di Giulia Rossi
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle…” Pensieri di leopardiana memoria riaffiorano sopiti quando, forte e deciso, l’accento marchigiano risuona nelle mie orecchie.
Mancano circa quattro mesi alla 34^ edizione ma la macchina organizzativa di Porto San Giorgio è già strenuamente all’opera. Il fascino dell’assolata riviera marchigiana a fine giugno, l’atmosfera accogliente del circolo, la minuziosa preparazione curata in ogni piccolo dettaglio, uniti a un passato lastricato di vincitori illustri, ne fanno dei tornei più ambiti al mondo. Il presidente del circolo di Porto San Giorgio Luca Quinzi ci svela cosa c’è dietro al successo del torneo under 12 più antico in Europa.
La prima domanda riporta le lancette indietro nel tempo, a quel 1983 che ne segnò il debutto ufficiale. Chiedo dunque al signor Quinzi come nacque l’idea di dare a Porto San Giorgio un torneo giovanile: “Il torneo nasce nel 1983, allora era presidente mio padre e grazie all’allora responsabile federale del settore under 14, il compianto Luciano Fizzi, ci fu chiesto, anzi per la precisione fu chiesto a mio padre, di organizzare un torneo under 12 a partecipazione straniera. Fu un’intuizione felicissima visti i risultati e i riconoscimenti nel tempo, sia come albo d’oro che a livello di partecipazioni straniere. Ad oggi sono circa 70 le nazioni a rappresentanza di tutti i continenti che vi hanno partecipato. È inserito nel palinsesto di Tennis Europe ed è il più antico d’Europa, quest’anno festeggia 34 edizioni. A livello under 12 non c’è nessun altro torneo dall’introduzione dello Junior Tour, quindi dal 1990, che sia rimasto sempre presente nel palinsesto continentale. All’inizio faceva parte di un gruppo di tornei assieme a Rovereto e Napoli, che poi si sono persi per strada, ed è stato appunto fino al ‘90 un torneo ad inviti a partecipazione straniera, poi con l’introduzione dello Junior Tour è entrato nel calendario di Tennis Europe e da lì non è più uscito. È gemellato col Bonfiglio di Milano con cui condividiamo il riconoscimento internazionale, ciascuno per la propria categoria, come probabilmente miglior torneo su terra rossa, a livello under 12 e under 18, sicuramente in Italia e forse in Europa; qualche anno fa è nata l’idea di questo gemellaggio tra me che sono presidente del circolo di San Giorgio e Cerruti che è presidente del Bonacossa di Milano”.
L’albo d’oro di Porto San Giorgio racconta la storia di piccoli campioni destinati a grandi cose: di qui sono passati Kournikova, Lucic, Hantuchova, Cibulkova, Ancic e i nostri Gaudenzi, Fognini, Seppi, Bolelli, Pennetta, Errani e Schiavone. Ma il primo vincitore fu quasi un segno premonitore: “Il destino volle che al debutto arrivò questo ragazzino dalla Croazia con un solo completino, niente di ricambio, una sola racchetta di legno e un solo paio di scarpe e la sua vittoria fece da cassa di risonanza nel mondo del tennis internazionale: da quell’anno in poi a frotte sempre maggiori arrivarono giocatori da tutte le parti del mondo. Quel ragazzino era Goran Ivanisevic. Il torneo deve molto a questa fortuita coincidenza e alla prima edizione partì subito col botto. Ovviamente c’erano anche giocatori italiani di grande rilevanza, Sanguinetti, Annalia Dell’Orso… Ecco, è così che è nato il torneo”.
Per organizzare annualmente un evento di queste proporzioni, con ospitalità completa di tutte le delegazioni fino all’eliminazione dell’ultimo giocatore, sono necessarie ingenti risorse che vanno rintracciate e rimpinguate edizione dopo edizione: “Le risorse economiche dobbiamo necessariamente trovarle ogni anno all’interno degli sponsor, che purtroppo in questo momento di crisi faticano a incrociarsi con l’offerta che proponiamo col torneo. Parallelamente abbiamo istituito, un po’ come fa la federazione canadese – assimilandola solo per concetto e non per dimensioni ovviamente – dei supporti personali a mò di fondazione: ci sono cioè gruppi di soci, personaggi in vista, che solo per ragioni di affetto sportivo, contribuiscono anche economicamente all’organizzazione del torneo che è l’unico nella categoria con 48 posti in tabellone e non 32, quindi ha dei costi maggiori semplicemente perché ospita più ragazzini. Fortunatamente le difficoltà non sono insormontabili, perché dopo la sperimentazione di tanti anni da parte dei precedenti dirigenti abbiamo ricevuto in eredità una macchina che era già ben collaudata, poi il buon nome c’è e quindi le procedure di reclutamento risultano per noi abbastanza facili, è soprattutto la tradizione alle nostre spalle che ci supporta. Ovviamente ci facciamo anche una discreta pubblicità andando a presenziare in altri tornei internazionali precedenti al nostro, tipo quello di Auray. Mandiamo un invito ad personam a tutte le federazioni già da marzo, come promemoria, poi ovviamente le federazioni si parlano tra loro e tutto diventa ancora più semplice”.
Quest’anno le delegazioni internazionali al via erano 24, provenienti da tutto il mondo. Ogni federazione affronta questo importante appuntamento con diverso spirito, chi dichiaratamente per vincere, chi per fare capolino nel contesto internazionale, riflettendo anche lo spostamento più a Oriente nell’asse geografico tennistico: “Ci attestiamo in crescendo edizione dopo edizione con un’impennata notevole negli ultimi 5 anni. Ci sono federazioni più inclini a cogliere queste occasioni come momento di maturazione personale per i loro atleti. Anche la Federazione Italiana predica questo messaggio, poi in realtà in Italia i ragazzi sono accompagnati o dai singoli maestri o dai genitori e la fase legata alla performance e al risultato prevale su quella formativa, ci sono poi nazioni che vengono dichiaratamente per portare a casa il risultato in un torneo importante. La Russia e i paesi dell’Est sono stati sempre “clienti affezionati” che arrivano con gli squadroni appositamente per vincere. È vero che ci stiamo riferendo a una categoria di ragazzini, quasi bambini, ed è giusto che tutto vada preso con le molle ma rimane uno sport in cui il risultato conta, dipende dai giocatori che hai. Quest’anno è arrivata la Cina per la prima volta ed è venuta per fare un’esperienza sicuramente formativa, nessuno poteva immaginare che un cinese o un coreano potesse vincere il campionato under 12. Certamente torneranno negli anni in maniera più agguerrita per portarsi a casa il titolo”.
Mi ritorna in mente l’immagine del piccolo Ivanisevic che trionfa nei suoi vestitini sgualciti, mi permetto di chiedere a Quinzi se ha notato in questi anni delle differenze nell’atteggiamento dei ragazzini d’oggi, sempre più simili a professionisti in miniatura: “Diciamo che è cambiata radicalmente la parte legata all’atteggiamento sul campo, poi fuori rimangono di fatto dei bambini. Ovviamente non si possono fare paragoni di tipo caratteriale, perché sono entrati nella quotidianità dispositivi tecnologici e informatici che nell’83 non esistevano, quindi non si possono fare paragoni con la crescita formativa e culturale di allora rispetto ad oggi; certamente fuori dal campo tutti amano divertirsi ieri come oggi. Mentre per ciò che riguarda la parte sul campo la differenza è sostanziale: oggi soprattutto quelle nazioni che arrivano e spendono tanti soldi per venire – nonostante noi offriamo disponibilità a tutti i partecipanti, sia ben chiaro – portano in campo ragazzini che aspirano al torneo e che hanno già un atteggiamento e una formazione molto più vicini al professionismo. Lo stesso Ivanisevic non venne certo per fare esperienza ma per vincere. A tutti piace vincere ed è onesto e giusto ammetterlo, chi può pensare di portare a casa il risultato lo fa in maniera professionale e già il fatto stesso di poter competere in un torneo come questo ti porta normalmente ad un atteggiamento sempre più completo dentro al campo. Ricordiamoci che questi sono ragazzini che giocano non uno o due ma 16-20 tornei l’anno”.
Per capire l’importanza di questo torneo nella carriera di un giovane tennista, oggi come ieri, basta fare due rapidi conti. Due main draw a 48 iscritti, altri 24 posti per i due tornei di doppio, più le qualificazioni… fanno più di 6.000 ragazzini che hanno calpestato questi campi in oltre un trentennio. Un’enorme palestra di vita a cielo aperto, dove ragazzini muniti di racchetta condividono sogni, speranze, ambizioni; un trampolino di lancio per giovani promesse che qui vedono albeggiare realmente la propria carriera: “È chiaro che la stragrande maggioranza di chi gioca a livello under 12 poi si perde, stiamo parlando comunque di grandi numeri sottomessi alla statistica. È uno sport bestiale per sua natura, che coordina capacità tecniche e caratteriali, oltretutto è uno sport individuale. Lo praticano milioni di persone nel mondo con l’attrazione fasulla del guadagno facile – anche qui bisognerebbe aprire un capitolo a parte, io lo considero addirittura uno sport povero – in cui è molto ma molto difficile emergere. Non si può pensare che tutti possano arrivare, poi se questo succede per mancanza di strutture, affiancamenti non ideali o carenze personali, non si può certo responsabilizzare nessuno né nessuna fascia geografica, a livello nazionale o internazionale. È molto difficile punto. Stiamo parlando di ragazzini che sono allo stadio zero della crescita fisica. Per esempio il fatto che crescano in maniera differente negli anni a seguire già quello è un marcatore. Magari a 12 anni sono un pochino più grandi degli altri e dopo poco tempo con la crescita si ribalta la situazione. Le variabili sono molte, troppe”.
Oltreoceano, Orange Bowl ed Eddie Herr si attestano come i due diretti rivali in termini di importanza e prestigio, anche se con alcune importanti differenze: “Innanzitutto la superficie, è un torneo tipicamente su terra rossa all’aperto che lo differenzia da quei due tornei e almeno da un paio di tornei a carattere continentale come ad esempio il torneo di Auray, ovvero il torneo più importante in Europa a livello indoor e sul veloce. Ma se dobbiamo fare una valutazione su terra rossa ci possiamo considerare al vertice delle manifestazioni internazionali, per storicità, partecipazioni e qualità dell’albo d’oro. Nell’ultimo decennio si è poi configurata una sorta di sincronismo con i risultati dei tornei di fine anno. Sono infatti ormai quattro stagioni che il vincitore e la vincitrice di San Giorgio ricompaiono anche tra i semifinalisti o i finalisti dell’Orange Bowl, ma ci sono state annate in cui addirittura due o tre semifinalisti dell’Orange Bowl erano stati in precedenza vincitori o semifinalisti nel torneo di Porto San Giorgio. È una sovrapposizione che va quasi a braccetto, con le dovute eccezioni del caso, ma negli ultimi anni nomi illustri che hanno onorato l’Orange Bowl hanno fatto onore anche a Porto San Giorgio. A livello nazionale la differenza con gli altri tornei è importante, anche se devo dire che la concorrenza è ben agguerrita e ben organizzata”.
Il vero punto di forza del torneo sta anche nella splendida cornice marittima che lo rende un appuntamento quasi confezionato su misura per i piccoli giocatori: “Anche in questo caso il valore aggiunto è la location. È un circolo piccolo a venti metri dal mare, dentro un’isola pedonale con gli alberghi a 4 stelle a trenta metri, molto diverso rispetto a un circolo metropolitano dove devi spostarti con la macchina, poi la navetta, il traffico, l’indipendenza degli atleti è minima… la dimensione della cittadina, il periodo e la location calzano a pennello con la fascia d’età dei 12 anni e coniuga il momento di relax per gli accompagnatori e i genitori dei ragazzini. Questo crea un cocktail vincente per questa categoria d’età”.
Com’è impegnato il circolo durante il resto dell’anno, in attesa che arrivi di nuovo la fine di giugno? “Il circolo vive di luce riflessa del torneo e viceversa, perché ha un’ottima scuola tennis, è un circolo fortemente impegnato sulla formazione giovanile, è un circolo che fa della formazione sportiva quindi della fase di apprendimento, specializzazione e perfezionamento una delle sue ragioni basilari, ovvio è anche un circolo ricreativo che ospita i suoi soci, ma fondamentalmente è un circolo votato ad una scuola tennis di qualità, costruita negli anni da maestri che si sono avvicendati e negli ultimi 20 anni si è riuscito a creare un gruppo di lavoro di altissima qualità, dati e numeri alla mano. Con tre campi, 100 soci e un bacino di utenza di 15.000 abitanti vincere tutto quello che ha vinto Porto San Giorgio negli ultimi 15 anni è impressionante. Basti pensare che l’anno scorso il circolo ha vinto più titoli italiani a livello giovanile del centro nazionale federale di Tirrenia. Se poi ci aggiungiamo i vari Lemon Bowl e simili il numero cresce ancora ed è un motivo di grande orgoglio per noi, a riprova dell’ottimo lavoro che stiamo facendo”.
Il pensiero di tutti questi ragazzini che anno dopo anno ottengono incredibili risultati stride in opposizione alla nebulosa che grava sul futuro del tennis italiano, soprattutto a livello femminile. Pennetta ritirata, Vinci alla sua ultima stagione, Errani che va a intermittenza… malizioso sorge il quesito: “Data la sua esperienza in tanti anni di tennis giovanile, come vede il futuro del tennis italiano?”
“Lo vedo potenzialmente bene, praticamente male. Da una parte c’è l’eredità pazzesca delle Fabulous Five, da cui qualsiasi discendenza dovrebbe trarne vantaggi in entusiasmo e in ispirazione, perché queste ragazze hanno dimostrato che col lavoro e con la volontà puoi arrivare dappertutto, a livello individuale a squadre. Il quadro all’orizzonte a livello femminile non mi sembra così roseo proprio per il dazio di questa tradizione molto positiva alle spalle. Io parto dal punto di osservazione di Porto San Giorgio ma poi questo pensiero trova conferme nelle fasce d’età superiori, nell’under 18 e in campo professionistico. Ovvio, se partiamo da Schiavone e Pennetta io qualche problemino dietro lo vedrei, ma non è che tutte le ciambelle possono venire col buco! Abbiamo aspettato trent’anni un campione maschile, sono cicli che si ripetono. Questo ciclo che andrà a chiudersi dovrebbe essere rivitalizzato con maggior qualità. Ma spero vivamente di sbagliarmi in questa mia affermazione, perché da tifoso e da italiano vorrei che le cose andassero in maniera differente da quella che oggi penso. Anche perché la partecipazione collettiva è visivamente aumentata, magari da nidiate dei prossimi anni usciranno futuri campioni a livello nazionale. L’entusiasmo va di pari passo con i successi di questo gruppo di ragazze: questo si nota dalle maggiori adesioni femminili nella scuola tennis e dalle attenzioni che i genitori danno nella gestione dello sport. Il tennis non è più un’appendice alla giornata ma una parte importante, molto vicina alla scuola, ed il merito è indubbiamente di questo gruppo di ragazze che ha dimostrato che certe cose impensabili possono diventare possibili. Diciamolo, è stata un’azione di marketing incredibile che andrebbe sfruttata bene. Ma da qui non si può pensare di poter sfornare campionesse a iosa, anche perché emulare una Pennetta o una Schiavone è veramente impresa ardua”.
In questa lunga chiacchierata abbiamo parlato soprattutto di tennis giovanile, di genitori e di figli. Sono sicura che nella sua mente siano sempre stati presenti i suoi due figli, lontani centinaia e centinaia di chilometri dall’affusolata riviera marchigiana. Gianluca, classe 2001, ha debuttato proprio in questi giorni nel suo primo Itf Junior in Iran; Gianluigi, fresco ventenne, ha deciso di ricominciare la stagione oltreoceano, sul cemento americano.
Così, per chiudere la nostra conversazione, chiedo a papà Quinzi quale sia l’aiuto più grande che un genitore può dare a un figlio che voglia fare del tennis il suo futuro: “Io credo che il maggior aiuto che un genitore possa dare sempre ai propri figli sia la tranquillità e la serenità di intraprendere questa strada senza altri impegni e pensieri aggiuntivi, oltre alla concentrazione richiesta sul campo da tennis. E mi creda, è un compito difficilissimo”.
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