Matteo Berrettini: “Ripartirò a febbraio dal veloce indoor. Ottimo lavoro con Santopadre e Rianna”


Matteo Berrettini è tornato. Il ventenne tennista romano ha recuperato completamente dall’infortunio al piatto tibiale del ginocchio che l’ha tenuto lontano dai campi per ben 6 mesi. È rientrato al tennis giocato di gran carriera, prima mettendo in mostra un’ottima prestazione al challenger di Brescia, fermato al secondo turno dalla testa di serie n.1 Lukas Lacko in un match combattutissimo, perso per una manciata di punti. Poi, a fine novembre, Matteo ha stupito pubblico e addetti ai lavori raggiungendo la sua prima finale challenger ad Andria contro Luca Vanni, sotto lo sguardo attento del suo coach Vincenzo Santopadre e di Umberto Rianna, supervisore del progetto over18 della FIT.
Un risultato inimmaginabile poco meno di un anno fa, che gli ha permesso di chiudere il 2016 con il best ranking alla posizione n. 436.
Matteo, c’eravamo lasciati a settembre quando il collega Matteo Mosciatti ti aveva intervistato al rientro dopo l’infortunio, ora è gennaio e in questi 5 mesi ne sono successe di cose…
“Il rientro è stato molto difficile ma fin da subito ho avuto sensazioni positive, la voglia di giocare era alta, sono riuscito nel mio intento, cioè giocare molte partite. Sfortunatamente mi sono infortunato dopo soli due tornei, non ho potuto disputare la finale a Reggio Emilia per un’infiammazione alla spalla; però una volta ripreso da quell’infortunio la strada è stata abbastanza liscia, ho giocato con continuità e sono arrivati anche dei risultati positivi”.
Sei stato fermo da fine febbraio a inizio settembre, di cosa si è trattato?
“Ho avuto un problema al piatto tibiale del ginocchio sinistro, in realtà si trattava di aspettare che il problema si risolvesse da solo. Io mi sentivo bene, non avvertivo un dolore insopportabile, solo che ovviamente non potevo competere. Fortunatamente non è stato necessario operarmi ma ho dovuto fare solo le infiltrazioni; quindi il recupero si è limitato al mantenimento del tono muscolare. Diciamo che ho lavorato prevalentemente in campo, ho evitato di fare corse, allunghi, ho lavorato più sulla resistenza in campo. Dopo lo stop eravamo ripartiti con l’obiettivo di fare i primi tornei proprio per allenarmi e riprendere la forma, poi fortunatamente sono andato avanti e ho giocato tante partite”.
Cosa hai pensato durante questi sei mesi?
“Le cose che ti passano per la testa sono tantissime: pensi ai punti in scadenza, che hai perso qualcosa per strada, che forse non tornerai più alla forma fisica di prima, che giocatori che stavano al tuo stesso livello, o davanti, o dietro di te intanto stanno continuando a crescere. Ma nel mio team tuttora non c’è la fretta di porsi degli obiettivi a breve termine. Durante i mesi di stop ho avuto l’occasione di stare in campo con dei ragazzini e di avere il punto di vista del maestro: è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere molto. Ho avuto anche la possibilità di farmi qualche giorno di vacanza in estate, cosa che non mi capitava da un sacco. In fin dei conti è stata un’annata un po’ diversa ma vissuta sempre in maniera positiva e costruttiva, che alla fine ha portato al best ranking e a risultati davvero buoni”.
Nel 2016 pochi tornei ma buoni: hai raggiunto la tua prima finale a livello challenger ad Andria contro Luca Vanni, togliendoti lo sfizio di battere giocatori quali Marco Chiudinelli e Tommy Robredo. Che effetto fa vincere contro giocatori di questo livello?
“L’emozione è tantissima, perché tu sei consapevole che quei giocatori lì hanno fatto 1000 partite di questo tipo, mentre io ne avrò fatte forse 2-3 a quel livello: da una parte c’era la loro grande esperienza e dall’altro c’ero io che dovevo mantenere un livello più alto rispetto alla mia media. Avevo tanti punti interrogativi in mente, soprattutto mi chiedevo se sarei stato capace di tenere di testa, di mantenere attenzione e concentrazione soprattutto su una superficie così veloce in cui se ti distrai perdere il set è questione di un attimo. Prima del match con Chiudinelli Umberto Rianna mi ha detto: “Vorrei che ti levassi dalla testa il pensiero che lui è testa di serie numero 2; sì, è vero che è un giocatore esperto, ma tu gioca tranquillamente la tua partita, hai le carte in regola per batterlo”. Alla fine aveva ragione lui, è riuscito a motivarmi bene, cosa che era successa anche con Lacko a Brescia, in una partita che ho perso per pochi punti 6-4 al terzo set ma che ho giocato ad armi pari. Quella partita mi ha fatto realizzare che la differenza tra me e quei giocatori è poca e sono partito fiducioso per Andria. Ovviamente mi continuavo a ripetere, come era logicamente pensabile, che se anche avessi perso la partita con Chiudinelli, in cui ho salvato 4 match point, sarei stato contento lo stesso; però mi avrebbe pesato perdere dopo aver avuto parecchie chances. Il fatto è che partita dopo partita sentivo di aver guadagnato qualcosa. Infatti mi sono sentito molto tranquillo anche dopo la sconfitta con Lacko”.
Come ti sei sentito nel giorno della finale? In fondo è solo una partita come tutte le altre?
“Molte volte ci ripenso e sembra strano perfino a me: è stato un risultato improvviso e inaspettato; durante il torneo mi sono goduto i complimenti, le sensazioni positive e, cosa non indifferente, mi sono anche divertito molto. Mi dicevo che era una finale challenger, quindi me la volevo godere e giocare non come una partita normale; è molto complicato perché da una parte devi essere attento a non farti portare via dall’emozione, dall’altra devi trasformare tutta la carica in concentrazione per stare al passo del tuo dell’avversario che sicuramente era più abituato di me a giocare una finale. In partita non sono stato brillante come negli altri giorni perché Luca mi dava molto fastidio, nei suoi game di servizio praticamente non si giocava. Ma sono stato contento di aver dimostrato prima di tutto di essere tornato più forte di prima”.
I miei colleghi di Spazio Tennis erano presenti a Brescia dove hai giocato una buonissima partita contro Lacko, testa di serie n.1, rimanendo impressionati dalla potenza e dall’efficacia del tuo servizio. È in questo momento il tuo colpo migliore?
“Sì, in effetti su quelle superfici il servizio fa la differenza, al contrario della terra, ma io credo che il mio punto di forza principale sia ancora il dritto. Devo ammettere che il servizio, specie in questi ultimi due tornei, mi ha dato una grossa mano soprattutto nei game in risposta, in cui ho potuto giocare in maniera più tranquilla e rilassata. Sono migliorato tantissimo nel rovescio, in cui prima ero più discontinuo, mi muovevo e rispondevo peggio: in questi mesi ho svolto un grande lavoro fisico per rinforzare la parte sinistra del corpo”.
C’è un top player a cui ti ispiri, magari un gran battitore?
“Io non mi vedo come un grande battitore, anzi sono nato e cresciuto sulla terra, quindi mi sento molto più a mio agio da fondo… mah, potrei assomigliare più a un Del Potro o un Cilic, cioè a uno che colpisce forte da fondo e cerca di aprirsi il campo col servizio”.
Chi ti allena e chi ti segue per i tornei?
“Mi allena Vincenzo Santopadre al circolo Canottieri Aniene e da un paio d’anni va avanti la collaborazione con Umberto Rianna, che cerca di seguirmi il più possibile anche nei tornei. Ci sono periodi in cui vado ad allenarmi a Tirrenia con lui, c’è un gruppo molto valido di ragazzi che si allena anche indoor, cosa che a Roma è molto difficile da fare”.
Ti saresti aspettato a febbraio 2016 di finire la stagione a ridosso dei primi 400?
“Prima dell’infortunio ovviamente speravo di salire e migliorare la mia classifica, sebbene non mi fossi posto un obiettivo numerico. Sicuramente non mi sarei aspettato una classifica del genere dopo uno stop così lungo. A febbraio 2016 avevamo fatto una programmazione abbastanza coraggiosa: avevamo cominciato con tre challenger e poi con una trasferta in Cina per giocarne altri tre. Appena arrivato in Cina mi hanno detto che dovevo tornare indietro perché la risonanza non era positiva. Sono stato solo due giorni in Cina e sono tornato indietro, è stato uno choc anche per via del fuso orario e dei voli in pochi giorni. All’inizio sembrava che l’infortunio si dovesse risolvere in poco tempo, ma dopo un paio di mesi la situazione non si era modificata e ho dovuto pazientare un po’ di più”.
Avete già stilato la programmazione di quest’anno?
“Abbiamo fatto la programmazione per i primi sei tornei dell’anno: la prima settimana di febbraio andrò a giocare due $25.000 indoor in Svizzera e poi penso che giocherò il challenger a Bergamo. Dopodiché farò una settimana di allenamento per poi andare in Cina a giocare quei famosi tre challenger dell’anno scorso, sperando stavolta di finire la trasferta…”.
Ultima domanda: tuo fratello Jacopo è diventato pro quest’anno. Quanto è importante avere un altro tennista in famiglia?
“Io e mio fratello siamo molto affiatati e molto uniti dentro e fuori dal campo, il fatto che anche lui giochi a tennis aiuta perché se avessi un fratello che studia o lavora non ci vedremmo mai, non avremmo la stessa complicità, sarebbe tutto più complesso. Siamo due ragazzi tranquilli, non ci piace uscire troppo o fare cose esagerate, ci alleniamo insieme, viviamo sempre in contatto e questo ci sprona a vicenda per fare sempre meglio in termini di risultati, c’è un po’ di sana competizione. Poi se ci deve essere un giocatore che sta sopra di me in classifica allora spero che quello sia proprio mio fratello”.

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