di Giulio Gasparin (con la collaborazione di Michele Galoppini)
Incontrare un quasi compaesano, Tarvisiano lui, di adozione io, in giro per il mondo fa sempre piacere, tanto più quando alla base c’è una comune passione ed interesse come il tennis. Da diverso tempo ormai segue Zarina Diyas, una delle sorprese più interessanti della scorsa stagione e che quest’anno si sta confermando come un’interessante prospetto futuro. Al centro dell’evoluzione tennistica della kazaka c’è lo zampino di Stefano Baraldo e della sua visione a 360° del tennis, sia come tecnico che come preparatore atletico. La Diyas infatti è migliorata in maniera esponenziale grazie ad una determinazione al 100% personale, ma anche al lavoro fisico portato avanti con il proprio allenatore, che ha visto nel miglioramento della rapidità il primo passo per portare in alto la propria allieva. Ma quanto esce da questo racconto è molto di più, è una visione del tennis da dietro le quinte, ma non da un singolo punto di vista, bensì molteplice perché figlia dell’esperienza di un personaggio che ha vissuto e tutt’ora vive lo sport a tutto tondo.
Quello che ha mostrato oggi Zarina è che sta evolvendo, non solo come gioco ma anche a livello fisico. Dal punto di vista della preparazione fisica, da dove parti?
Ti ringrazio che hai notato questo miglioramento. Pian pianino stiamo accumulando anche più esperienza quindi magari il rendimento in campo migliora. È sempre un discorso globale, migliori un pochino la posizione, un pochino l’approccio alla partita, un pochino il lavoro di gioco di piedi. E pian piano alzi il livello. È chiaro che lei non è una giocatrice così fisica che può impostare tutta la stagione su certe prestazioni. Però riesci a fare una miscelazione durante i 22-25 tornei che vai ad affrontare, cercando sempre di aggiungere qualcosina, sia dal punto di vista concettuale che pratico. Fondamentalmente nessuno è lento nel tennis, è una questione di posizione, di una capacità di reazione ed anticipazione; di conseguenza, se fai un lavoro fisico non puoi estromettere la parte pratica, in campo, con la palla, che è in realtà la cosa più importante. Dopodiché fuori cerchi di mediare esplosività, il rapporto peso-potenza, la parte coordinativa, gli occhi. Hai un supporto, che è quello off-court. Pian pianino dentro il campo riesci ad aggiungere ogni volta qualcosa che poi si prevede si possa vedere in partita.
Io ho notato che mentre l’anno scorso dettava molto il proprio gioco sul ritmo, alla Petkovic per intenderci, con palle sempre uguali, molto profonde, molto lineari, un qualcosa che diventa un’arma a doppio taglio, nel senso che nel momento in cui giocava contro una con un ritmo un po’ più alto o con la stessa consistenza si perdeva, oggi ho visto accelerazioni, provava ad anticipare i topspin della Errani, che non è facile, e tante palle corte. È qualcosa su cui avete lavorato?
Sì, si lavora settimanalmente; specialmente la cosa che mi piace di più è che vedi questi miglioramenti su una superficie che ti permette di giocare un pochino di più a tennis come la terra, mentre quando vai su superfici un pochino più veloci vedi di meno il lavoro di impostazione tecnico-tattica. È chiaro che lei non è una giocatrice che ha una palla pesante, quindi per forza deve cercare di mettere i piedi in campo. A differenza dell’anno scorso in cui era prettamente difensiva, sta cercando di guadagnare qualche metro in campo costruendo il punto per poi riuscire ad usare gli spazi. Quindi rispetto ad essere una solida, sta diventando una che riesce ad attaccare o contrattaccare. Quindi fa un lavoro di transizione, da una fase un pochino più lontano dalla riga difensiva cerca di acquisire dello spazio per poi chiudere. A rete va meglio, il servizio ha percentuali oneste, ma è chiaro che la sua velocità è relativa ad un discorso tecnico ma anche fisico. Non stiamo spingendo sull’acceleratore perché non è il momento. C’è anche la prevenzione dagli infortuni, poiché lei è molto fragile. È un progetto a lungo termine, bisogna fare i conti quando avrà 23 o 24 anni per vedere a che tipo standard si arriva. L’obiettivo è cercare di ottenere uno standard da prime 20. Quindi la partita di oggi contro una forte Errani, veramente forte sulla terra, ma anche stabile nelle prime 20 negli ultimi anni è stata importante. È importante anche capire come nel primo set è stata vicina ad una grande campionessa sulla terra e poi nel secondo set è crollata un po’ fisicamente ed ha preso 6-1. Nel prossimo anno proveremo a fare qualcosina per stare più vicini alle prime del mondo su tutte le superfici, cosa che prima lei sulla terra non riusciva a fare.
Quello che mi ha dato una piacevole sorpresa oggi è stata la tenuta mentale. Mi ricordo l’anno scorso a Nottingham sempre un po’ a strappi. Momenti di rabbia, momenti di concentrazione, momenti in cui la rabbia diventava un ostacolo invece di essere una spinta in più. Oggi fino a quando la Errani le ha dato un po’ un colpo di grazia nel secondo set, anche se stava sotto nel punteggio, è sempre stato un set match lottato e la Errani faticava. Anche nel secondo set tutti game lunghi o ai vantaggi e fino al 4-0 non dava segni di cedimento.
Assolutamente sì, è normale che poi c’è anche la componente fisica che incide, nel senso che poi cominci a vedere la pallina più tardi, quindi è difficile essere più aggressivi e quindi esce fuori la parte di tennis vero in cui Sara è sicuramente migliore. Quindi cosa succede? Mentre nel primo set stavano molto vicine, praticamente alla pari, nel secondo set ha pagato la parte fisica, la stanchezza mentale. La cosa buona è che ci crede, sta lì e cerca di fare le cose giuste. È ovvio che la cosa più semplice in questo momento è dire ‘se fosse stata meglio fisicamente magari avrebbe retto meglio il secondo, ma piano piano ci si arriva. Ed è bello lavorare così, perché quando fai questi tornei giochi il tennis vero: se fossimo andati a giocare un torneo un po’ più facile, è vero che magari fai più punti, ma non è detto che impari a giocare meglio.
Dal punto di vista fisico, tu sei uno che lavora molto su questo aspetto, allo stesso livello del piano tecnico. Non tutti gli allenatori fanno questa scelta. Ci spieghi un po’ come è il tuo approccio nelle nuove esperienze, e nello specifico quello che usi con Zarina?
Ripeto, per me nessuno è lento sul campo da tennis, se però riesce a mantenere una posizione più o meno vantaggiosa. Quindi è sempre uno sposalizio tra quelle che sono le componenti atletiche di base che uno deve avere per fare dello sport e l’approccio tecnico-tattico. Quindi non puoi sviluppare una giocatrice moderna senza accoppiare le due cose. Un esempio: quando si lavora sulla resistenza nel tennis femminile, che un po’ più aerobico, un po’ più adatto alle donne, si cerca anche di rispettare i ritmi che ci sono durante la partita. Quindi i 20-22 secondi che ci sono tra un punto e l’altro diventano il metronomo della parte di allenamento, si cercano di utilizzare tutti gli strumenti che hai a disposizione per incoraggiare, per far seguire un certo ritmo, per colmare quelle che sono le carenze. Poi c’è tutta una parte di prevenzione, non è semplice. È chiaro che la prima cosa su cui abbiamo lavorato, che fa la differenza tra la 200 e la 50 in classifica, è proprio la posizione in campo.
Ti faccio una domanda pertinente ma un po’ diversa. L’anno scorso la Wozniacki ha corso la maratona, quindi ha affiancato un allenamento che tutti dicevano fosse da folli ma che sul campo ha dato i suoi frutti.
Hai detto una cosa giusta. Anche io ero scettico. Dicevo ‘ma come fa a fare una maratona, così, speriamo non si faccia male, è una cosa tosta’. Ed invece… dopotutto il primo fattore limitante della resistenza è quello mentale. Quindi la dimostrazione che ha dato la Wozniacki è che un tennista deve avere una grande tenuta mentale, dopodiché si sviluppano anche tutte le altre parti. È chiaro che lei una grande atleta, ma ci ha lavorato tanto su questa cosa e mi ha sorpreso perché il tempo che ha fatto è stato eccezionale, ed in più ha concluso la gara non distrutta, l’ha conclusa con una certa qualità. La parte aerobica nell’allenamento femminile, che ti dà una mano per aggiustare il rapporto peso-potenza, è utile e sta diventando molto generalizzata. Devono essere degli atleti ma non super specializzati, anche perché in campo due o tre ore al giorno le fai, quindi se tu lo sommi per tutti i giorni alla fine morfo-funzionale diventi. Però non devi troppo incidere od insistere sul morfo-funzionale anche fuori dal campo, perché non conta quello che vuoi tu ma quello che il corpo vuole. A me non piace correre e far correre, però sulle donne è diverso ed ogni persona deve avere il suo preciso allenamento vestito su misura e perfetto. È chiaro che è impossibile perché nello sport è difficile fare qualcosa di così perfetto, ma tendenzialmente questa cosa della maratona m’ha stupito come ha stupito tutti, però è una grande conferma: la parte aerobica che negli ultimi anni è stata superata dal lavoro sul footwork e sulla forza ha una grande importanza; la Wozniacki è un esempio eccezionale da tirar fuori.
Tu cosa fai con Zarina fuori dal campo da tennis?
Dipende dal momento. Ci sono degli esercizi di base che ora chiamano funzionali ma che in realtà sono sempre esistiti come preparazione fisica un pochino più dolce. Sono gli esercizi di prevenzione che rispettano movimenti fisiologici e delle articolazioni del corpo, e questa è una parte quasi scontata, nel senso che ci devi stare sempre attento giornalmente. Dal punto di vista prestazionale, quindi quello che poi voglio vedere in campo, io lavoro molto sulle intermittenze, sull’interval training, cose piuttosto focalizzate sulla caviglia, sul ginocchio, sull’anca. Sopra non lavoro quasi per nulla con Zarina, perché ha caratteristiche sue morfologiche che non assimilano un certo tipo di lavoro sulla parte superiore. Quindi anche tutto quello che adesso è di moda, tipo il core training, le posizioni statiche, io non le faccio. Preferisco lavorare molto in torsione, perché rispetta quelli che sono gli avvitamenti del tennis. Sotto si lavora col ginocchio un po’ piegato, ed è anche per questo che riesce a stare più vicina alla riga di fondo, perché ha una posizione di partenza un pochino più vicina al rimbalzo. Noi si lavora così, niente di estremo. Ho un sistema che ho sviluppato ed uscirà tra poco, niente di particolare però è la sessione di allenamento per caratteristica, spalmata in tre sessioni durante la giornata, visto che noi abbiamo la fortuna di avere tutto il giorno a disposizione. Ti faccio un esempio: invece di stare mezz’ora a fare resistenza o l’interval training, l’ho diviso. È un discorso mio personale, che ha prodotto frutti anche su altri giocatori, perché non è tanto l’allenarsi e fare le scorpacciate di allenamenti, come eravamo abituati prima, come le cinque settimane, un masociclo…non è proprio così. Parlai anche in altre interviste di questo: l’importante è il lavoro giornaliero che non deve essere estremo sennò ti fai male e pian pianino riesci a migliorare. È chiaro che ci vuole più tempo, ma vai più sul sicuro.
Abbiamo visto tanti giocatori e tanti giocatrici, che fanno vedere grandi exploit, arrivano in alto e poi si infortunano. Non me ne voglia, ma la Petkovic ne è un esempio, una molto costruita e molto meccanica, ed infatti è molto portata a questo tipo di infortuni…
E lavora molto in prevenzione… io poi ho anche un’altra mia fissa, però cosa vuol dire prevenzione? Io sento sempre ‘allenamento di prevenzione’ o ‘prevenzione di infortuni’. Puoi dirlo per capirsi, ma cosa vuol dire? L’infortunio è un evento imprevisto ed imprevedibile, quindi non puoi prevenire un infortunio. È chiaro che devi fare un lavoro globale. Petkovic lavora molto in prevenzione o in compensazione, però sai, se tu hai una macchina e chiedi troppo poi dopo lei si rompe, e così è l’organismo umano, sia dal punto di vista mentale (e lì poi è un casino se si rompe, perché per riprenderlo non basta un po’ di riposo), sia dal punto di vista prettamente fisico, a livello di articolazioni. A livello di metabolismo non c’è questo stress enorme nel tennis, ma le giunture su queste superfici è facile infortunarle.
Ti faccio un’ultima domanda. Cosa ne pensi del torneo dal punto di vista della superficie, perché c’è chi dice ‘beh, passiamo dal veloce ad una terra che tutto sommato è solo per scivolare perché comunque molto veloce, poi ci spostiamo a Madrid in altura in condizioni veloci, e poi a Roma e Parigi con terre un po’ più serie’. Altri dicono ‘questo è un intermezzo un po’ inutile, perché il torneo è fantastico ma la superficie lascia un po’ a desiderare’?
Penso che se tutte le condizioni fossero sempre le medesime, non sarebbe così interessante. Quindi va bene che ci siano molto superfici leggermente diverse con condizioni diverse. Non mi piace invece il discorso sulle palle. Questo fa male, perché la palla in realtà la colpisci ed ha un effetto sul tuo polso, normalmente, o sulla spalla. Se potessi scegliere, io giocherei sempre con la stessa palla dappertutto, ma la condizione di cambiamento delle superfici a me piace perché è uno strumento che favorisce un po’ lo spettacolo. Guarda questa settimana quante sorprese. A me piace sinceramente perché ti fa ben sperare, sai che ci sono delle condizioni che magari ti piacciono di più e quindi è incoraggiante. Se fosse sempre tutto uguale il gioco poi non diverte.
Grazie mille e in bocca al lupo per il lavoro futuro.
Grazie a te, è sempre un piacere.
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