Stefano, dopo la fine della carriera da professionista ha continuato a lavorare nel mondo del tennis, ed ora è un apprezzato allenatore che lavora con i giovani tennisti al Circolo Canottieri Aniene. Parliamo con lui delle prospettive del figlio Flavio, ma anche del mondo del tennis in continua evoluzione.
Stefano, ci sono molti ex tennisti che allenano i propri figli, tu hai scelto una strada diversa, spiegaci il motivo.
“Flavio si allena al Tennis Club Parioli con Vittorio Magnelli, Roberto Meneschincheri e tutto il loro team da almeno sei, sette anni, si trova benissimo con loro e credo che sia stata la scelta giusta. Il rapporto tra allenatore e tennista credo che debba avere un certo distacco, che è molto difficile tra genitore e figlio. Nel nostro caso particolare abbiamo caratteri molto forti e quindi non sarebbe stato facile trovarci in ruoli diversi da quelli che abbiamo in famiglia. Non escludo che in futuro la situazione possa cambiare e in qualche modo io possa entrare anche nel team che seguirà Flavio, se lui lo vorrà, e se ci saranno le condizioni, non vedo perché non dovrebbe succedere. Del resto in questo anno è capitato per tre volte che io fossi presente a tornei che ha disputato Flavio, in modo indiretto a dire il vero, perché io alleno anche Alice Amendola, che disputava lo stesso torneo di Flavio ed ero incerto se assistere o meno alle partite di mio figlio. L’ho fatto e sono stato contento di non aver notato tensioni particolari né da parte mia né da parte sua. Sino a poco tempo fa non credo che sarebbe stato possibile, ora lui sta maturando e forse anche io, quindi chissà che in futuro non possa succedere che mi ritrovi accanto a lui anche nei campi da tennis, ma per ora lui si trova benissimo con Magnelli ed è sicuramente la scelta migliore per la sua crescita.”
Ci sono però molti casi, soprattutto nel tennis femminile, di tenniste allenate dal proprio genitore con ottimi risultati. In generale lo sconsiglieresti oppure è una situazione da valutare caso per caso?
“Nel femminile la situazione è un po’ diversa, le ragazze maturano prima, di solito c’è anche meno conflitto tra padre e figlia, rispetto al figlio maschio. Poi, è chiaro che dipende dal carattere delle persone, mi sento solo di consigliare di non forzare le scelte del ragazzo in un senso o nell’altro. Se non funziona subito con il genitore o con il parente, pur ottimo allenatore che sia, è meglio cambiare e lasciare tranquillo il ragazzo affinché possa crescere con persone esterne alla famiglia. In generale credo che i genitori debbano accompagnare i figli agli allenamenti, ai tornei, ma poi stare il più lontano possibile dalle scelte tecniche degli allenatori di cui si devono fidare per il bene dei figli. In quasi tutti i casi sarebbe pure auspicabile che i genitori non guardassero le partite dei figli per non mettere loro addosso tensioni e pressioni che non fanno bene ai ragazzi.”
Flavio si è diviso per alcuni anni tra calcio e tennis, ora ha scelto definitivamente il tennis. Sei soddisfatto della sua decisione o magari avresti preferito una scelta diversa?
“Flavio era nelle giovanili della Roma e tutti gli osservatori dicevano che sarebbe stato un ottimo calciatore. Io sono un grande appassionato anche di calcio e soprattutto un grande tifoso romanista e quindi il pensiero di avere un figlio professionista nella Roma mi ha sempre esaltato parecchio, e quando ha deciso per il tennis ho rosicato un pochino, però a posteriori credo che abbia fatto la scelta più giusta soprattutto come crescita umana. In generale credo che il tennis possa dare più del calcio come valori sociali, culturali e umani. Dal punto di vista tecnico non sapremo mai se sarebbe diventato un calciatore più forte del tennista che diventerà, ma la scelta è stata solo sua, io non mi sono intromesso e non l’ho voluto indirizzare in alcun modo.”
Nel tennis, a differenza di altri sport, i ragazzi iniziano a girare il mondo fin da giovanissimi. Credi che sia un aspetto positivo oppure sarebbe più opportuno che iniziassero a fare tornei internazionali più tardi?
“Io sono assolutamente contrario a far disputare troppi tornei a ragazzi giovanissimi per una serie di motivi. Prima di tutto è importante che continuino a frequentare la scuola con regolarità. L’istruzione e la cultura sono valori imprescindibili che non dobbiamo togliere per nessun motivo ai nostri figli. E’ chiaro che si cerca di conciliare studio e tornei, ma se si fanno 100 partite all’anno, è impossibile frequentare con profitto la scuola. Poi, in secondo luogo, il ragazzo deve crescere con costanza e continuità. Se è sempre in giro si pianificano gli allenamenti in modo meno rigoroso e poi c’è anche il rischio concreto di far calare l’entusiasmo ai ragazzi, che magari iniziano a vedere le difficoltà degli spostamenti, ad avere a che fare con ritardi, scioperi, disguidi di ogni genere e temo possano perdere la passione per il nostro sport. Fino a 14 anni credo che sia giusto fare solo alcuni torneo vicino a casa, poi, piano piano, si può aumentare il raggio di azione e fare qualche torneo internazionale, ma almeno fino a 17 anni sempre senza esagerare, lasciando la maggior parte del tempo agli allenamenti e allo studio. Io sono contrario a fare tornei in modo forsennato per scalare le classifiche under 14 o under 16, che poi, in fondo, non contano nulla e a livello di under 18 si riparte da zero”
A proposito di studio, come riuscite a conciliare lo studio con gli allenamenti di Flavio?
“Flavio frequenta regolarmente una scuola pubblica, un liceo ad indirizzo sportivo, va a scuola tutte le mattine e salta le lezioni solo saltuariamente in caso di tornei. La scuola è comunque strutturata in modo che si possano recuperare le lezioni perse e c’è molta elasticità per chi partecipa a gare sportive, certo lo studente deve sempre dimostrare molto impegno e voglia di studiare, ma su questo siamo anche noi, come famiglia, molto esigenti con Flavio. Per ora Flavio non fa allenamenti al mattino, ma solo al pomeriggio. Molti ragazzi anche dell’età di Flavio ho visto che fanno scuole private che consentono anche di allenarsi al mattino, ma io credo che sia un alibi per cercare una soluzione più “facile” che comporti meno sacrifici, perché studiare seriamente e allenarsi con costanza è molto impegnativo, ma Flavio sa bene che non ci sono alternative, arrivare al diploma è indispensabile per arricchire la propria cultura personale e per lasciarsi aperta un’altra strada, oltre al tennis.”
Secondo te il tennis è cambiato negli ultimi anni privilegiando il fisico e la parte atletica rispetto alla tecnica, oppure, tutto sommato, la tecnica e il talento sono ancora la base per creare dei campioni?
“Io credo che la tecnica sia sempre fondamentale, semplicemente sono cambiati i colpi su cui affinarla. Una volta si lavorava esclusivamente su dritto e rovescio, ora si lavora di più sul servizio e la prima risposta al servizio che, almeno nel maschile, stanno diventando i colpi fondamentali, mentre una volta il servizio era poco più di una rimessa in gioco. Fra l’altro il servizio è il colpo più tecnico in assoluto, dipende solo da te e non dall’avversario, è quello che può fare la differenza tra un campione e un buon giocatore. Io vorrei sfatare il mito della grande fisicità dei tennisti moderni, la maggior parte hanno un fisico nella media degli atleti, forse è solo aumentata l’altezza media, proprio per il discorso che chi è più alto riesce a servire meglio, ma non credo che sia indispensabile tutto questo lavoro di palestra che alcuni fanno per irrobustire all’infinito il fisico.”
E per quanto riguarda l’aspetto mentale del tennis, credi sia opportuno collaborare con mental coach o psicologi per aiutare i tennisti, oppure un bravo maestro è in grado di curare anche questi aspetti?
“Bisogna distinguere tra il tennis dei ragazzi e il tennis dei professionisti. Un bravo maestro che allena i ragazzini, fino al circuito junior, credo che debba essere in grado di lavorare anche sull’aspetto mentale, mentre il professionista della psiche possa diventare importante in un team che segue un tennista adulto. Un discorso analogo vale per il dietista, per gli esperti dell’alimentazione, che credo debbano intervenire solo con i professionisti del tennis, con i ragazzi un bravo maestro deve saper indirizzare bene anche l’alimentazione.”
Come giudichi la crescita tennistica di Flavio fino a questo punto? Quali sono i suoi punti di forza e quali gli aspetti su cui deve lavorare ancora tanto?
“Flavio deve lavorare soprattutto sull’atteggiamento in campo, che deve essere il più propositivo possibile. Dal punto di vista tecnico è un ragazzo completo, sa fare tutto piuttosto bene, chiaramente con margini di miglioramento in tutti i colpi. Credo che il suo punto di forza sia la coordinazione e la rapidità dei movimenti che ha avuto sin da bambino, forse il colpo su cui deve lavorare maggiormente credo sia il servizio, ma il suo allenatore saprà benissimo come lavorarci.”
“Ci vuole una via di mezzo, un giusto equilibrio. Non serve a nulla giocare troppo e vincere con assoluta facilità, ma non ha nemmeno senso farli subito debuttare in tornei fuori dalla loro portata a meno di sorteggi particolarmente fortunati. Si parte da quello che viene considerato il loro livello e poi si vede, strada facendo, se sia il caso di salire di livello e di grado dei tornei. Poi c’è il discorso che bisogna fare dei punti per poter giocare i tornei di livello superiore, ma in generale, ad esempio, credo che sia giusto quello che ha fatto Flavio quest’anno, ovvero pochi tornei mirati, senza assillo di ranking.”
Secondo te, il tennis italiano è in un momento di crescita, visti anche i successi di tanti ragazzini del 2002 e 2003, oppure non c’è troppo da illudersi per il futuro?
“Il tennis italiano lo vedo nella media europea. A livello di under 18 nei tornei che contano abbiamo raccolto molto poco e nei primi cento abbiamo pochissimi giocatori e giocatrici, non vedo una grandissima crescita. Lorenzo Musetti è sicuramente un talento che diventerà un grande giocatore, ma dopo di lui non mi sentirei di scommettere su nessun altro. I giovanissimi dietro potrebbero diventare dei campioni, ma anche restare nell’anonimato, ci sono tantissimi fattori che incidono sulla crescita di questi ragazzi.”
Cosa si dovrebbe fare per migliorare lo stato di salute del tennis italiano allora?
“Onestamente mi sembra che la federazione si stia muovendo nella direzione giusta. I giovani sono seguiti nel modo giusto anche lontano dai centri federali. Ci sono tanti maestri bravi in giro per l’Italia che, forse, adesso sono stati messi nella condizione di lavorare nel migliore dei modi. I risultati di questo lavoro si vedranno però credo tra almeno tre o quattro anni. Solo allora potremo verificare se il nostro lavoro di questo periodo è stato proficuo o meno.”
Chiudiamo l’intervista parlando di te, dalla tua carriera di tennista. Guardandoti indietro, hai qualche rimpianto, oppure sei soddisfatto di quello che sei riuscito a fare?
“Rimpianti ne ho tantissimi, avrei potuto vincere molto di più. Tecnicamente ero bravo, avevo un buon fisico, tanta grinta e anche un talento naturale per questo sport, ma la mia gestione tennistica era assolutamente amatoriale, allora eravamo tutti lasciati un po’ a noi stessi e non eravamo in grado di programmare la carriera. Avrei avuto bisogno di una persona sempre vicino che mi seguisse nelle trasferte e nella gestione di tutte le problematiche che sorgono di giorno in giorno. Oggi per fortuna le cose sono cambiate e chi si affaccia al professionismo non è più lasciato solo come un tempo e quindi, chi ha talento, è molto probabile che non si perda.”
Cosa ti senti di augurare a tuo figlio Flavio per il suo futuro?
“Gli auguro di mantenere per sempre il suo entusiasmo per il tennis, è quello che dà la forza di continuare, di fare sacrifici, di superare momenti difficili che sicuramente arriveranno, senza l’entusiasmo e la voglia di mettersi in gioco ogni giorno è finita. Poi se diventerà o meno un professionista dipenderà da tanti fattori, ma vorrei che andasse ad allenarsi e a giocare sempre con voglia e felicità di farlo”
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