di Fabio Ferro
Appuntamento per pranzo, in una delle zone più romane di Roma, per incontrare il più romano dei bresciani. Arrivo all’appuntamento in taxi, 13:09, un minuto prima del previsto, un miracolo a Roma. Lui è già lì ad aspettarmi, mentre scruta le macchine per vedere se arrivo. Scendo e mi precede nel saluto, “Ciao, piacere Mauro, Mauro Ricevuti”.
Mauro ha una delle più belle voci in assoluto. Pulita, sonora, praticamente radiofonica ed è un piacere ascoltare quando sviscera ricordi e li racconta con il suo accento bresciano, che neanche Roma è riuscito a scalfire in più di trent’anni di permanenza. Ha tanto da raccontare, perché le sue quattro vite tennistiche gli consentono una capacità di argomenti non indifferente. Oltre alle esperienze, colpisce la passione con la quale racconta i suoi trascorsi nel mondo della racchetta, sempre con un sorrisone stampato in faccia.
L’inizio del suo rapporto col tennis non è stato certo facile e quando gli chiedo come si sia avvicinato a questo sport, risponde “avevo 12 anni, era il ’68 e mia madre voleva farmi praticare uno sport che mi impegnasse e mi tenesse in attività. Andammo al T.C. Brescia, chiedendo di poter parlare con il maestro. Ci risposero che avremmo dovuto riprovare dopo qualche tempo perché il maestro era fuori per impegni di lavoro. Nel frattempo ci trasferimmo in Sardegna, a Cagliari, dove riprovammo ad entrare in un circolo di tennis per delle lezioni. Ci dissero che il maestro si era appena trasferito a Brescia. Dopo qualche tempo ritornammo a Brescia e trovammo finalmente il Maestro Alberto Stellato, che poi scoprimmo essere il famoso maestro che mancava a Brescia, prima, e a Cagliari, poi. Io cercavo il tennis e lui scappava altrove.”
Quando gli chiedo del tennis a livello agonistico, Mauro parla della classifica nazionale raggiunta nel ’78, 10 anni dopo aver cominciato a giocare. “Io sono del ’56, sono nato e cresciuto in un periodo in cui c’erano personaggi molto carismatici ed importanti nel tennis italiano, ho avuto modo di conoscere i più forti e i più caparbi tennisti italiani, in campo e fuori. Era dura per chi tentava di approcciare al tennis di alto livello e non solo in singolo, anche il doppio era una disciplina molto praticata. Prima del ’78 non c’era un raffronto diretto tra tutti i giocatori, ma poi, con l’introduzione del computer che calcolava i risultati, mi trovai in una categoria davvero importante. Avevo un bel braccio ed ero aiutato dal fisico, oltretutto devo riconoscere che ho sempre lavorato tanto e bene per obiettivi, tennistici e non.”
Arrivano due piatti di pasta fumanti e, inebriato un po’ dal profumo e un po’ dalla passione di Mauro per il tennis, gli chiedo della sua vita da tecnico federale: “nel ’79 decisi di diventare maestro e andai a Roma, con l’intento di formarmi e ritornare a Brescia. Divenni Maestro e non tornai più a casa, perché mi proposero di entrare a far parte della Scuola Maestri al Circolo delle Tre Fontane. Per me fu un onore, oltretutto mi piaceva molto l’idea di far parte dei “tecnici”. Nell’80 divenni vice-direttore della Scuola Maestri, un ruolo molto appagante dal punto di vista professionale e personale, motivo per cui ho ottimi rapporti con tutti coloro che sono passati alla Scuola in quel periodo. Ero anche Direttore Tecnico al Circolo del Foro Italico e mi occupavo anche delle squadre nelle varie competizioni. Avemmo ottimi risultati, si lavorava molto bene e avevamo ottimi giocatori in squadra.”
Mauro si illumina, poi, quando parla dei “ragazzi”. È chiaro che ha una predilezione per i ruoli tecnici e, stuzzicato dalla curiosità, gli chiedo chi siano: “sempre tra l’80 e l’84, mi occupavo del Centro Estivo di Sestola e del Centro Tecnico di Palagano, le prime due realtà in tal senso. In tanti sono passati di lì, più o meno forti e conosciuti. Giusto per fare alcuni nomi, c’erano Diego Nargiso, Renzo Furlan, Cristiano Caratti, Laura Golarsa. Anche a Roma ho avuto modo di seguire ottimi giocatori, come Vincenzo Santopadre in Coppa delle Regioni, mentre al Circolo delle Tre Fontane avevamo la Simmonds e Claudio Pistolesi. Parliamo di tennisti che hanno avuto splendide carriere, che mi hanno fatto vivere bellissimi momenti di tennis. Ancora oggi sono in contatto e ho un ottimo rapporto con molti di loro.”
Il primo impegno con la stampa avviene grazie al periodico “Il Tennista”, come tester di materiale tennistico:”nell’80 cominciai a collaborare con la rivista, all’epoca molto conosciuta. Svolgevo i test sui materiali e recensivo soprattutto racchette e palline. All’epoca la varietà di corde non era quella odierna, mi concentravo soprattutto sui telai, che erano in evoluzione proprio in quel periodo. Mi piaceva, fu una collaborazione molto utile per quello che è stato poi il mio futuro.”
Nella sua terza vita tennistica, Mauro Ricevuti si lega ad un marchio come Head, con il quale comincia a collaborare in maniera sempre più assidua: “Nell’81 provai diverse racchette, mi piacque particolarmente quella di un collega e amico, era una marchio che produceva fucili e racchette, un binomio strano, ma comunque intrigante. Chiesi di farmi un contratto e accettarono. Poco dopo, mi proposero un ruolo di Advisory in Head. Il marchio mi piaceva, quindi chiesi di divincolarmi dal precedente contratto e cominciai la mia avventura con la casa austriaca. Dall’85 divenni agente Head a tutti gli effetti e mi occupai esclusivamente di marketing. È stato un rapporto di lavoro bellissimo, con persone davvero competenti, che è durato fino al 2011. Ho dedicato buona parte della mia vita e della mia carriera alla valorizzazione della casa austriaca, abbiamo lavorato bene per la diffusione del materiale e delle sue peculiarità agonistiche. Non è un caso che ancora oggi sia una delle più usate, è il frutto di lavoro e di obiettivi”
Siamo al Caffè, ed io chiedo al giovanotto del ’56 di cosa si stia occupando dal 2011 ad oggi: ”lavoro con la Federazione e collaboro con Supertennis, mi occupo soprattutto di marketing. Dal 2011 mi sono allontanato un po’ dal tennis giocato e curo i rapporti con gli sponsor, ma anche della promozione dei Centri Estivi e di eventi particolari, come il Simposio Internazionale che si tiene al Foro Italico“.
Colgo una sfumatura di nostalgia nello stare lontano da racchette e palline e gli chiedo come si vedrebbe in un settore più tecnico della federazione : “mi farebbe davvero piacere, d’altronde la mia vita in federazione è cominciata alla Scuola ed è un’attività che mi coinvolge molto. Ma sai cosa mi ha riavvicinato al tennis? Supertennis, con il ruolo di commento tecnico”.
Il ruolo che Supertennis gli ha dato lo stimola e con energia spiega come è andata e cosa lo stimola: ”un giorno il Presidente Binaghi mi incontra in Federazione, e a freddo mi dice: “secondo me tu potresti fare i commenti in televisione”. Non sapevo nulla di televisione, non avevo idea di come avrei reagito all’impatto del microfono. Organizzammo una prova ed evidentemente la prova è andata bene. Ho fatto fatica all’inizio, ma mi ha fatto piacere riavvicinarmi al tennis, studiandolo, applicando le mie conoscenze alle dinamiche del tennis moderno.”
Cavalco il suo entusiasmo e gli chiedo quale sia l’aspetto più bello del ruolo che svolge: “Ho commentato più di 100 partite negli ultimi 2 anni. Me le segno tutte, mi scrivo le mie note e la partita me la vivo, la analizzo. Mi ha dato energia, perchè ho dovuto riavvicinarmi al tennis, tornare a capirlo, nelle sue dinamiche tecniche e psicologiche. Ho dovuto riprendere le redini del gioco, perché basta pochissimo tempo per sentirsi obsoleto in questo mondo. Ho dovuto studiarlo e non è una cosa che si impara in poco, è frutto di analisi e di valutazioni. Il commento tecnico è cosa ben diversa dal raccontare la partita, non devi subirlo come un lavoro, lo devi vivere come se tu fossi un coach, devi interpretare e raccontare quello che non si vede della partita. Se un tennista fa un bel passante, tutti vedono che è un bel passante, quindi è aleatorio che io ti dica che è un gran colpo. Diversamente, devo dirti perché ha giocato quel passante. Il vero plus è cercare di interpretare ciò che sta per succedere. Ci vuole la capacità di capire che il tennis si evolve, nella partita, nella stagione e nella carriera. Ad esempio, nutro molta stima per Umberto Rianna, proprio perché ha questa capacità di vedere lungo ed interpretare come un tennista potrà giocare e come potrà variare il suo gioco nel tempo. Ci vuole applicazione, bisogna saper mettersi in gioco e mettere in gioco le proprie certezze, perché, mai come in questo sport, le cose variano.
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