di Luca Fiorino (@LucaFiorino24)
Milwaukee, 27 settembre 1998. Sono trascorsi ben 17 anni dall’ultimo successo sul veloce in trasferta degli azzurri nel World Group. Da quell’indimenticabile scontro tra l’Italia capitanata dall’ex braccio d’oro Paolo Bertolucci e gli Stati Uniti, la nazionale azzurra ha rimediato solo sconfitte: contro la Svizzera nel 1999, la Repubblica Ceca nel 2012, il Canada nel 2013 e ancora la Svizzera lo scorso anno. Dopo aver agevolmente passato i primi due turni contro India e Zimbabwe, l’Italia fa visita agli Usa. Gli scontri diretti recitano 7 a 2 per la squadra a stelle e strisce e anche questa volta gli americani si presentano alla sfida con i favori del pronostico. Sampras, Agassi, Courier e chi più ne ha ne metta, gli azzurri sembrano non avere una minima possibilità di raggiungere la finale.
La dea bendata questa volta non ci volta le spalle. Sampras ha deciso da inizio stagione di non prendere parte alla Davis, Agassi è riuscito a litigare poche settimane prima con la federazione statunitense e il capitano di allora, Tom Gullikson, decide di rinunciare a sorpresa a Jim Courier. Al suo posto Jan-Michael Gambill, al suo esordio in Coppa Davis. Giovane ed in grande ascesa, è uno dei rari esemplari di giocatore “quadrumane”. Ad accompagnare l’esordiente di Spokane ci sarà Todd Martin, specialista sul veloce e da tempo in top ten. “Partivamo lo stesso con gli sfavori del pronostico nonostante non ci fossero Sampras e Agassi – ci spiega Diego Nargiso – Potevano contare su Todd Martin e Jim Courier, giocatori che avrebbero dovuto loro garantire una vittoria abbastanza agevole. Incredibilmente poi scoprimmo della scelta del loro capitano di escludere Courier dalle convocazioni e allora Gambill e Gimelstob divennero avversari molto più alla nostra portata. Questo ci fece entrare in campo con una grossa dose di fiducia perché in passato avevamo già compiuto qualche impresa e sapevamo di potercela fare anche questa volta”.
Nell’Italia pochi dubbi da sciogliere, nel singolare spazio ad Andrea Gaudenzi e Davide Sanguinetti mentre nell’incontro di doppio ci si affida alla coppia Gaudenzi/Nargiso con Gianluca Pozzi riserva. Il sorteggio è benevolo, il primo match di singolare vedrà il nostro Gaudenzi opposto a Gambill. Il faentino parte subito alla grande aggiudicandosi il primo parziale per 6-2 approfittando degli innumerevoli errori non forzati del giovane americano. Andrea cala la tensione e Gambill dimostra per quale ragione in un solo anno abbia guadagnato circa 200 posizioni nel ranking mondiale. Il secondo set infatti è un pesantissimo bagel in favore del quadrumane con il nostro connazionale che avanti 40-0 sul 5-0 però a favore dell’americano riesce a farsi brekkare commettendo ben 3 doppi falli. Il 6-0 dà una forte scossa ad Andrea tanto da brekkare nel primo gioco del terzo parziale. Mike è di nuovo in balia di Andrea, il faentino scappa via sul 5-2 salvo poi farsi riprendere sul 5-5. Si arriva al tie-break e qui l’esperienza esce fuori. Gaudenzi alza il livello di gioco e serve decisamente meglio del rivale, l’azzurro chiude 7-0 con un ace e si porta ad un set dalla conquista del primo punto. Il quarto set è ancora all’insegna dell’equilibrio, si assiste ad un buon match non esente però da passaggi a vuoto ed errori. L’americano si porta avanti di un break ma permette a Gaudenzi di rientrare subito in partita. L’italiano è ora avanti 5-4 e la pressione è tutta su Gambill. Arriva il primo match point, l’americano riesce ad annullarlo con un ace. Ancora match ball ma nuovamente parità. Parte via la racchetta pensando alle occasioni mancate ma ecco che arriva un’altra palla per chiudere definitivamente la partita. Anche qui niente di fatto, si arriva al tie-break dopo ben 6 palle match buttate via. L’andamento di questo tie-break segue i servizi sino al primo minibreak in favore dell’azzurro. Ancora una volta, altra opportunità sciupata via sino al 7-4 conclusivo. Finalmente ce l’abbiamo fatta! Primo punto in cascina seppur ottenuto con non pochi patemi. “Andrea confermò che Gambill fosse l’anello debole del gruppo, la sua solidità, specialmente in un match 3 su 5, e la differenza di categoria in campo tra i due venne poi fuori – racconta Nargiso – Mi piace definirlo per questa sua caratteristica un piccolo Ferrer, semmai con meno fisico e più mano, il classico giocatore contro cui se non giochi al di sopra del suo livello, lui non ti regala nulla”.
Ora è il turno di Davide Sanguinetti, nel match quasi proibitivo contro Todd Martin. L’ultima sconfitta dell’Italia risale proprio alla debacle del tennista nato a Viareggio, contro l’indiano Mahesh Bhupathi. Davide è il giocatore emotivamente più fragile ma forse giocare senza nulla da perdere potrebbe dargli quella spinta in più. Così fu. Sanguinetti disputò una delle partite più belle di sempre della sua carriera. Pallino del gioco sempre in mano all’italiano, con Martin a fare il tergicristallo e del tutto inerme quasi tutte le volte che si presentava a rete. L’americano però serve bene e non è facile strappargli la battuta. Il primo parziale si risolve anche qui al tie-break, senza troppe storie però perché Davide se lo aggiudica per 7 punti a zero. Il secondo set va più spedito e termina 6-3 per i colori azzurri. Il terzo set è duro, Martin molto probabilmente si è reso conto troppo tardi di aver sottovalutato avversario ed impegno e così anche il terzo parziale deve decidersi al tie-break. Davide, come Andrea, spreca diversi match point (per l’esattezza cinque) prima di poter urlare “come on!” e di gioire di fronte ad un pubblico a dir poco attonito. L’Italia è incredibilmente avanti 2-0. Quella che sembrava essere solo una mera illusione ora può trasformarsi in realtà. “Il match di Davide fu il più incredibile – ammette Nargiso – battere il miglior giocatore di casa dopo i vari Sampras ed Agassi sul veloce, più forte dello stesso Courier indoor, è stato un risultato non da poco. Gli Stati Uniti arrivarono a questo impegno con troppa tranquillità pensando di poter gestire la propria forza. Questa è stata la loro pecca più grande, magari sapendo che noi avevamo una maggiore predilezione per la terra erano convinti che avrebbero fatto di noi un cumulo di polvere, ma si sbagliarono”.
E’ proprio il momento di Diego Nargiso, da anni uomo guida del doppio azzurro, in passato con Camporese e oggi con Gaudenzi. Ad affrontarli la nuova coppia a stelle e strisce composta da Martin e Gimelstob. Potevano riaffiorare i fantasmi dopo quanto accaduto due anni prima contro i francesi con l’Italia uscita sconfitta nonostante fosse avanti 2-0? “ A dire il vero non ci pensammo – ci rivela Nargiso – Dopo aver visto Sanguinetti vincere con Martin in quella maniera eravamo sicuri delle nostre capacità e anche alcune defezioni importanti degli Usa ci diedero maggiore convinzione. Anzi, c’era un ulteriore aspetto a darci maggiore carica. All’epoca c’era una diatriba tra la squadra e la federazione. La squadra, col capitano che mediava, aveva un rapporto a dir poco difficile con la federazione in quel momento. Questo perché aveva forzato la mano per quanto riguardava i premi e non solo. Alcuni esponenti della federazione cercavano in tutti i modi di rompere l’equilibrio fra noi giocatori che al contrario eravamo molto compatti e forti anche dal punto di vista mediatico. In quell’occasione ci furono delle dichiarazioni in cui ci definivano sopravvalutati perché non ottenevamo spesso grandi successi nei tornei. Questo ci permise di esprimere al meglio le nostre qualità e di creare un gruppo solido e forte, non solo tra noi tennisti ma anche con tutti i componenti della nazionale. Ciò ci rendeva consapevoli di poter battere tutti. C’erano polemiche sul fatto che i dirigenti partissero in business e noi volassimo in economy, una serie di circostanze anche assurde che ci resero ancora più coesi di quanto non lo fossimo già”.
La coppia italiana gioca bene, fa suo agevolmente il primo set per 6-4 e vince un tie-break nel secondo parziale che sembra quanto mai risolutivo ai fini del risultato finale. Tutto troppo liscio però, al contrario di quanto insegni la nostra storia. Nargiso sembra calare d’intensità e di concentrazione alla fine del terzo parziale, punte di circa 2 milioni di spettatori e lo stesso Galeazzi non riescono a spiegarsi cosa abbia Diego e si pensa a qualche giramento di testa. Tantissime ipotesi dunque e poche certezze. L’unico aspetto sicuro riguarda il fatto che l’ultimo match di Nargiso si fosse concluso a causa di un suo ritiro e che la partita fosse ormai destinata a decidersi al quinto set.
A distanza di anni, Diego ci svela in esclusiva qualcosa che nessuno di noi avrebbe mai neanche lontanamente pensato: “In estate, dopo il successo a Prato, andai a giocare negli Stati Uniti. A Washington, dopo aver superato due turni tra cui sconfiggendo fra gli altri anche Rainer Schuettler, ebbi una disidratazione importantissima che mi obbligò ad andare in ospedale per accertamenti. Non si capiva cosa avessi, mi dissero che avevo contratto un virus che portò a disidratarmi. Giocai e persi il giorno dopo con Spadea con una paura addosso incredibile. Di lì a poco giocai lo stesso due challenger sempre in territorio statunitense. In finale a Binghamton contro Takao Suzuki mi ritirai, non riuscivo a stare più in piedi, accusai di nuovo problemi di disidratazione e un’ora intera di crampi generalizzati in tutto il corpo, dalle gambe alle mani fino allo stomaco. Letteralmente shockato da tutto ciò, rinunciai a New Haven e a New York. Tornai in Italia per effettuare ulteriori visite e scoprimmo che avevo degli scompensi anche a livello cardiaco, avevo delle vere e proprie aritmie. Per la prima volta nella mia vita dovetti combattere con delle aritmie cardiache dovute allo stress fisico che avevo accumulato. Non avevo ancora raccontato nulla di tutto ciò in quanto avevo ancora la mia carriera da terminare e volevo tutelare la mia privacy. Di questo mio problema erano a conoscenza solo i miei familiari, il prof. Candela e Bertolucci. Facevo controlli tre volte l’anno e non era mai risultato nulla, per cui ero all’oscuro di tutto e potrai capire il mio timore dopo aver appreso cosa in realtà avessi. Non mi allenai per più di 20 giorni per paura di stare male e ne approfittai per fare più esami possibili per capire meglio cosa stessi passando. Con il Professor Vincenzo Candela, che ringrazierò all’infinito, facemmo venire gli aritmologi più importanti d’Italia per rassicurarmi sul fatto che io stessi bene. Fortunatamente non risultò nulla, fu dunque un episodio isolato dovuto alla disidratazione e ad uno stress fisico forte che mi aveva creato degli scompensi aritmici che erano poi del tutto normali nel momento in cui uno ha un dispendio energetico importante e gioca a quelle temperature e con così tanta umidità. Quindi tornai ad allenarmi quando andammo in ritiro assieme in vista della semifinale di Davis ma il problema rimase, mentale e non fisico a quel punto. Giocai dunque la finale di Davis con un’ansia terribile, avevo paura che questi fenomeni potessero ripresentarsi seppur, per mia fortuna, così non fu. Proprio per questo grande stress durante il match ogni tanto uscivo perché per paura di disidratarmi, nonostante fossi consapevole che in quelle condizioni fosse impossibile. Bevevo talmente tanto che dovevo spesso andare in bagno. Nessuna capiva il mio stato, lo stesso Galeazzi in telecronaca si domandava cosa avessi. Avanti due set a zero con match point a nostro favore mancato, avanzava dentro di me lo spettro di allungare ulteriormente la partita e di compromettere la mia salute. A quel punto mi bloccai totalmente, mentre all’inizio ero più sciolto e provavo a non pensarci. Il quarto set è come se non l’avessi giocato, non riuscivo a concentrarmi sulla partita. Paolo Bertolucci mi guardò, mi scosse e mi urlò in faccia: “Diego tranquillo che non hai nessun tipo di problema, gioca al meglio quest’ultimo set e vinci per noi”. Mi svegliai, compresi il messaggio e mi resi conto che dovevo farlo per la squadra e andare oltre a questa mia preoccupazione. Giocai un buon quinto set, la soddisfazione più grande fu servire per il match in maniera impeccabile. Rimane la partita più bella ed importante della mia vita”.
Tutto bene quel che finisce bene dunque. Dopo aver mancato sul servizio di Gimelstob due match point nel terzo set ed aver incassato una serie di 6 game consecutivi, nel quinto parziale accade ciò che ormai in pochi credevano. La coppia azzurra tiene duro, Andrea cerca di sorreggere Diego, ed un break nell’ottavo gioco risulta finalmente essere decisivo. Nargiso serve in maniera impeccabile per il match e chiude con un servizio vincente. L’Italia conquista la finale! Tutto un popolo è in estasi per il raggiungimento di un successo a dir poco insperato. Arriva la giusta vittoria di un gruppo che non ha mai smesso di crederci e che oggi, come in passato, è capace di regalare emozioni uniche, emozioni da Davis.
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