“La prima volta sono andato al Foro Italico con la mia fidanzata Paola, che dopo poco sarebbe diventata mia moglie. La seconda volta è stata due anni fa e c’era anche la nostra prima figlia; visto che ora c’è anche la sorellina ho pensato fosse l’occasione per far respirare un po’ di aria romana pure a lei…”
Enrico Fioravante ha la parlantina sciolta e avvolgente tipica della sua terra, la Campania, condita dall’accortezza di chi ha conosciuto da vicino il mondo del tennis professionistico. 29 anni per quasi due metri di altezza, una decina di anni fa Enrico era “uno spavaldo giovanottone, fisico da granatiere e grinta belluina” a detta degli addetti ai lavori che lo videro all’opera, nonché una promessa del tennis italiano il cui diritto micidiale era tenuto d’occhio dai tecnici della Federazione. Oggi è un maestro a tempo pieno all’Accademia New Margherita di Acerra, ad un’età in cui i suoi coetanei di solito raggiungono la maturazione agonistica, ed è impegnato in Serie B con il Tennis Team Avino di San Giuseppe Vesuviano.
“È vero, da giovane mi sono tolto delle belle soddisfazioni, ad esempio ho vinto il torneo Città di Prato a 17 anni partendo da una wild card e ho preso i primi punti ATP l’anno dopo ma già a 16 anni avevo le idee molto chiare, sapevo che un giorno sarei diventato maestro. Così a 21 anni già affiancavo coach Gorietti come sparring e mi piaceva moltissimo, ho cominciato il percorso formativo e oggi mi ritrovo ad aver avuto qualche piccola soddisfazione anche qui. Ciò non toglie che il mio sogno nel cassetto sia collaborare con qualche giocatore di livello, cominciando come sparring finché sono ancora giovane e il fisico regge, e poi chissà magari un giorno mi capita l’occasione della vita come a Vasile Antonescu che ora gira con la Halep, oppure come a tanti ragazzi della mia età che hanno collaborato con Schiavone, Vinci, Giorgi. Mai direi mai”.
Ma alcune esperienze tennistiche non si scordano facilmente e alle soglie dei trent’anni Enrico ha deciso di rimettersi in gioco per provare a regalarsi una seconda, anzi una terza chance di tornare al Foro Italico assieme alla moglie Paola e alle sue due figlie, Camilla e Mia: “Proverò a centrare le Prequalificazioni nel torneo di casa mia, al Cus Napoli, dal 4 al 14 aprile, dove giocherò sia in singolo che in doppio in coppia con Matteo Fago. L’anno scorso siamo stati fermati in finale sono dal temibile duo Cipolla/Starace, quest’anno sulla carta ci sono i presupposti per fare molto bene ma ovviamente giocare le partite sul campo è un’altra storia. Per il singolare vedo meno chance perché mi manca il passo rispetto ai più giovani, mentre in doppio riesco ancora a coprire la metà del campo, dai! Per due volte a Roma sono andato vicino al tabellone di qualificazione e desidero tanto tornarci perché vivere il torneo con le mie bambine sarebbe un bellissimo ricordo da conservare per sempre. Ho visto Camilla soffrire per me quando perdevo una partita, quindi non vedo l’ora di vincere per renderla felice, questa sarebbe la soddisfazione più grande per me”.
Eppure fino a pochi mesi le Prequalificazioni sembravano una sfida difficile da raccogliere dopo un periodo difficile in cui il tennista napoletano ha trascurato l’attività fisica aumentando sensibilmente di peso: “Qualche anno fa sono arrivato alla decisione di smettere con il tennis professionistico grazie all’aiuto di uno psicologo, perché se da una parte non accettavo proprio l’idea di mollare, dall’altra sapevo che i conti a fine anno cominciavano a non tornare più. Così mi sono dedicato esclusivamente al lavoro di maestro e di conseguenza la mia carriera tennistica è andata pian piano scemando. All’inizio di quest’anno sono arrivato a pesare quasi 110kg, io che ho 29 anni e sono alto quasi 1,95. Non mi riconoscevo più, dovevo rimettermi in forma sia per una questione di salute che di responsabilità nei confronti delle mie figlie, ma anche verso gli sponsor, in particolare Australian e Pacific che continuano a rinnovarmi i contratti. Così ho ricominciato ad allenarmi seriamente, facendo ogni giorno un video non solo per testimoniare i progressi ma soprattutto per spronare me stesso a fare il video successivo: oggi sono al Day 43 e in meno di un mese e mezzo ho perso 10 chili. Diciamo che l’intenzione c’era da tempo ma mi serviva un obiettivo, invece ne ho trovati due: tornare a Roma e dare il massimo in Serie B con il Tennis Team Avino”.
Man mano che si chiacchiera con Enrico ci si accorge che i suoi pensieri ricorrenti siano sempre due: il tennis e le sue figlie. “Il tennis è la mia passione, il mio amore, il tennis mi ha permesso di conoscere mia moglie, di avere una famiglia. Al tennis devo tanto, anzi tutto, il tennis mi ha lasciato bellissimi ricordi, tante amicizie, tante persone che ancora oggi sento tutti i giorni, mi ha insegnato cosa sono lo spirito di sacrificio, la lealtà e la correttezza nello sport e nella vita di tutti i giorni. Io vengo da un quartiere molto difficile di Napoli, Secondigliano, dove non c’è niente al di fuori della droga, e non esagero quando dico che il tennis mi ha salvato da una potenziale situazione difficile. Il tennis mi ha lasciato tante cose positive, gioie e dolori, anche i dolori sono stati costruttivi perché mi hanno aiutato a crescere, a farmi forte, a non aver paura di niente, a stare in posti difficili, mangiare male, dormire malissimo. Io mi auguro di riuscire a far vivere tutte queste esperienze alle mie figlie, ma probabilmente sarà fuori da un campo da tennis”.
Sì, perché il futuro delle sue figlie lo vede lontano dallo sport a cui invece ha dedicato la giovinezza: “Purtroppo il tennis è cambiato, sta diventando uno sport molto politico; fino a poco tempo fa era uno sport pulito, sano, ma a causa di tante vicende poco chiare non è più così, inoltre con le regole nuove è ancora più complicato diventare tennisti professionisti. Cercherò di tenere le mie figlie a distanza, perché so perfettamente quali sacrifici comporti questa carriera; la più grande ha provato a giocare con me ma quando capita mi dice: “Papà, mi scoccio”, in compenso adora la danza classica. Se vorranno giocare quando saranno più grandi bene, altrimenti sono contento così”.
Dopo tanti anni nell’ambiente, prima da giocatore e poi da allenatore, e soprattutto da quando è diventato anch’egli genitore, Enrico pensa di aver individuato alcune delle ragioni che hanno cambiato radicalmente il tennis come lui lo conosceva: “Vedo troppo accanimento da parte di genitori invadenti e maestri che pensano di avere tra le mani dei fenomeni già a 7 anni, quando invece fino ai 16 non ci può essere nulla di concreto dal punto di vista tennistico. In questi anni ne ho viste di tutti i colori: genitori venire alle mani tra di loro o litigare con tecnici della Federazione e maestri perché a loro avviso non stavano valutando adeguatamente i propri figli. Ora, tra i genitori dei miei ragazzi ci sono moltissime figure professionali: come io non mi permetto di mettere bocca in ciò che è di loro competenza, viceversa anche loro non possono contestare ciò che decido io. Purtroppo noi Italiani abbiamo questa naturale inclinazione a sentirci tutti un po’ professori, ma la colpa è proprio nostra perché dovremmo educare prima i genitori e poi i figli, bisognerebbe mettere le cose in chiaro fin da subito per evitare situazioni spiacevoli. Ad esempio, con me ci sono delle semplici regole: i genitori non possono stare in campo quando faccio lezione; se vogliono seguire le partite lo devono fare in silenzio assoluto; solo io posso dare indicazioni di gioco ai ragazzi. Se così non dovesse andare bene ci stringiamo la mano e amici come prima”.
L’anno prossimo Enrico compirà trent’anni, un traguardo che nella vita di un tennista vuol dire spesso ripensare alle occasioni avute in passato: “C’è solo una cosa che cambierei se potessi tornare indietro: andrei via da casa non a 18 ma a 15-16 anni. È vero che devo tantissimo a coloro che sono stati i miei maestri fino ai 18 anni ma forse se fossi partito prima avrei ottenuto qualche risultato in più. In quei 3 anni ho fatto sì tante cose buone a livello juniores, ma senza dubbio la mia vera vita tennistica è cominciata quando sono arrivato a Foligno da Fabio Gorietti, e forse quel passo l’avrei dovuto compiere prima”. Ci pensa un attimo, poi con voce lievemente ironica aggiunge: “Purtroppo noi al Sud siamo fatti così, facciamo più fatica a lasciare la casa, gli affetti… ma è stata proprio Paola a convincermi che dovevo provarci e io mi sono convinto grazie al suo supporto incondizionato. Resta il rimpianto di non averlo fatto prima, oppure chissà, magari sarebbe andata molto peggio!”
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