Al Challenger di San Benedetto del Tronto abbiamo avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con uno dei coach più validi dell’intero panorama italiano, conosciuto come riservato e rispettoso, e scoperto anche molto comunicativo ed empatico: Cristian Brandi.
Parliamo della tua carriera di giocatore?
“Mio papà era presidente del Circolo Tennis a San Vito dei Normanni, e quindi ho iniziato lì a giocare a tennis, poi sono andato a Brindisi come Under 12. Sono stato campione regionale U12 e U14, quindi ero già bravino. Più tardi sono stato al Centro Interregionale di Bari quando frequentavo la terza media, mentre le superiori le ho fatte a Roma, perché fin dai 14 anni mi allenavo presso il centro di Riano sotto la guida di Piatti. Da lì poi è proseguita tutta la trafila Under, quindi sono cresciuto con la prospettiva di diventare un tennista professionista. Pian piano mi sono reso conto che avrei potuto avere una carriera migliore come doppista rispetto a quella del singolare dove facevo più fatica a fare risultati. Quindi ho fatto una scelta netta a favore del doppio dove infatti sono arrivato al numero 50 ATP, e la scelta è stata anche dettata dal fatto che potevo guadagnare bene con il doppio.”
Come è cambiato il tennis rispetto a quel periodo?
“I campi erano mediamente più veloci e le palle saltavano anche di più!”
Chi sono stati i partner migliori con cui hai giocato?
“Direi senza fare classifiche che mi sono trovato bene con tanti, e con Bertolini, Mordegan e Pescosolido ho vinto parecchio, tutti loro molto solidi da fondo, io meglio a rete.”
Mi racconti il periodo famoso storico con Caratti, Furlan e Mordegan?
“Siamo ancora amici, le emozioni vissute insieme non si dimenticano: passavamo ore ed ore uniti, a sognare insieme, chiacchierare, confidarci, ricordo ancora il trenino che da Piazzale Flaminio ci portava a Piazza Euclide a Roma. Eravamo una squadra, più di un gruppo di lavoro. E’ vero che il tennis è uno sport individuale, anche se poi esiste il doppio, però noi riuscivamo a fare nostri i miglioramenti del compagno, ci sostenevamo a vicenda, è stato uno dei periodi più belli della mia vita quello con Piatti e i ragazzi.”
Quale era ed è il segreto di Piatti, visto che ancora collabori con lui?
“All’inizio era molto metodico e si lavorava tantissimo. Ora alcune scelte le ha cambiate, per esempio noi facevamo tante ore di allenamento, anche 7 o 8 ore, ora di meno, si pensa magari più all’intensità che alla quantità. Si lavora tanto anche in palestra.”
Sei stato anche a Tirrenia come coach, Cristian.
“Sì, una decina di anni fa. In realtà Tirrenia è un Centro Servizi, c’è davvero tutto ciò che un tennista può desiderare, campi, preparatori, tecnici, medici.”
La tua carriera da coach come si sta sviluppando?
“Finita la carriera da giocatore Piatti mi chiese di dargli una mano, e cominciai seguendo Arnaboldi, Figliomeni, Marrai. Poi con la FIT ho curato la crescita di Trevisan quando ha vinto il Bonfiglio, un grande talento. Più tardi ho lavorato con Cecchinato, un ragazzo che può entrare nella Top 50 a breve, abbiamo faticato parecchio insieme per crescere e i risultati sono stati davvero buoni. Lui ha una naturale capacità di problem solving. Uno dei miei fiori all’occhiello comunque è la crescita di Thomas Fabbiano: 2 anni e mezzo al Parioli a Roma, più un anno grazie alla Federazione, sono serviti per migliorare tanto da arrivare a giocare gli Slam. Fabbiano è uno dei pochi con cui non ho mai avuto problemi, era ed è razionale, ci si lavora molto bene.”
E adesso chi segui?
“Ora sempre nel team di Piatti seguo Stefano Napolitano, Jimbo Moroni, che è qui a San Benedetto del Tronto e un cinese che farà buone cose da qui a breve, Zhizhen Zhang.”
Parliamo di loro?
“Stefano Napolitano è già pronto per i tornei maggiori come ha dimostrato anche al Roland Garros, e spero che come ha già fatto Cecchinato, entri in top 100 tra un anno. Moroni deve lavorare sulle emozioni, continuare a sviluppare tutti i colpi trovando anche nuove soluzioni, e fare tutta la trafila, l’esperienza è fondamentale. Zhang è un ’96 ma è ancora acerbo come personalità, non è ancora maturo come uomo, è alto due metri ma in campo si muove bene, anche lui può crescere davvero bene, ha avuto qualche problema col visto dalla Cina e vi dico che può diventare un top perché tira forte e vince anche parecchie partite pur giocando ancora “a caso”, nel senso di non avere le idee tattiche giuste in campo.”
E’ vero che ci sono interessanti novità nella collaborazione con Piatti?
“Sì, e ne vado orgoglioso, perché sarò Direttore del Settore Tecnico nella nuova Accademia che sta partendo a Bordighera, con 6 campi nuovi oltre ai 5 che già ci sono nel Bordighera Lawn Tennis Club 1878, il circolo più antico d’Italia, che sarà partner dell’Accademia. Ci sono campi coperti e veloci outdoor oltre alla classica terra. L’obiettivo ambizioso è creare giocatori. Non solo seguire quelli già bravi.”
Perché è così difficile il passaggio da Junior a Pro secondo il tuo punto di vista?
“Perché nei tornei Juniores ogni tanto trovi il ragazzo che “scioglie”, che si perde d’animo. Nei Futures invece è una battaglia ogni santa partita, nessuno ti regala niente e comunque il mondo Futures è un pochino più professionale del mondo Junior e comunque è da abbandonare il prima possibile a favore dei Challenger.”
Andare in giro nei tornei è una esperienza sicuramente piena di sorprese, mi racconti il torneo o il viaggio più particolare che ti è capitato?
“Ti dico solo che il primo tour da Pro ho fatto un viaggio da Nairobi a Tel Aviv con scalo a Karthoum e Addis Abeba nel quale ho visto di tutto…galline come bagaglio a mano….poltrone non attaccate del tutto al pavimento…hostess con difficoltà a camminare…ero incredulo ma anche divertito.”
Ci sono doti particolari o qualità che vorresti sempre in un tuo atleta?
“Facile. Fuoco dentro, e di conseguenza voglia di migliorarsi in tutto.”
Cosa spinge un coach a continuare a seguire il circuito e i ragazzi con l’impegno massimale come ami fare tu?
“E’ la passione, una passione fortissima. Giro da quando ho 6 anni, è la mia vita. E devo dire grazie anche a mia moglie Monica, che è anche lei una sportiva, ha praticato l’atletica nella specialità del salto in lungo, che mi capisce e mi supporta. Viviamo a San Marino anche se io sto sempre in giro ed abbiamo un figlio che ha 6 anni, Nicolò.”
Farà il tennista Nicolò?
“Mio figlio sarà obbligato a giocare a tennis…ma no scherzo! Sarà però obbligato a fare sport, uno qualsiasi, ma è davvero importante.”