di Stefano Piccirillo
Per un ventenne di Napoli, abituato a lasciare l’impronta del proprio fondoschiena sul sedile dell’auto, a causa dei chilometri quotidiani tra sport e università, Stefano Piccirillo è un nome quanto mai familiare; mattatore dello spazio weekend di Radio Kiss Kiss, è la gradevole compagnia che generalmente mi porto nelle lunghe trasferte in regione che il mio campionato mi richiede.
Da qualche tempo Stefano è entrato a far parte dello staff di SuperTennis Tv, e l’ho quindi disturbato per sapere qualcosa di più sulla sua vita e sulle sue idee, a trecentosessanta gradi. Approfittando della sua estrema cortesia, gli faccio squillare il telefono in pieno orario aperitivo, e subito gli chiedo di come si sia avvicinato alla radio.
Mi risponde con la voce che sorride, pacata ma ferma, chiaro sintomo di una dimestichezza naturale, e al tempo stesso professionalmente certificata, con il proprio verbo: “Sono sempre stato appassionato di radio, già come ascoltatore; nei primi anni ottanta mi regalarono il mitico Sharp, il megastereo che i rapper americani iconograficamente portavano a spalla nei loro video. Acquistavo musica in continuazione e scelsi questo come mezzo di fruizione al posto della televisione; adoravo mettermi con le cuffie ad ascoltare il parlato, le voci vere e proprie di chi lavorava in radio, mi emozionava. A quattordici anni scrissi una lettera, da ascoltatore, a Rai Stereo Due, e sentire gli speakers che leggevano le mie parole ed il mio nome in diretta mi trasferì un effetto pazzesco; le sere in cui si andava in discoteca, mentre i miei amici ballavano, rimanevo incantato come uno stupido a guardare il DJ che armeggiava con i mixer!”.
Mentre chiacchieriamo, la sua passione per la professione che svolge è quasi palpabile; Stefano ha esordito giovanissimo a riempire di fiato il microfono, prima ancora di finire gli studi, e quando gli chiedo delle sue prime esperienze lavorative sembra assumere un’aria sognante: “A sedici anni, un mio amico mi portò a visitare una radio libera napoletana che aprì nel mio quartiere; il mio scopo era semplicemente quello di respirare l’aria degli studi, ma una volta lì, il proprietario mi invitò a fare un provino. Ero titubante, ma una volta acceso l’impianto, iniziai a parlare e non mi fermai più, mi sembrava di essere a casa, come se lo avessi sempre fatto. Non è stato casuale che io possa poi aver continuato a lavorare in questo ambito, coltivandolo parallelamente agli studi e con sacrificio; gli scogli da superare sono stati tanti, e importanti, ma sapevo di trovarmi nella mia dimensione”.
Svariati gli excursus sulle sue esperienze, con doverosi ma eleganti riferimenti al tennis: “La radio locale è stata il mio circuito Futures; ho fatto tanta gavetta, sono passato per quello che può definirsi l’universo Challenger dell’etere (seppur di livello altissimo, un po’ come quello di Irving o comunque quelli statunitensi che si giocano durante i mille a stelle e strisce), un’emittente intermedia come Radio Spazio Uno, che per enorme fortuna avevo sotto casa. Dopo il diploma, ci passavo praticamente dodici ore al giorno, iniziavo a percepire i primi stipendi, insomma è stata la palestra ideale. A vent’anni, durante un’intervista in occasione di un concerto di Sergio Caputo, fui avvicinato dagli speaker di Radio Kiss Kiss, che mi proposero una collaborazione, e di fatto mi aprirono le porte dei tabelloni che contano!”, e ride di gusto.
Chiaramente innamorato del suo lavoro, Piccirillo, per cui gli chiedo quale sia l’esperienza o comunque l’aspetto più entusiasmante che questa sua occupazione gli regala, cosa lo spinge a svegliarsi al mattino con il sorriso di cui sembra fare sfoggio senza soluzione di continuità, anche al telefono con me; mi parla di gratificazione, l’aver realizzato il proprio personale Grande Slam radiofonico grazie alla collaborazione con tute le maggiori etichette dell’AM/FM. E non tralascia uno spiraglio per permettermi di intravedere i suoi idoli della racchetta: “Il mio Wimbledon è stato senz’altro il periodo a RDS; era la radio più ascoltata del paese, ed aver contribuito a renderla tale è per me motivo di grande orgoglio. Ciononostante, continuo a inseguire di più e meglio; quando iniziai in una emittente semisconosciuta, facevo di tutto per imparare dagli speakers più esperti e dai miei colleghi più anziani, e oggi non il discorso non è affatto diverso. Gli stimoli sono continui, c’è sempre un modo per poter parlare, ascoltare, chiacchierare o comprendere meglio; mi piace pensare di essere metodico come Nadal nella mia preparazione, e tento di essere Federer nella conduzione e nella gestione dei miei programmi”.
La sua personalità multiforme si evince anche dal suo curriculum, sia radiofonico che in altre branche dell’informazione e della comunicazione, e Stefano non si risparmia aneddoti personali e opinioni sulla realtà giornalistica odierna, analizzando quello che gli dico e addentrandosi in un interessantissimo scambio: “In radio mi sono occupato di tutto; ho affrontato spazi talk, in cui avevamo uno scambio diretto con l’ascoltatore o con l’ospite in studio, per discutere di attualità, sport, eventi, (addirittura religione!) così come spazi prettamente dedicati alla musica, nei quali ho affinato il servizio e dritto dello speaker, il passaggio dall’outro all’intro, quindi riempire i secondi che vanno dalla strumentale conclusiva di un pezzo, a quella iniziale di un altro, costruendoci però un contenuto sensato, non certo aria fritta. Se potessi dare, dal mio piccolo, un consiglio ai colossi soprattutto televisivi dell’informazione di oggi, punterei all’infotainement: non bisogna dare per scontato che chi guarda o ascolta sia per forza un appassionato dell’argomento trattato, troppi tecnicismi possono essere deleteri, l’informazione dev’essere accessibile a tutti. E aggiungerei che il format è fondamentale; se un canale tematico fornisce diciotto ore di diretta continua, in un martedì anonimo senza coppe e senza eventi sportivi è chiaro si finirà con l’esasperazione di una notizia infima, e si monterà un caso su un’inezia, proprio a causa dell’impostazione del programma. Adoro invece la completezza che nei giorni focali le piattaforme dedicate regalano al telespettatore; una scelta sterminata che non va confusa con un bombardamento mediatico. Per ovvi motivi ti parlo di Supertennis, e personalmente spero un giorno si arrivi ad avere due canali, perché spesso copriamo più tornei contemporaneamente; nonostante tutto, credo che l’informazione di oggi ci permetta un accesso capillare a qualsiasi contenuto, è giusto che i canali assurgano ad una totalità di argomenti, anche se il rovescio della medaglia è quello della ripetitività o della banalità in fasce orarie particolari”.
Gli chiedo anche delle sue esperienza extraradiofoniche; scrittore di tre libri con un quarto in lavorazione e soprattutto doppiatore, per titoli importanti come “Die Hard” e “Fame – Saranno Famosi” . “Il doppiaggio è un viaggio con la voce, completamente diverso dalla radio; in un programma dell’etere è tutto spontaneo, per quanto si segua uno schema magari precostituito circa il programma. Doppiare significa anche e soprattutto interpretare, essere attore con le proprie corde vocali; questo mi ha permesso di collaborare con i migliori direttori, Luca Ward, Tonino Accolla, ho fatto piccole cose che però mi hanno regalato infinita gioia e soddisfazione, in ruoli che bene o male si confacevano anche al mio profilo esterno. Mi è piaciuto molto doppiare un documentario sportivo sull’ultimo Masters 1000 di Montreal. Quanto all’ambito editoriale, il mio percorso di scrittore è nato per caso, come la maggior parte di quella che mi capita: durante lo showcase di un artista a Roma, un’editrice si appassionò alla mia esperienza autobiografica e mi propose di pubblicarla, coronando quello che da sempre era un mio sogno. E’ una forma diversa di comunicazione, quella di presentare il proprio titolo a trenta persone, piuttosto che presentare un evento di palco davanti a duemila: a me piacciono molto le facce dell’animo umano, e in questo modo posso avere un contatto più profondo, quasi one to one, con i lettori”.
L’intervista dura quasi mezz’ora, che però passa in un attimo, grazie al suo piacevolissimo timbro e la sua enorme disponibilità; lo interrompo giusto con qualche risata occasionale, ipnotizzato dai suoi racconti e affascinato dai suoi punti di vista. Il discorso in chiusura verte come è giusto che sia sul tennis, e gli chiedo come si sia avvicinato al nostro sport, cosa ne pensa e come vive adesso il suo ruolo nella televisione federale: “Sono appassionato da sempre; pensa che quando andai a lavorare a Roma per RDS, ero contento soprattutto perché avrei potuto assistere agli Internazionali dal vivo! Con i miei colleghi gioco spesso, e personalmente è una piccola rivincita, anche umana; vengo da una famiglia con modeste possibilità economiche, e non potevo certo permettermi un corso di tennis. Al pomeriggio, da piccolo, entravo di nascosto al Tennis Club Vomero (a due passi dalla vecchia residenza di chi vi scrive, per quello che può interessare) e rosicavo a vedere i miei coetanei che si divertivano. Continuo a dare uno sguardo ai draws di ogni torneo, e il sito dell’ATP è nella barra dei miei preferiti. Supertennis è stata forse una conseguenza della mia passione; otto anni fa portai il tennis in radio, RDS era l’emittente ufficiale degli Internazionale ed iniziai a parlarne con dovizia di particolari. Un giorno erano ospiti Mara Santangelo e Giorgio Galimberti, che furono colpiti dalla mia competenza, senza falsa ipocrisia. Mi ritrovai a mangiare una pizza con Giorgio in occasione della sconfitta di Davis contro il Canada, e mi portò negli studi di Supertennis per inserirmi; commentai qualche anno fa una demo, un Nadal-Berdych già abbondantemente archiviato, e a Settembre scorso, dopo aver comunque continuato a mantenere i contati con i ragazzi del canale, mi chiamarono per una voce da dedicare al torneo di Tokyo. Inutile dire che ero al settimo cielo; ogni giorno continuo ad imparare, come facevo a vent’anni agli inizi in radio. L’unica differenza è che in radio posso tenere i capelli fuori posto, in televisione devo essere attento anche ad accavallare le gambe!”.
Terminiamo la telefonata con i saluti di rito, che forse solo due conterranei, per giunta di Partenope, sanno colorare con un sorriso in più.
In bocca al lupo Stefano, la tua passione merita ogni fortuna.