Negli ultimi tempi è sulla bocca di tutti. Matteo Berrettini, classe 1996, è una meravigliosa realtà del nostro tennis. Con la finale al torneo Challenger di Istanbul ha raggiunto il suo best ranking (127) conquistando la posizione numero 15 nella Race to Milan. Coach Vincenzo Santopadre ci ha parlato di lui e di questo momento d’oro da trattare con i guanti, oltre ad alcune considerazioni sul fratello minore Jacopo e sulla nuova stagione di Serie A1.
La finale di Istanbul è l’ennesima tappa di un percorso di crescita davvero positivo. Che sensazioni ti ha lasciato questo torneo?
“Ottime sensazioni, sento che la strada è quella giusta. Ho avuto numerose conferme, in modo particolare sulle priorità che ci eravamo dati. Fra queste ci sono il crearsi un modo corretto di stare in campo e fare esperienze produttive che vanno oltre il singolo match. Se riusciremo, visto che non sono mai solo ma c’è tanta gente che lavora con e per Matteo, a trasmettere questo tipo di messaggio e il ragazzo dovesse farlo proprio allora vedremo miglioramenti sempre più significativi. Non serviva il torneo di Istanbul per farmi prendere coscienza di alcune cose. C’è tanta consapevolezza e tanta fiducia, però ora bisogna stare molto attenti a non deragliare. Matteo ha vissuto una splendida estate dal punto di vista dei risultati e in questi casi il rischio di un effetto boomerang è molto forte. Non prendetemi per matto, ma la sconfitta con Jaziri sarà più utile di una vittoria per restare con i piedi per terra e per capire quali sono gli aspetti tecnico-tattici da migliorare. Ripeto, è un momento davvero molto delicato e il concetto chiave è che una partita non è e non deve mai essere fine a se stessa”.
Due anni fa, subito dopo la prima vittoria di Matteo a livello ITF, avevi individuato alcuni punti chiave sui quali avreste impostato il lavoro da quel momento in poi, come ad esempio la struttura fisica, il gioco di volo e il rovescio. Non solo i risultati, quanto soprattutto il gioco, vi dà e ti sta dando ragione.
“La partita, vinta o persa, conta fino ad un certo punto in questo momento. A me interessa il livello di gioco, che gradino dopo gradino deve alzarsi sempre di più. Gli ultimi due anni sono stati molto intensi. Il gioco di Matteo è migliorato perché è stato in grado di cogliere subito quali erano gli obiettivi e ci si è dedicato. Ora ha davanti un nuovo mondo, pieno di situazioni per certi aspetti nuove ed imprevedibili. La scalata in classifica deve darci la spinta giusta e non farci specchiare in noi stessi. C’è sempre e comunque modo di migliorarsi e Matteo lo sa. Sa che bisogna continuare così, colpendo palle su palle e restando certosini sulla preparazione atletica, che a mio avviso resta lo snodo cruciale del suo percorso”.
Tra le idee c’era anche quella di preparare una stagione sul veloce. Tre delle finali raggiunte da Matteo nel 2017 (Quanzhou, Portoroz e Istanbul) sono arrivate proprio su questa superficie. E’ un’altra risposta che volevi e che ti è arrivata?
“Assolutamente si. Fa tutto parte di un piano di crescita dal punto di vista tecnico, tattico, di atteggiamento al servizio e in risposta, aspetti su cui si è sempre dovuto forzare. Giocando su campi veloci ha sicuramente perso qualche partita in più, ma ha fatto delle esperienze importanti per il presente e per il futuro. Un tennista in formazione deve essere in grado di sapersi adattare ad ogni superficie in modo da avere un bagaglio tecnico che gli consenta di esprimersi sempre al meglio delle sue possibilità”.
Ci sono aspetti tecnico-tattici che avete curato in modo particolare nell’ultimo periodo?
“Abbiamo lavorato moltissimo sul modo di stare in campo, sull’atteggiamento e sulle giuste reazioni relative al caso specifico. Dal punto di vista tecnico ci siamo concentrati sulla precisione del servizio e sulla percentuale di prime palle. Il colpo con cui si inizia lo scambio deve essere imprevedibile e variare a seconda di chi si ha davanti. Stesso discorso vale per la seconda palla, dove dobbiamo migliorare sull’aggressività e per la risposta, un colpo che ha bisogno di avere sempre un piano di riserva per disporre di più carte da potersi giocare. Come vedi è una preparazione a trecentosessanta gradi”.
Chi conosce Matteo sa che è un ragazzo molto equilibrato, dentro e fuori dal campo. Ultimamente lo si è visto osare un po’ di più. Ne avete parlato?
“Si, sono molto contento perché spingo parecchio su questo aspetto. Dopo l’infortunio avevamo programmato di giocare le qualificazioni in numerosi tornei Challenger proprio per cercare di farlo uscire dalla sua “comfort zone”, alzando il livello di gioco tramite una maggior aggressività. Io gli chiedo sempre di forzare, di osare, di prendersi dei rischi. Se non commetti alcuni errori, soprattutto non forzati, diventa complicato riuscire a migliorare il proprio gioco. Bisogna cercare di evolversi in continuazione, capendo quali sono le partite e i momenti di una singola partita in cui è possibile fare alcune cose”.
Abbiamo parlato di tecnica e di tattica. Nell’ultimo anno Matteo ha scalato vertiginosamente la classifica issandosi fino al suo best ranking. Quanto è importante ora, dal punto di vista mentale, restare centrati e non perdere la bussola?
“Sappiamo bene quanto sia fondamentale e difficile allo stesso tempo. Io sono sempre molto attento su questo aspetto e cerco di aiutarlo nel miglior modo possibile. Ho visto situazioni simili finire più o meno bene e so che sta camminando su una strada che ancora non conosce. Noi che gli siamo vicini dobbiamo essere bravi a non mandarlo fuori strada. Stefano Massari, il mental coach, sta facendo un lavoro straordinario ma come in tutte le cose è sempre il ragazzo che conta. E’ lui che va campo e che deve assimilare i nostri consigli mettendoli in pratica giorno dopo giorno”.
Quali sono i programmi di Matteo per quest’ultima fetta di stagione?
“Proprio perché in questo momento non è fondamentale mettere punti in cascina e migliorare la classifica, abbiamo deciso di cancellarci dal torneo di Orleans. Matteo ha speso molte energie nell’ultimo periodo, quindi ha bisogno di staccare un attimo con i tornei e tornare ad allenarsi per quindici giorni. Poi giocherà i challenger di Tashkent e Brest, prima delle qualificazioni Next Gen dove spera ovviamente di essere protagonista”.
Da un Berrettini all’altro. Te la senti di trarre un bilancio della stagione di Jacopo?
“Jacopo ha avuto un ottimo inizio di stagione, si è fatto trovare carico e pieno di energia. Ha giocato tantissimo e il primo anno fuori dal circuito juniores è sempre diverso e delicato per decine di motivi. Oltre ad aver spinto molto ha dovuto sostenere anche gli esami di maturità ed è per questo che credo sia arrivato stanco al fotofinish. Anche lui si impegna sempre ed ha una costante voglia di migliorarsi. Deve essere un gene presente in tutti e due i ragazzi. Hanno davvero un’ottima testa. Non posso che essere molto soddisfatto”.
Si respira già aria di Serie A1. Per voi del Circolo Canottieri Aniene subito un esordio importante con i Campioni d’Italia del Park Genova. Quante possibilità ci sono di vedere in campo Bolelli, Quinzi e Caruana?
“Con Simone non siamo ancora sicuri perché sta decidendo ancora se andare a disputare i tornei del circuito asiatico. Tutti gli altri contiamo di averli a disposizione”.
Tu continuerai a spostare gli equilibri in doppio?
“Direi di no. Non c’è più spazio per il Museo delle Cere (ride). Mi sono divertito molto ma ho già dato, adesso tocca ai ragazzi”.
Grazie mille e in bocca al lupo per tutto
“Grazie a voi”.
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