di Emanuele De Vita
È una calda giornata di fine settembre del 2009. Splende il sole sia sui campi del challenger Green Park di Posillipo sia sul volto radioso dell’idolo di casa Giancarlo Petrazzuolo. Il partenopeo doc ha appena battuto il tennista che creerà la più grande sorpresa degli ultimi anni nel mondo del tennis, quel Lukas Rosol, giustiziere di Rafa Nadal sull’erba di Wimbledon nel 2012. Ho avuto il privilegio di seguire dal vivo a Posillipo quel match palpitante, dai contorni quasi “western”, e ho ancora il ricordo vivido del cuore e della voglia di vincere di Petrazzuolo, che, abbastanza sorprendentemente, dopo quella meravigliosa vittoria (e altri pochi match) decise, a ventinove anni, di ritirarsi dall’attività agonistica e intraprendere una nuova stimolante avventura, quella di coach.
“La scelta di ritirarmi a ventinove anni è stata ben ponderata. Quando un tennista arriva a una certa età, con una determinata classifica, ha l’obbligo di porsi delle domande e di fare delle scelte. È anche vero che venivo da un’annata in cui avevo raggiunto i migliori risultati, ma sentivo che oramai la mia attività stava diventando troppo faticosa. Non c’ho pensato su due volte e mi sono buttato a capofitto su una passione che ho sempre avuto, e per la quale ho avuto fin da subito forti motivazioni: quella di allenare. Ho intrapreso un rapporto di collaborazione con Umberto Rianna e quindi con Potito Starace. Poi sono passato full time alla “Blue Team”(dove ho conosciuto Simone Bolelli) per poi tornare a Torre del Greco nel 2012”.
Spesso si hanno dei rimpianti durante l’arco di una carriera…
“Non ho rimpianti per la mia carriera da giocatore, anzi non credo sia giusto averne. Ovviamente con il bagaglio d’esperienza che ora ho accumulato, non farei più determinate scelte, soprattutto quelle concernenti la programmazione, ma ritengo che nella carriera di ogni tennista, come d’altronde in tutti i lavori, sbagliare aiuta a maturare e a crescere”.
Petrazzuolo è uno dei tanti giovani tecnici italiani che stanno ottenendo buoni risultati ultimamente.
“Siamo una generazione di giovani ex giocatori che hanno smesso tutti più o meno contemporaneamente. Io, Piccari, Aldi, Colangelo e anche altri, eravamo un gruppo con tanta voglia di fare e tante motivazioni che ora stiamo trasferendo ai nostri assistiti, cercando di inculcare in loro la stessa passione che avevamo noi quando giocavamo. C’è da dire che abbiamo ringiovanito anche la classe degli allenatori italiani che era un po’ vecchiotta”.
Capitolo Simone Bolelli. Un giocatore in netta ripresa grazie anche al decisivo aiuto, fisico e mentale, di Giancarlo Petrazzuolo.
“Posso affermare con certezza che Simone è un giocatore recuperato al cento per cento. Sappiamo tutti quanto possa essere complicato per un tennista recuperare da un infortunio al polso (come nel caso di Simone) o anche alla spalla. Abbiamo intrapreso insieme un percorso di recupero a tappe. A novembre era ancora abbastanza frenato, ora credo che gli servano solo partite per mettere benzina nelle gambe e riacquistare la fiducia per fare il definitivo salto di qualità. Simone è migliorato tanto anche sul lato atletico, grazie a un allenamento quotidiano di cinque ore che ha svolto con il suo preparatore atletico a Tirrenia”.
A volte Bolelli sembra un giocatore al quale manca sempre qualcosa per fare il definitivo salto di qualità.
“Simone deve capire bene su cosa mettere l’attenzione quando è in campo, deve lavorare sulla ricerca di sensazioni diverse in ogni torneo, e quindi ogni settimana. Ma è un giocatore intelligente e sa come poter sfruttare al meglio le sue caratteristiche”.
Programmazione futura incentrata sulla Davis?
“Ora sta giocando il doppio in un challenger negli Stati Uniti, per poi andare a giocare le quali a Miami. Poi abbiamo in programma la preparazione per la Davis e soprattutto le quali a Montecarlo dove risiede. Successivamente disputerà anche il challenger di Vercelli e un altro importante torneo in Turchia dove ha anche vinto in passato. L’appuntamento clou è ovviamente la Davis a Napoli. Un’occasione irripetibile che non avevamo da anni e che dobbiamo sfruttare. La carica che Simone e gli altri ragazzi avevano in Argentina fa ben sperare per poter disputare una grande partita anche contro la Gran Bretagna. Credo che Simone giocherà solo il doppio. Fognini, che sta giocando a dei livelli altissimi, e Seppi, che si sta riprendendo, danno ampie garanzie nelle gare di singolare. Complessivamente abbiamo cinque-sei giocatori di ottimo livello su cui poter contare”.
Giancarlo chiude con una frase di stampo zemaniano…
“Quello che mi piacerebbe più di ogni altra cosa è formare, plasmare, far crescere un giovanissimo, perché il mio sogno è quello di poter essere una guida, non solo tecnica, ma anche un modello per i giovani giocatori, non solo allenare un giocatore già formato. Con Simone, invece, vorrei poter raggiungere i risultati che ho solo sfiorato da giocatore, quando mi sono fermato alle quali degli slam”.
La stessa grinta, passione e voglia di vincere che quel giorno a Posillipo mi ammaliò, e che ora Giancarlo sta riversando nel suo lavoro di coach.