La scorsa settimana ho avuto il piacere di chiacchierare nuovamente con Stefano Travaglia, a proposito delle emozioni vissute in questi ultimi, incredibili mesi. Verso la fine della telefonata mi rivela che qualche mese fa gli è accaduto un bell’episodio che gli ha donato molta fiducia, ma che la persona più indicata per raccontare l’aneddoto è sicuramente il suo mental coach, Marco Formica. Faccio così la conoscenza di un altro membro fondamentale del suo team, colui che lo segue da ormai tre anni e con cui condivide quotidianamente gioie e difficoltà, successi e sconfitte.
Marco mi anticipa un messaggio riguardante un’esperienza altamente formativa, che ha per protagonisti Stefano e l’Head of LinkedIn Italy, Marcello Albergoni, con cui si è instaurata fin da subito una spontanea e genuina amicizia, che va ben oltre la semplice collaborazione professionale.
Loquace e coinvolgente, Marco si dimostra subito disponibile ad approfondire la vicenda; colgo quindi al volo l’occasione per parlare anche di alcuni aspetti del lavoro svolto con Stefano e con gli altri professionisti che segue. Riporto fedelmente il messaggio da cui poi è nata questa stimolante intervista:
“Non so quanti di voi abbiano notato gli #hashtag con i nomi degli sponsor in fondo ai post della pagina Facebook del Fun Club di Stefano Travaglia, ma in fondo, tra Wilson, Lotto etc., c’è sempre un #marcelloalbergoni e non si tratta di un brand…
Oltre a essere il Mental Coach di Stefano ed altri atleti abbastanza famosi, lavoro anche con aziende e manager: lo scorso gennaio mi giunse la richiesta di un intervento motivazionale per un cliente molto importante, LinkedIn; l’obiettivo era motivare le persone ad affrontare con determinazione nuove sfide in un momento di grande cambiamento ed ebbi l’idea di portarmi Steto perché raccontasse la sua esperienza di atleta risorto dalle più svariate avversità. Stefano, in queste circostanze, ha un modo spontaneo di porsi al pubblico che è molto efficace e il suo contributo alla mia dissertazione andò ben oltre la ciliegina sulla torta. Infatti tra lo staff di LinkedIn che si trattenne a parlare con lui, c’era anche l’Head of LinkedIn Italy, appunto Marcello Albergoni, con il quale nacque un rapporto molto speciale, al punto che un giorno ci invitò negli uffici LinkedIn di Milano.
Così a giugno lo andammo a trovare nella suggestiva sede italiana di LinkedIn, dove ci accolse la sua mitica assistente Gabriella Picca, micidiale mix di simpatia ed efficienza. Pranzammo insieme in ufficio e passammo un pomeriggio splendido, tra la cordialità di tutto lo staff che ci aveva riconosciuti. Marcello mi raccontò di avere visto in Stefano qualcosa di suo fratello maggiore Federico, tennista strappato ai propri sogni da un fatale incidente stradale e mi chiese informazioni per contribuire a titolo esclusivamente personale alla carriera di Steto; in aggiunta, ci mise a disposizione il suo staff per realizzargli un profilo LinkedIn che potesse attrarre più efficacemente i potenziali sponsor. Con questo gesto di generosità, Marcello Albergoni è certamente lo sponsor più genuino che Stefano Travaglia abbia mai avuto, data l’assoluta assenza di contropartite o di un interesse diverso dal coltivare una sincera amicizia.
Ho voluto raccontare questo aneddoto perché in questi tempi, caratterizzati da un diffuso cinismo, egoismo e avidità, una storia bella è come un raggio di sole che filtra nella penombra per restituire luce ai valori di una volta. Oggi con Marcello ci teniamo in costante contatto durante i match via WhatsApp, scambiandoci i commenti più improbabili sui colpi di Stefano…e a chi mi chiede come sia il Boss di LinkedIn… rispondo semplicemente che “è un Figo”!”
Marco, partiamo da questa bella testimonianza di collaborazione spontanea…
“È nato tutto un po’ per caso: io lavoro non solo con gli sportivi ma anche con aziende in fase di cambiamento; ad esempio mi chiamano per aiutare un manager che ha avuto un avanzamento di carriera a parlare in pubblico. Tra le varie richieste giunte a inizio anno c’è stata quella da parte di LinkedIn: l’azienda in quel momento era in una fase di transizione molto importante, era appena stata acquistata da Microsoft e mi hanno contattato per parlare di reazione positiva al cambiamento. Ho pensato di portare con me Stefano come esempio, nonostante la giovane età, di chi si è trovato ad affrontare numerosi cambiamenti difficili. Era la mia ciliegina sulla torta, in genere cerco sempre di proporre agli incontri un esempio dal mondo dello sport, penso sia utile per chi vuole diventare più competitivo avere la testimonianza di chi fa della competizione il proprio pane quotidiano. Stefano poi, quando si trova di fronte a una platea anziché andare in crisi diventa molto piacevole e aperto. Per farti capire lo presentai con una fotografia del 2013, quando fu invitato da Roger a fargli da sparring due settimane a Dubai; lui si è girato a guardare la foto e ha detto, scatenando l’ilarità generale: “Quello tutto sudato è Federer!” È stato un pomeriggio di formazione molto interessante, siamo stati a cena con Marcello Albergoni, uomo pieno di energia, con cui si è creato spontaneamente un feeling molto forte e che, dopo il successivo incontro a Milano, gli ha offerto sia il suo aiuto personale che quello professionale con la costruzione di un profilo LinkedIn, in modo da poter attirare potenziali sponsor. Mi sembrava significativo segnalare che una persona senza alcun interesse tranne l’empatia abbia fatto un gesto così bello. Stefano è un ragazzo molto sensibile e questa cosa gli è stata d’aiuto: sapere di aver guadagnato il favore di un uomo carismatico, di successo, brillante, di cultura, che in lui ha visto altrettanto, gli ha dato molta fiducia in sé stesso”.
Descrivimi il tuo lavoro, come hai iniziato e come ti sei formato. Tu hai cominciato dalle aziende, da quanto tempo invece ti dedichi agli sportivi?
“Io provengo dal mondo dello sport, sono stato maestro di sci e di nuoto, mi sono laureato in Scienze Motorie e ho cominciato a lavorare in Ellesse negli anni ’80, cioè quando era famosa quanto la Nike adesso. Lì mi occupavo di forniture per le squadre nazionali di sci, girando nelle tappe di Coppa del Mondo ai tempi di Tomba; poi ho percorso la carriera internazionale da manager con altre aziende. Nel 2003 ho cominciato a interessarmi al mondo del mental coaching e sono andato a studiare in America programmazione neurolinguistica e ipnosi. Sebbene continuassi a fare sport per passione, ho cominciato a testare queste mie nuove competenze nelle aziende, ma quasi per caso mi trovai a seguire una tennista e da lì si è accesa una scintilla. Forse grazie al mio passato da sportivo è emerso un vero talento naturale e in pochissimo tempo mi sono trovato a lavorare con Thomas Fabbiano e Luca Vanni e successivamente con Stefano: sono già da tre anni alla Tennis Training School di Foligno. Seguo anche con tanti giovani, ad esempio le ragazzine del Tennis Giotto di Arezzo che hanno appena vinto il titolo italiano under 16, o con Giulia Capocci, campionessa italiana di tennis in carrozzina o con Andrea Santarelli, vicecampione olimpico di spada a squadre”.
Ho parlato con Stefano del fatto che il lavoro svolto con lui durante quest’anno sia cambiato man mano che cambiavano gli obiettivi. È stato un anno impegnativo anche per te! Riusciresti a spiegarmi come lavorate insieme?
“Stefano è il ragazzo che seguo più da vicino ed è quello con cui al momento sto vivendo le maggiori soddisfazioni. Il mio lavoro spazia dal parlare con lui di un po’ di tutto, da ciò che lo può turbare piuttosto che facilitare, il nostro è un rapporto molto consolidato. All’inizio abbiamo lavorato molto sull’emotività, non è certo un segreto che fosse una testa calda, adesso invece è un ragazzo molto più maturo e probabilmente la chiave di volta è stato l’infortunio dello scorso anno: anche quello è stato un percorso di crescita e ho subito intuito che quella debolezza potesse diventare un punto di forza. Mi ricordo che prima di scoprire che aveva una vertebra rotta non riusciva più a colpire col rovescio da quanto gli faceva male andare in trazione col busto. Io l’ho aiutato a capire che aveva un repertorio tecnico talmente ricco che avrebbe potuto vincere anche facendo a meno di un fondamentale; infatti ha vinto due tornei consecutivi usando quasi soltanto il back. Anche quello fu un momento di crescita, perché si rese conto che le sue potenzialità erano decisamente superiori rispetto a quello che pensava. Negli ultimi due anni abbiamo cercato sempre di fare qualcosa di nuovo in funzione delle circostanze, in particolare sulla consapevolezza dei propri mezzi o per rimanere focalizzato sul presente. Probabilmente i risultati importanti sono arrivati perché ha vissuto con tranquillità e serenità l’esperienza di giocare in uno Slam, scarico da ogni responsabilità. Ma nessuno mi venga a dire che vincere contro Fognini è stato facile! Stefano è stato bravo a interpretare bene la circostanza in cui si è trovato, ben ancorato al presente senza pensare a cosa poteva accadere nel giro di un game o di un set”.
Qual è secondo te il tranello più rischioso che ti tende la mente durante una partita?
“Ah, restare concentrati e dimenticarsi di giocare nel presente! L’idea è che se tu sei arrivato a giocarti un match point vuol dire che tutte le palle che hai giocato prima meritavano la tua attenzione, altrimenti non ci saresti arrivato. Se dovessi racchiudere il concetto in una massima sarebbe: “Colpisci la prima palla come colpiresti l’ultima e arriverai all’ultima con un’opportunità da cogliere”. L’errore mentale più frequente avviene quando i tennisti rapportano le loro sensazioni sul campo rispetto all’allenamento del giorno prima, quindi restano nel passato, oppure pensano che se brekkano l’avversario si portano avanti, proiettandosi nel futuro, ma dimenticano che stanno giocando nel presente. Il segreto è stare concentrati su ogni singolo punto”.
Immagino che tu purtroppo non riesca a seguirlo sempre in giro per i tornei, come e quando vi sentite?
“Parliamo moltissimo, al telefono, su Whatsapp o Skype tutti i giorni, a seconda anche dei fusi orari, mi piace anche questo aspetto un po’ esotico del connettermi coi ragazzi che seguo in diverse parti del mondo! A volte bastano solo delle parole chiave che danno la giusta energia o che al contrario gli fanno ritrovare il giusto equilibrio interiore. Poi il nostro rapporto va al di fuori della professionalità, ci vediamo spessissimo, infatti tra poco viene qui a cena a casa mia”.
Praticamente sei una via di mezzo tra uno psicologo, un amico, un fratello maggiore. Ti è mai capitato di affezionarti a qualcuno che poi non hai più potuto seguire? Penso a Luca Vanni che ora non si allena più a Foligno…
“Diciamo che non ho mai interrotto rapporti per cose diverse da un trasferimento o per un cambio di esigenze personali. Di cose ruvide a oggi, niente. Tuttalpiù ci sono stati molti cambiamenti, ma continuo a sentire tutti e se si riesce ci si vede anche. Luca con Foligno ha mantenuto un rapporto ottimo, anche perché lui non riuscirebbe mai ad affrontare un cambiamento senza prima essere in pace con sé stesso, è un persona estremante affettuosa, ogni volta che possiamo ci vediamo. Sai, il mio è un tipo di lavoro in cui se non si crea un’empatia non funziona proprio, di conseguenza la controindicazione potrebbe essere che è difficile staccarsi, perché quando accetto un incarico questo implica da parte mia condividere e sposare pienamente gli obiettivi dell’altro, che diventano anche i miei. Ad esempio quando Andrea Santarelli è venuto da me in un momento di difficoltà io gli ho chiesto di stabilire tre obiettivi, uno a lungo, medio e breve termine. Lui mi disse che voleva tornare competitivo come prima, essere convocato in nazionale e andare alle Olimpiadi. Dopo tre mesi batté per due volte di seguito il n.1 al mondo, dopo un anno venne convocato in nazionale e dopo due vinse la medaglia d’argento a squadre. Questa per me è la parte più bella: pur non avendo più la possibilità di esprimere direttamente delle prestazioni atletiche riesco comunque a raggiungere obiettivi di altissimo livello e vivere delle emozioni che pochi altri possono comprendere. Quando uno dei tuoi ti scrive ringraziandoti per quella parte di merito che può essere riconducibile alla tua opera è una cosa che proprio non ha prezzo. Tutte queste piccole soddisfazioni sono i miei personali trofei”.
Ti occupi anche di tennis giovanile? Ti sei mai scontrato con un genitore che voleva per il figlio i maggiori risultati possibili subito?
“Sì, la squadra under 16 che ha appena vinto i campionati Italiani ha degli elementi con cui sto lavorando. Una di loro, Matilde Mariani, è stata convocata al centro tecnico permanente di Foligno, dove c’è la struttura dedicata. Proprio due settimane fa ad Arezzo abbiamo organizzato una conferenza sul tema genitori-figli che praticano sport a livello agonistico, partendo dalla biografia di Agassi, Open. Mi capita abbastanza spesso di parlare con i genitori, ma mai di scontrarmi, lo scorso anno ho organizzato anche a Foligno degli incontri che coinvolgevano insieme genitori e figli per metterli a confronto su dinamiche che si affrontano quotidianamente. Quando sono piccoli sono i genitori ad accompagnarli ai tornei e in quel contesto i ragazzini non sanno mai se le cose gliele dice il papà o il maestro-accompagnatore. La verità è che i genitori fanno più di quanto dovrebbero, perché l’unica cosa che un figlio vorrebbe da un genitore è l’incoraggiamento, il sostegno sentendosi dire: “Sono contento qualsiasi cosa tu faccia e ti sosterrò nella sconfitta, nella vittoria, nelle gioie e nelle difficoltà”. Per tutto il resto c’è il maestro o chi ha un titolo più qualificato per dare consigli tecnici. I genitori devono trovare il proprio giusto ruolo all’interno del meccanismo più o meno virtuoso del tennis giovanile”.
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