreal per allenarsi con i ragazzi del centro. A 12 anni entrò a far parte a tempo pieno del centro tecnico Nazionale di Montreal dove cominciò ad allenarsi sotto la guida di coach Frederic Niemeyer (ex giocatore con un passato tra i primi 200 ATP). La predisposizione al lavoro e una certa capacità di leadership si notavano già a quell’età. La famiglia di Felix poi è molto rispettosa nei confronti di Tennis Canada, hanno sempre creduto nel nostro lavoro lasciandoci carta bianca su ogni decisione tecnica, di programmazione o finanziaria. Molte aziende del settore sono interessate ad avere Felix come testimone, ma la decisione è quella di aspettare la fine della transizione dal circuito junior a quello pro’.
Che ci dici invece di Shapovalov? Sembra un giocatore tecnicamente molto interessante con un bel rovescio a una mano e una buona tenuta da fondo. Come si sviluppa il suo gioco? E come gestirà la stagione? Ad oggi nel 2016 non ha giocato una partita da juniores, è stata una scelta mirata o il passaggio ai pro’ sarà ancora graduale?
Denis, è cresciuto sotto la direzione tecnica di sua madre in quel di Toronto. Partecipa saltuariamente a dei training camp organizzati da Tennis Canada ed è sempre convocato a eventi internazionali che rappresentano il Canada come l’ultima edizione della Junior Davis Cup vinta proprio dal Canada in quel di Madrid. Penso che la sua programmazione a livello junior sia limitata ai tornei del Grande Slam mentre per il resto della stagione lo si vedrà impegnato fra tornei future e challenger. La sua tecnica attuale gli permette di vincere partite importanti come è successo di recente mentre è sicuramente necessario un lavoro fisico che possa sostenerlo per tutto l’arco della stagione.
Passando alle ragazze vorrei chiederti delle condizioni di Bianca Andreescu, ritirata dall’Australian Open juniores per un problema all’adduttore, ma soprattutto di Françoise Abanda, che nella seconda metà del 2015 ha cercato di fare il salto di qualità negli ITF ad alto montepremi e in qualche WTA ma sembra stia faticando a ingranare. Quali sono le tue impressioni a riguardo?
Bianca è sicuramente una giocatrice emergente di tutto rispetto, ha vinto l’ultima edizione dell’Orange Bowl U18 e la ritroviamo fra le prime juniores a livello mondiale. Purtroppo durante l’Australian Open juniores si è procurata una frattura da stress al piede, infortunio che la terrà fuori dai campi per alcune settimane. Durante questa stagione la vedremo impegnata in alcuni tornei ITF Pro e sicuramente in tutte le prove dello Slam Juniores. Per quanto riguarda Françoise Abanda, la transizione dal mondo juniores a quello Pro si sta facendo più complicata del previsto. Francoise è una giocatrice di talento puro con un fisico da atleta impressionante, a mio modo di vedere là dove fatica è nel riuscire a mantenere un alto livello di lavoro durante le sedute di allenamento: l’abbiamo vista vincere delle partite importanti contro delle giocatrici top 100 ma la sua inconsistenza la portava a perdere contro delle giocatrici di minor valore. Di certo non perdiamo la speranza di che un giorno Françoise possa maturare (attualmente ha 19 anni) e capire l’importanza del lavoro.
Ci hai raccontato in passato che uno dei segreti del successo di Tennis Canada è il suo approccio “multiculturale” con tecnici che vengono da varie parti del mondo e che quindi consentono approcci diversi e confronti in grado di arricchire. Ritieni che sia un modello esportabile? Potrebbe essere la chiave che serve al tennis italiano per assistere un ricambio generazionale che, specie al femminile, sembra delicato?
L’approccio multiculturale che vive all’interno del settore tecnico di Tennis Canada è lo specchio del Paese: il Canada è un Paese multietnico da sempre. Per quanto riguarda il nostro settore troviamo allenatori francesi, italiani, tedeschi, peruviani, spagnoli, irlandesi, messicani e certamente canadesi. Non so se possa essere un sistema vincente da esportare all’estero il fattore sicuramente interessante sono le diverse scuole di pensiero e di lavoro. Personalmente ho imparato molte cose guardando e discutendo con i miei colleghi, questo team di allenatori è stato creato per così dire senza volerlo (con l’apertura del primo centro nel settembre 2007, dove eravamo in tre) è stata più una necessità del momento. Dopo alcuni anni si è trasformata in una formula vincente. Penso che in Italia ci siano molti allenatori preparati bravi e appassionati, non possiamo più mettere a confronto le generazioni di Pennetta Vinci oppure Errani con quello attuale per il semplice motivo che nella fase di sviluppo 12/18 anni queste ragazze sono cresciute viaggiando e vincendo molte partite a livello junior e nei vari tornei Pro ITF facendo germogliare la propria autostima. Non tolgo nulla a queste ragazze che si sono sudate ogni singolo 15 ed hanno il mio massimo rispetto. Ad oggi i paesi coinvolti nel tennis sono maggiori rispetto a 15 anni addietro indi per cui la competizione è più ardua. Se guardiamo paesi come la Cina che conta dieci giocatrici fra le prime duecento del mondo ci rendiamo conto di come la mappa geografica del tennis si sia ampliata. A mio modo di vedere è un segnale positivo vedere più Paesi coinvolti nel nostro sport: ci sono più tornei, aumentano le opportunità per i tecnici del settore e senza ombra di dubbio cresce il movimento finanziario. Per concludere, quello che è successo in Canada e molto semplice nessuna strategia segreta. Il Board di Tennis Canada decise nel 2006 di mettere in piedi una squadra di tecnici e dare loro le opportunità necessarie per sviluppare dei giocatori e delle giocatrici, in quanto tempo? Diciamo che ci siamo basati su un periodo di 8/10 anni prima di giudicare cambiare e migliorare. A mio modesto parere la chiave necessaria per cercare il successo è una visione a lungo termine, credere nei professionisti incaricati del progetto i quali lavorano duramente cercando la via del successo.
Torniamo al tennis canadese, ma stavolta con un focus sui più grandi. Come ha vissuto l’ambiente la seconda semifinale slam di Raonic? Della generazione dei “subentranti” sembra quello più in forma, sicuramente più di Nishikori e Dimitrov, e in tanti hanno avuto la sensazione che -se avesse battuto Murray- sarebbe stato in grado di mettere più in difficoltà Djokovic. Pensi che il primo slam di Milos sia ormai vicino?
Devo dire che Milos sta ottenendo un buon successo nelle varie televisioni canadesi dando battaglia allo sport nazionale, vale a dire l’hockey su ghiaccio. Il suo inizio anno è stato certamente un successo con parecchie vittorie all’attivo ed una sola sconfitta. Onestamente ci siamo soffermati sul cercar di capire come Milos avrebbe potuto vincere contro Murray, sicuramente il suo servizio non è stato incisivo come nelle altre partite ma più per merito di Murray che per demerito suo. Milos ha fatto un salto di qualità nel suo gioco da fondo campo, migliorando decisamente negli spostamenti e si vede più spesso a rete. I suoi allenatori stanno facendo un ottimo lavoro. In questo momento lo vedo un gradino sopra Nishikori e forse qualcosina in più su Dimitrov. Milos sta giocando il suo miglior tennis, è maturo e consapevole di poter vincere uno o più Slam, sicuramente troverà davanti a se’ ancora per qualche anno Nole e Murray ma lo sport ci riserva sempre sorprese e chissà che…
Chiudo con una domanda un po’ “obbligata” su Genie Bouchard. Il 2015 è stato un anno da dimenticare per lei e, se era prevedibile la difficoltà a sostenere ritmi e risultati del 2014, un crollo di queste dimensioni è stato certamente inaspettato. Al di là della classifica è stata l’involuzione di gioco a far temere i suoi tifosi. Quest’anno a Hobart abbiamo rivisto lampi del suo tennis istintivo e aggressivo che l’aveva portata in alto, le serve solo riprendere consapevolezza e confidenza o c’è anche un lavoro tecnico nuovo alle spalle?
Il 2015 è stato sicuramente un anno duro e difficile su tutti i fronti per Eugenie Bouchard, cercare di confermare i successi del 2014 sarebbe stata di per sé un’impresa ardua anche stando al massimo della forma fisica e mentale. Eugenie fin dalla tenera età mi raccontava di voler far parte delle migliori giocatrici del mondo e giocare sui campi centrali dei tornei dello Slam. Il suo sogno, lavorando duro, l’ha raggiunto ma è stata colta di sorpresa nel gestire il successo e l’essere famosa, molti impegni fuori dal campo ti portano matematicamente a cambiare la routine di lavoro. A questo va aggiunto qualche cambio di allenatore al quale va sempre dato un minimo di tempo per far capire questioni tecniche e tattiche. Diciamo che il quadro non è stato dei migliori per affrontare la stagione 2015. Attualmente la gestione è radicalmente cambiata, nel team di Genie è entrato un nuovo allenatore: Thomas Hogstedt, coach esperto, conosco personalmente il suo modo di lavorare di gestire le cose ed è un gran motivatore. Ho visto un inizio di stagione molto interessante da parte di Eugenie, sono fiducioso che risultati importanti arriveranno durante l’arco di questa stagione. Sicuramente porterà qualche piccola modifica tecnica ma sono certo che rivedremo Eugenie giocare il suo tennis istintivo e aggressivo che l’ha portata ad essere fra le prime giocatrici del mondo.
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