di Paolo Angella
Francesca Fusinato, Fusi per amici e conoscenti, è una ragazza italiana, tennista con discreti risultati nel tornei ITF di un paio di anni fa, che, dopo aver vinto una borsa di studio per l’Università della Virgina, ora studia e gioca a tennis negli Stati Uniti. Dall’inizio di luglio è in Italia, per la pausa estiva degli studi, dovrebbe essere in vacanza, ma ha provato a cimentarsi in alcuni tornei, con ottimi risultati, tanto che è arrivata al suo best ranking WTA alla posizione numero 921 grazie ai quarti di finale raggiunti nel torneo da 25.000$ di Roma. Cerchiamo di conoscerla meglio e di capire come vive la sua avventura accademica e sportiva negli Stati Uniti.
Francesca, raccontaci quando hai iniziato a giocare a tennis, quando è diventato la tua passione
La mia storia tennistica inizia all’età di 5 anni quando, la domenica, obbligavo mio papà a scendere dal letto e venire in cortile a giocare. La mattinata passava così tra diritti e rovesci, a una mano o a due, di destro o di sinistro finchè la pallina non andava a finire nell’orto dei vicini! La mia grande passione per il tennis era iniziata guardando il papà giocare e insegnare. Dalle 8 alle 12 giravo come una trottola dentro e fuori dal campo improvvisandomi raccattapalle, giocoliere e passando lo straccio alla velocità della luce come vedevo fare in tv. Alle 12, nonostante il sole cocente, il papà, esausto, aveva ancora la pazienza di farmi giocare per una decina di minuti; era il premio che valeva le 4 ore di attesa!
A 18 anni hai preso la decisione di trasferirti negli Stati Uniti per studiare. Scelta sofferta oppure era già da tempo il tuo grande desiderio?
La scelta del College è stata una grande opportunità che se non avessi colto in quel momento non si sarebbe mai più ripresentata. Certo non nascondo che mi sarebbe piaciuto giocare ancora tornei da 10.000 e 25.000 dollari in Europa e nel Mediterraneo, soprattutto in un momento in cui stavo ottenendo i miei migliori risultati, ma il mio istinto mi ha portato ad affrontare un’avventura che pur mantenendo viva la mia passione, mi avrebbe permesso di studiare, imparare una lingua, conoscere persone da tutto il mondo, in una realtà completamente diversa dalla nostra. Scelta decisamente sofferta quindi, ma meditata e fortemente voluta.
Studi all’Università della Virginia, la Virginia Tech. Quale è il tuo corso di laurea esattamente? E’ stata la tua prima scelta oppure avresti voluto frequentare altre Università negli USA?
Virginia Tech è stata la mia prima scelta e studio HNFE: Human Nutrition, Food and Exercise. Nonostante il nome suoni un po’ come quello di una laurea in scienze dell’alimentazione, in verità il mio percorso si traduce in una sorta di laurea in pre-medicina.
Fai un indirizzo molto impegnativo. Come riesci a conciliare studio e tennis? Raccontaci anche come la tua Università riesca ad aiutare chi vuole praticare sport agonistico a differenza delle Università italiane
Viaggiando molto, conciliare studio e tennis per me è molto impegnativo! Si studia tra un aereo e l’altro, di notte, accendendo la lucina sopra il sedile dell’autobus e poi il lunedì e martedì, dopo le trasferte si dorme pochissimo per recuperare tutte le lezioni perse e i compiti lasciati in sospeso. L’Università statunitense è in grado di offrire molte più possibilità rispetto a quella italiana in virtù del fatto che è sovvenzionata da facoltosi privati e le rette pagate dagli studenti sono molto alte, si aggirano intorno ai 50.000 dollari annui.
So che recentemente sei stata insignita di due prestigiosi riconoscimenti dalla tua Università che premia studenti e sportivi meritevoli, “The Honor Roll”, e “The ACC Academic Honor”: di cosa si tratta?
“The Honor Roll” è un riconoscimento accademico che viene assegnato a studenti con una media particolarmente alta. “The ACC Academic Honor” segue lo stesso principio ma invece di essere un riconoscimento della mia scuola, è a livello della mia Conference. Ovvero, significa che tra tutti gli atleti delle scuole dell’Atlantic Coast Conference (ACC) sono tra i più meritevoli. Sono stata molto ogogliosa di aver ottenuto questi riconoscimenti.
Come ti trovi negli Stati Uniti? Cosa ti manca maggiormente dell’Italia?
Negli Stati Uniti mi trovo molto bene anche se conciliare tennis e studio è molto impegnativo. Dell’Italia senza dubbio mi manca il cibo della tradizione, anche se in America non si mangia poi male come si crede
Partecipi al campionato NCAA, una sorta di torneo a squadre tra le Università Americane. Come è la formula e quali sono gli obiettivi della tua Università
NCAA, National Collegiate Athletic Association, è un torneo che si sviluppa sia in contesto individuale sia di college contro college, dove le migliori 64 scuole e le migliori 64 giocatrici del ranking individuale partecipano a un torneo finale. Quest’anno l’obiettivo era appunto qualificarsi per le fasi finali NCAA e ci siamo riuscite passando un turno e cedendo solo al college numero uno della nazione. Inoltre, come squadra, abbiamo concluso l’anno nei top 30 college d’America.
Sei al numero 63 del ranking del singolare nelle universitarie americane, un bel traguardo….
A dire il vero avevo concluso la stagione da numero 46 ma poi una sconfitta al primo turno dei Nazionali mi è costato una discesa in classifica.
Negli Stati Uniti quasi tutti i campi da tennis sono sul veloce (cemento o sintetico), è quella la tua superficie preferita oppure ti sei dovuta adattare?
Il primo impatto mi è costato dieci mesi di inattività per una fascite plantare, una volta guarita mi sono adattata con buoni risultati.
Parlaci del tuo gioco. Quali sono le tue caratteristiche principali e quali quelle su cui sai di dover lavorare ancora molto?
Caratteristica generale del mio gioco è lavorare la palla con molto spin, specialmente di diritto. Questo mi permette di muoverla in modo efficace e con sicurezza. La velocità di piedi mi aiuta nella fase difensiva in cui gioco bene lo slice da entrambi i lati. Credo di dover e poter migliorare in tutti gli aspetti del gioco sia tecnici che tattici. La parte psico-emotiva, che considero il prerequisito fondamentale per poter produrre prestazioni di qualità, è in fase di netto miglioramento.
Dopo quasi due anni, sei tornata a giocare in Italia nella pausa estiva del campionato universitario. Quali sono state le tue sensazioni?
Le sensazioni sono state positive. In questi due anni molte cose sono cambiate ed è stato bello poter constatare che le mie prestazioni in campo siano migliorate anche confrontandomi con ragazze con cui avevo giocato anni fa.
A Roma hai sorpreso molti, vincendo 4 partite consecutive e battendo la numero 270 del mondo, te lo aspettavi?
No, ma ero convinta di poter far bene. Sono scesa dall’aereo a Milano il 1 di luglio e il giorno dopo ho iniziato un tour de force di sole partite senza mai allenarmi ed ho raccolto, fin quando le forze me l’hanno permesso, discreti risultati.
Questi tornei italiani li consideri un valido allenamento per gli impegni americani o sono qualcosa di più importante a cui tieni comunque molto?
Sono un ottimo allenamento e un modo per valutare il mio livello di competitività internazionale. Mi piacerebbe frequentare il circuito per almeno un anno con una programmazione adeguata e non sconsiderata come quella di quest’estate, nella quale ho giocato alcune partite con le batterie scariche. Forse un giorno…..
So che ami suonare la chitarra e andare a sciare. Raccontaci di questi e di altri hobby.
Suonare la chitarra mi diverte e mi rilassa allo stesso tempo, è come un piccolo spazio dove pensieri e stress non hanno accesso. Oltre allo sci, giocavo a basket, ragion per cui sono una grande fan dell’NBA e in questo senso studiare oltreocaeno mi ha dato possibilità di assistere ad un paio di partite dal vivo. Poi mi piace tantissimo anche cucinare e la cosa non dispiace ai miei coinquilini maschi che pur di farmi cucinare sono disposti a lavare i piatti dopo aver mangiato.
Tra 10 anni ti vedi una tennista professionista, una donna che lavora sempre in ambito tennistico o sportivo magari come coach, oppure seguirai la strada dei tuoi studi principali?
Al primo quesito rispondo con una controdomanda. Tu giornalista di spazio tennis, investiresti ogni risorsa economica della tua famiglia e ogni secondo della tua vita per vivere di giornalismo, sapendo a priori che solo i 100 più bravi al mondo avrebbero il privilegio di essere chiamati professionisti, cioè capaci di guadagnare con il proprio lavoro? Purtroppo vivere di tennis è molto più difficile di quanto si pensi in giro. L’ideale sarebbe avere un lavoro che abbia a che fare con i miei studi attuali (ancora non so bene che cosa) e allo stesso tempo dedicarmi part-time alla mia passione sportiva.
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