Stefano Piccirillo è una delle voci storiche della Radio Italiana, un conduttore apprezzatissimo, colonna portante di Radio Kiss Kiss, un grande conoscitore di musica e una personalità molto variegata. Stefano è anche un grandissimo appassionato di tennis, lo segue, ma per lavoro non lo gioca più, in compenso, oggi, lo commenta in tv, visto che è anche una delle voci di Supertennis, il canale tematico della Fit.
Ma Stefano, che è un artista piuttosto completo, è anche una penna eccellente e un narratore che riesce ad appassionare il lettore con le sue storie. Poco tempo fa, infatti, ha pubblicato il suo Romanzo, Gretest iz, un libro che, personalmente, ho apprezzato tantissimo nelle sue mille e più sfaccettature. È un viaggio in una vita vissuta, con dei tratti pennellati di vita che Stefano avrebbe voluto vivere o che immagina di vivere, attraverso il suo Alter Ego, Steven. Gretest Iz è un libro fatto di musica, un libro che si può anche ascoltare, perché è scritto in 15 capitoli, con 15 canzoni che identificano i momenti della lettura, più un bonus track. Per ogni capitolo c’è una storia di Steven, che è legata alla canzone da cui prende il titolo la storia, fa anche da colonna sonora e si lega al racconto stesso. È un intreccio tra narrazione e musica, anzi ottima musica, che sembra quasi di ascoltare, man mano che si va avanti nella lettura.
Con un romanzo così particolare, l’idea di intervistare Stefano Piccirillo in maniera classica e monotona, sarebbe stata un insulto alla sua vena artistica e alla sua eccletticità, pertanto ho deciso che mi sarebbe piaciuto creare un’appendice, virtuale, al suo libro, nella quale associare 15 brani musicali a 15 tennisti o 15 momenti di tennis. Una sorta di gioco, che ha messo in luce dei gusti tennisti in parte comuni, ma, come mi aspettavo, molto particolari.
Siamo al primo capitolo, cosa proporresti per aprire il tuo romanzo sul tennis?
“Inizierei con “Good Times” degli Chic, innegabilmente legato a John McEnroe, perché la Disco Fever si lega perfettamente alla sua figura di tennista ballerino sul campo. Forse è il tennista che io ho più amato, perché riusciva a dare spettacolo, e proprio come gli Chic riuscirono a sconvolgere la musica, John riuscì a sconvolgere e riscrivere le regole del tennis giocato. Riuscì secondo me ad essere la Disco Fever del tennis. Oltretutto, mi piace legarlo a qualcosa di gioioso, irriverente e di festaiolo, un elemento di rottura e un tono di colore che ha segnato il passaggio tra il tennis classico e moderno”.
Nel libro c’è un pezzo di Lotus Eaters, “The first picture of you”, a chi lo dedicheresti?
“È un pezzo dei primi anni ‘80, un pop di alta qualità, che io legherei ad Adriano Panatta, perché Adriano, con la sua veronica, con il suo modo di essere così figo, non può che essere legato ad un pezzo così figo, che ha avuto una enorme cassa di risonanza. Allo stesso tempo, questo legame lo ravvedo anche nel fatto che, sia Adriano che i Lotus Eaters non abbiano riscosso il giusto successo e mi riferisco soprattutto a momenti come il match a Wimbledon contro Dupre, quando perse nei quarti di finale, in un momento di grande forma e di fiducia”.
Non può mancare Roger Federer in un romanzo sul tennis, che canzone merita?
“A te” di Lorenzo Jovanotti. La abbinerei a Roger Federer perché è una dichiarazione d’amore. Ogni volta che Federer calca un campo, in qualsiasi parte del mondo, il pubblico gli tributa sempre una dichiarazione d’amore. Lui è la poesia nel tennis, come “A Te” è una poesia nella musica. Ci sarebbero tanti pezzi da potergli cucire addosso, ma la semplicità della poesia di “A te” combacia perfettamente con la semplicità e l’eleganza dei suoi movimenti e del suo essere campione di tutti gli appassionati”.
Prima di Roger Federer, però, il campione della gente era Pete Sampras. Lo inseriresti nella tua Gretest Iz?
“Assolutamente si, e “La distanza di un amore” di Alex Baroni, che è un pezzo del 2001, mi ricorda tantissimo Pete Sampras perché mi ricorda quanto fossi distante, in quel periodo, dai campi da tennis che avevo frequentato assiduamente. Era un momento della mia vita in cui amavo Sampras, ma i miei contatti con il tennis erano molto limitati e, in cui, lo schermo della TV era il filtro tra me il tennis. Sampras era il mio amore tennistico, ma allo stesso tempo è un amore che ho vissuto in un periodo in cui ero molto lontano dai campi da tennis”.
So che hai una cultura tennistica pari quasi a quella musicale. Deduco che apprezzi anche il tennis anni ’70, che musica e che tennista inseriresti nel tuo romanzo?
“Heroes” di David Bowie la associo a Manuel Orantes, perché è uno dei primi tennisti che ho visto in televisione. Era un latino, uno spagnolo. Era un regolarista, anzi un pallettaro ed era un tennis assolutamente da appassionati, di quelli veri, con la forte possibilità di risultare monotono, ma comunque Orantes resta un eroe di quel tempo. Quando giocarono Italia-Spagna di Davis, girava David Bowie con Heroes e l’associo così, per me è un collegamento diretto”.
Un romanzo senza una donna non è possibile, chi è la Greatest iz tra le le tenniste?
“Assocerei Steffi Graff a “Into the groove” di Madonna. Era il periodo in cui il tennis femminile cominciava a fare i veri proseliti tra gli appassionati. La Graff era una una professionista vera, non una da copertina patinata, venuta fuori in un momento tennistico molto proficuo per la Germania, con Becker, cominciava a piazzare vittorie importantissime. Steffi Graff ha significato tanto per il tennis ed io la associo ad un pezzo grandioso come quello di Madonna, che esprime tutta la felicità del personaggio”.
Nel tuo libro non parli solo di personaggi positivi. Se dovessi scegliere un cavaliere oscuro, chi prenderesti?
“Non posso non inserire Nadal, anche se non è il mio tennista preferito, ma penso che sia obbligatorio, citando Federer, parlare anche della sua nemesi. Ho mal sopportato il modo di giocare e il lato estetico del suo gioco, è sempre stata una sofferenza per me vedere il suo modo di intendere il tennis. Io metterei un pezzo degli anni 2000 e posso accostare “Ogni volta” di Antonello Venditti, proprio perché ogni volta che vedevo Nadal, tifavo per il suo avversario, ma sapevo che avrebbe vinto e, oltretutto, con un gioco che trovo stilisticamente fastidioso, quasi a farmi del male e, appunto, “Ogni volta” è perfetta”.
Il tennis gira tutto intorno a Federer, anche un ex campione apprezzatissimo come Edberg. C’è spazio per uno come lui?
“In una Gretest iz come questa non posso tralasciare Edberg, che è un grandissimo e che non è vincente come federe, ma mi piaceva vederlo perché ha rappresentato ancora il tennista con l’orologio sul polso, con una eleganza pazzesca e un modo di giocare molto divertente. Per questo lo abbino al divertimento Pop degli anni ’80, tipo Kissing the pink con “One step”. Ogni passo di Edberg era una danza soffice sul campo di gioco”.
Tra gli altri n.1 al mondo, chi sarebbe adeguato per il romanzo?
“Un tennista che a me è sempre piaciuto molto, che è stato n.1 al mondo per veramente un istante, è Pat Rafter. A lui abbino i New Radicals, con “You get what you give”, un pezzo molto bello di una band di Greg Alexander, che realizzò un album fantastico, che rispecchiava molto anche il periodo migliore di Rafter, tra il ’99 e il 2000. Aveva questo look molto selvaggio e anche Alexander lo era. Penso sia indissolubilmente legati nello stile e nel modo di essere”.
Inseriamo un personaggio forte, ma sfortunato. Chi ti viene in mente?
“Mi piace pensare al tennis italiano, non solo a quello di Adriano Panatta, ma anche a quello di Andrea Gaudenzi, mi piaceva molto perché abbinava la forza e la potenza ad un talento. A lui posso dedicare un pezzo Pop molto forte, come lui, che lo identifica perché non ha raccolto quanto meritava. Lo abbino a “Gold di Prince”.
A parte McEnroe, tutti personaggi con la testa sulle spalle. Nessun diavolo del tennis?
“Come avrai capito, a me piacciono i personaggi, positivi e negativi, e non posso non inserire Marat Safin, associandolo a “Lady” di Modjo. Aveva un talento pazzesco. Nella finale agli Us Open diede tre set a zero a Pete Sampras in piena attività. Modjo esprime il modo di vivere di Safin, nel suo essere felice di vivere una vita piena di successi e di divertimenti, anche senza sfruttare appieno il suo talento. C’è una scena molto bella di Safin a Wimbledon, nel periodo in cui era seguito da Mats Wilander. Mentre tutti si allenavano, Safin tirava le noccioline da un balcone di uno dei Bar di Wimbledon, con Wilander che gli passava le noccioline”.
Beh, Safin era decisamente un personaggio, ma non era l’unico di quel periodo. Ne inseriresti altri?
“Mi piace ricordare un altro personaggio, uno che è passato attraverso i sui stessi caratteri, come Andrè Agassi. Mi piace come il suo tennis sia cresciuto insieme alla sua persona e alla sua personalità, nel suo evolversi e divenire un professionista di altissima qualità, partendo da un temperamento ribelle. “Let it be” dei Beatles è perfetta”.
So che segui anche i campionati minori, non solo in Italia. Chi prenderesti dagli “inferi”?
“Personalmente, amo molto il circuito underground americano. Quindi, mi affascinano molto i tennisti americani come Steve Johnson perché un underdog, rappresenta la classe operaia che va in purtgatorio. Faccio sempre il tifo per lui, “Go Stevie, Go Stevie”, e metterei proprio un pezzo di Stevie Wonder che sia chiama “Sir Duke”. Steve Johnson è stata una delle speranze della USTA, che non vive un momento d’oro, ma mi manca un tennista americano di livello, come penso manchi a tutti. In due generazioni, gli americani hanno avuto McEnroe, Courier, Sampras e Agassi, regalando tantissimo bel tennis al mondo intero e si sente la mancanza di un tennista a stelle e strisce, che sappia combattere nelle posizioni di vertice. Proprio per questo, con un Isner che non entusiasma nonostante sfiori la top ten, lo spirito americano è incarnato perfettamente da Johnson. Sempre in America, ma andando indietro nel tempo, prendo Andy Roddick, invece, merita un pezzo più irriverente, Lenny kravitz, con “Over til it’s over”. Ha affermato Lenny Kravitz nel mondo della musica. Ricordo appunto uno US open in cui Roddick era andato avanti per la prima volta e si trovò a giocare, contro Sampras, un match che diede inizio alla sua vera carriera. Andy Roddick mi piace soprattutto come personaggio e penso sempre a quella volta che una giornalista gli chiese “Tu e Federer siete grandi rivali” e lui rispose “saremmo rivali se ogni tanto vincesse l’uno o l’altro, ma vince sempre lui”. Questo suo modo irriverente e diretto ne fa un personaggio fantastico per il tennis, oltre ad essere un grande lottatore in campo. Se poi consideriamo il gesto, nella partita con Verdasco, agli Internazionali d’Italia, quando sul matchpoint fu chiamato Out il servizio dell’avversario, Roddick andò a verificare il segno, diede la possibilità di servire nuovamente a Verdasco, che si riprese e vinse la partita”.
Ci vuole un sognatore, qualcuno che ce l’abbia fatta, un personaggio simbolo del riscatto.
“Assolutamente Marcus Willis, deve esserci nella mia Gretest iz, perché è una favola tennistica. È stato l’unico tennista per il quale il pubblico ha tifato contro Federer, una cosa mai accaduta. Sovrappeso e fuori forma, Marcus doveva ritirarsi e fare il maestro, come già faceva part-time in un circolo inglese. Poi ha conosciuto una ragazza ad un concerto di Ellie Goulding, che, divenuta la sua compagna, e lo ha spinto ad inseguire il sogno di giocare a Wimbledon, sul campo più importante del mondo, contro il giocatore più importante di tutti i tempi. Una favola, tra amore e voglia di farcela. L’associazione al pezzo, in questo caso, è quasi automatica e dico “Love me like you do”, proprio di Ellie Goulging”.
Siamo quasi alla fine, chiudiamo in bellezza. Chi rappresenta la bellezza nel tennis?
“Come ultimo metterei un tennista che a me ha sempre fatto impazzire. Henry Leconte, un artistoide, un po’ pazzo, come me, un personaggio mai banale, un grandissimo amante della musica e gli dedicherei “Start me up” dei Rolling Stones perché un pezzo che lo racchiude nel suo genio e nella sua sregolatezza. Ancora oggi, nel circuito senior, ha una mano pazzesca e sa farsi ammirare”.
Nel tuo Romanzo Steven è il tuo Alter Ego, che vive tutte le esperienze e gli accadimenti che racconti, ma, nel tennis, chi è il tuo Alter Ego?
“Come Alter Ego, mi piacerebbe un tennista totalmente differente da me, uno preciso, uno costante, uno come Corrado Barrazzutti, in totale contrapposizione con la mia sregolatezza e il mio modo di essere. Barrazzutti è stato un Costante, quasi da essere in ombra, ma ha fatto ottimi risultati, giocando un tennis di qualità, solido e preciso. Mi piacerebbe essere così”.
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