Karan Rastogi ad Hong Kong è felice. Dopo il caos di Mumbai e la calura della Florida ha trovato un posto in cui è a suo agio. Ex promessa del tennis indiano ed ex numero uno d’Asia, dopo una carriera di primo livello tra gli Juniores, Karan non ha avuto la stessa fortuna tra i pro. Dopo aver smesso a soli 26 anni è arrivata la chiamata da parte della Federazione di Hong Kong. Come allenatore. Ma nell’ultimo tie disputato contro il Vietnam, Karan ha imbracciato di nuovo la racchetta e si è preso la sua rivincita, garantendo il punto decisivo ed il miglior risultato di sempre alla squadra della sua nazione adottiva.
In Coppa Davis può succedere qualsiasi cosa, anche conoscere la storia di Karan Rastogi, una di quelle persone che ti fa capire a pieno cosa significhi amare il tennis.
Vorrei cominciare dall’inizio, Karan. Come è nata la tua passione per il tennis?
Quando era giovane mio padre giocava a badminton e in generale la mia famiglia è sempre stata interessata allo sport. Crescendo ho praticato tanti sport diversi: cricket, nuoto, ping-pong, tennis. Penso che ho cominciato con il tennis semplicemente perché era lo sport in cui ero più forte!
Hai avuto una grande carriera tra gli Juniores, sei stato numero 4 al mondo ed hai ottenuto le semifinali in un torneo dello Slam, agli Australian Open. Oggi qual è la tua opinione riguardo al tennis Juniores come percorso di formazione per un aspirante tennista?
Penso senza alcun dubbio che essere ai primi posti delle classifiche Juniores non significa dover essere per forza un grande giocatore anche tra i pro. Fondamentale per me è il supporto di un buon allenatore in questa fase di crescita, il ranking non conta. È importante lavorare per sviluppare il proprio fisico e migliorare il proprio gioco, piuttosto che la posizione in classifica.
Ti sei allenato all’Accademia di Nick Bollettieri, ancora oggi grande fucina di talenti. Com’è stata la tua esperienza in America?
Una gran bella esperienza. Allenarsi in India era davvero molto difficile, alla IMG ho potuto condividere il campo con grandi giocatori come Kei Nishikori. Mi ha aiutato molto nel migliorare il mio tennis.
Pochi lo sanno, ma quando ti allenavi in Florida, nel 2004, hai sfidato la neo-campionessa di Wimbledon Maria Sharapova. Quali sono i tuoi ricordi di quest’episodio?
Era un match di allenamento, l’Accademia spesso faceva giocare noi Juniores contro i giocatori professionisti. Lei aveva appena vinto Wimbledon e mi chiesero di giocarci contro. Ero molto nervoso, ma vinsi 6-2 6-2. Sarebbe stato davvero imbarazzante perdere perché c’erano davvero tantissime persone a guardare quel match!
È stato difficile gestire la pressione nel tuo passaggio al professionismo dopo le grandi aspettative che in molti avevano su di te, soprattutto in India?
Ho sempre avuto su di me grande pressione, sin da quando ero ragazzino. Sono sempre stato il migliore della mia età nel mio stato, nella mia nazione, addirittura in tutta l’Asia. Per questo molte persone riponevano grandi aspettative nelle mie capacità. Ho dato me stesso e fatto tutto quello che ho potuto ma penso che avrei potuto gestire meglio la pressione. Quello che mi è mancato soprattutto è stato l’aiuto di un allenatore o un mentore in grado di aiutarmi durante la mia carriera da Juniores. Mio padre mi è sempre stato vicino, ma è stato difficile per lui visto che non ha mai avuto esperienze dirette con il tennis.
Hai smesso a soli 26 anni, anche a causa di molti infortuni. Notando che oggi molti tennisti stanno esprimendo il loro miglior tennis a più di trent’anni, hai qualche rimpianto per aver preso questa decisione?
Non ho rimpianti. Penso di aver avuto una buona carriera ed alcuni buoni risultati nonostante tutti i miei infortuni. Avrei potuto puntare tutto sul doppio ma sfortunatamente ad un certo punto non avevo più soldi per poter viaggiare. Oggi sono felice della mia vita ad Hong Kong.
Allora raccontami della chiamata da parte della Hong Kong Tennis Federation.
Sono stato una settimana ad Hong Kong per conoscere la Federazione ed incontrare i giocatori. Ho notato subito da parte loro grande ambizione: ottenere risultati importanti per il tennis, organizzando sia un torneo maschile che femminile, con il coinvolgimento di coach di livello internazionale. È stata per me una grande motivazione che mi ha dato il giusto stimolo per accettare la proposta.
Com’era la situazione quando sei arrivato?
Beh, la prima cosa che mi è saltata all’occhio è stata che molti dei ragazzi avevano talento ma la maggior parte non sapeva di cosa aveva bisogno per ottenere grandi risultati. Giocatori talentuosi che però avevano bisogno di lavorare in modo migliore e soprattutto più professionale. Oggi abbiamo più ragazzi che si concentrano a tempo pieno sul tennis, non trascurando comunque la scuola. La situazione, senza dubbi, è migliorata nettamente.
Quali sono i tuoi obiettivi da allenatore per i team di Hong Kong?
Negli ultimi tre anni uno dei nostri team Juniores si è sempre qualificato per le World Finals. L’anno scorso la nostra squadra U14 femminile ha terminato al sesto posto le Finals di categoria in Repubblica Ceca. Anche il team di Coppa Davis ha ottenuto buoni risultati. Questi sono stati tutti ottimi segnali per noi e siamo pronti per il nostro più grande obiettivo: ottenere una medaglia ai Giochi asiatici del 2018.
Sei stato sorpreso dalla decisione del capitano di schierarti in campo contro il Vietnam?
Ne avevamo parlato prima del match, quando ha preso la sua decisione ero pronto. Mi sono preparato mentalmente ad affrontare una partita dopo tempo ed ho avuto fin da subito la convinzione di poter vincere.
Avevi rappresentato l’India per tre volte in Coppa Davis. Quali sono state le tue sensazioni nel giocare per Hong Kong, quasi sei anni dopo il tuo ultimo match nella competizione, rappresentando un altro paese?
È senz’altro una sensazione completamente diversa. Ma i miei compagni di squadra mi hanno fatto sentire a mio agio sin dall’inizio e mi hanno aiutato a giocare bene e portare la vittoria a casa. Abbiamo un eccellente spirito di squadra.
La tua vittoria ha regalato ad Hong Kong il punto decisivo ed il miglior risultato fino ad oggi nella competizione. Com’è stato vivere quest’emozione?
È stato un gran match. Il mio avversario ha giocato davvero bene nel primo set ma sapevo che se giocavo al mio livello le possibilità di vincere non sarebbero mancate. Sono riuscito ad imporre il mio gioco e ad essere, alla fine, il vincitore.
Quali sono, secondo te, le vostre possibilità contro il Pakistan nel prossimo incontro di Coppa Davis?
Contro Pakistan sarà molto difficile, sia perché giocheremo in trasferta sia perché hanno scelto l’erba come superficie. Hanno un giocatore che è nella top-30 di doppio (Aisam-ul-Haq Qureshi, oggi al numero 35 ndr) ed in casa esprimono il loro miglior tennis. Noi faremo senz’altro del nostro meglio, e come sai, in Coppa Davis può succedere qualsiasi cosa!
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