di Gianfilippo Maiga
(Fonte: The Guardian)
Kim Clijster ha rilasciato, prima degli Australian Open, un’intervista al giornale inglese Guardian.
Questa intervista non è riguardo al dritto e al rovescio, nè ha nulla a che vedere con quelle insulse tiritere che ormai con poche eccezioni i giocatori ci ammanniscono nel loro inglese standard, ben ammaestrati dall’ATP e dalla WTA.
Questa intervista riguarda un essere umano, sempre vissuto in un mondo a sé quale quello del tennis, che dapprima ha ceduto alle aspirazioni e tentazioni di una vita normale, (un marito, una figlia: Jada) e poi, rientrata con grande fatica, ma con successo nel circuito, ha dovuto affrontare una notevole catena di pene fisiche, (spalla, caviglia, stomaco e chi più ne ha più ne metta) e sta nuovamente cercando di riappropriarsi del suo – oh quanto difficile – mestiere: l’esito del secondo tentativo potrà meglio essere planetariamente osservato negli imminenti Australian Open.
Questa intervista riguarda una ragazza, che con suo padre, un mito del calcio belga scomparso per un cancro nel 2009, aveva un rapporto incredibile.
Non so se sia stato bravo il giornalista del Guardian che l’ha intervistata nel far sembrare Kim così cara, così ricca umanamente, ma so che è riuscito a farmi vedere la Clijsters con occhi diversi.
Mi è sempre piaciuta, Kim, non solo tennisticamente intendo, (anche se sinceramente mi è difficile trovarla bella), per quell’aria da ragazza della porta accanto, quello sguardo da donna tranquilla e, sotto un profilo più strettamente tennistico, la capacità di abbinare serenamente – senza bisogno di aggressività, vorrei quasi dire – una gran mano alla potenza della Grosse Berthe, (negli atteggiamenti non la bella – ma un po’algida – Sharapova che ha bisogno dei suoi irritanti pugnetti per caricarsi, ma neppure la connazionale Hénin, poetessa del tennis, ma anche così –lasciatemelo dire – profondamente racchia nella sua rabbia agonistica).
Questa intervista, forse, mi spiega perché.
A dispetto della sua rinnovata passione per il tennis, Kim sente di essere ormai vicina al ritiro, perché i segnali (troppi) che il suo fisico le ha inviato non possono essere ignorati; questi potrebbero essere quindi gli ultimi Australian Open da lei disputati, anche se ritiene di avere ottime sensazioni sul suo stato di forma.
Nel suo racconto, mai banale, ci dice qualcosa di interessante sul particolare rapporto che ha con questo torneo. Prima di sposarsi, aveva avuto una relazione importante con il collega australiano LLeyton Hewitt e aveva assistito a molti suoi match: l’Australian Open è quindi per lei non solo un evento significativo perchè le ricorda il suo legame forte con l’Australia (a quel tempo la chiamavano Aussie Kim), ma è anche un torneo che ha vissuto più profondamente degli altri del Grande Slam.
Secondo lei, il fatto di esserne stata emozionata spettatrice, oltre che protagonista, ha stabilito un feeling speciale tra lei e l’Open, un livello di compenetrazione che, paradossalmente, chi l’ha solo giocato non può raggiungere.
I suoi pensieri più toccanti sono però dedicati a suo padre, scomparso nel 2009 a soli 52 anni.
Non è tanto il rimpianto, a colpire, o la consapevolezza oggi, da persona matura, dell’importanza della figura paterna, quanto il fatto che questo rapporto continui, nel tempo, non solo con il ricordo (“penso a mio padre ogni giorno”, dice Kim), ma attraverso un insieme di segni e di coincidenze che a lei sembrano rivelatori della presenza costante di suo padre al suo fianco.
Sono piccoli fatti che presi individualmente potrebbero sembrare insignificanti, ma sommati assieme le danno i brividi quando ci pensa.
Di questi ne cita in particolare tre: il leit motiv del numero 1, tormentone di cui sempre parlavano quando suo padre era in vita, si rimaterializza durante gli US Open 2009, quando Kim si sveglia di notte all’1.11 o quando sotto 15-40 contro Venus Williams manca il primo servizio e il tabellone elettronico segna la velocità 111kmh; le canzoni preferite di suo padre, eseguite al suo funerale, che tornano in momenti topici, come durante il trasporto al campo per l’incontro decisivo con Serena Williams sempre in quegli US Open, poi vinti o il giorno del suo compleanno; aver evitato per un vero miracolo un incidente fatale con una vettura la cui targa era LEY (il nome di suo papà).
Kim si appresta a scendere in campo per gli Australian Open e, non sorprendentemente, lo farà nel pensiero di suo padre, perché possano essere un ultimo ricordo memorabile per entrambi.
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