L’inesauribile parlantina condita da un sottile velo di romanità sommerge la mia piccola intervista, stravolgendola con i ricordi di una vita indissolubilmente intrecciata al tennis. Come sgorga copiosa la passione per il proprio lavoro da una tranquilla chiacchierata in macchina, mentre Francesco Elia sta guidando sulla strada che lo riporta verso casa.
La parabola lavorativa di Francesco racconta la storia di chi ha dedicato la propria esistenza al tennis sotto tutte le sue sfaccettature: prima docente per i maestri della Fit, allenatore di giovani promesse, coach di tenniste top player. Una carriera ricchissima, svoltasi sempre all’insegna della continua ricerca dei mezzi, delle soluzioni, delle giuste motivazioni per aiutare a tirar fuori il meglio da chiunque avesse davanti, fosse essa una giovane tennista in erba, una giocatrice ai margini del circuito maggiore, o la sua sua stessa moglie.
“Ho iniziato come tutti facendo il corso da insegnante alla scuola nazionale maestri, al termine del quale mi hanno offerto di fare il docente. Sono stato tante settimane al centro tecnico di Riano, dove ho potuto stare al fianco di tecnici che all’epoca erano considerati i migliori d’Italia: c’erano Vittorio Magnelli, Bertolucci, Massimo d’Adamo, ex giocatori importanti che lavoravano per la Federazione nel centro di Riano. Finito quel percorso ho iniziato a lavorare in un club da libero professionista e allo stesso tempo a collaborare con un manager della IMG che aveva un suo gruppo di giocatrici facendo lo sparring partner agli Internazionali di Roma, anche se era una strada che avevo già testato da ragazzo, ad esempio con la Seles e la Capriati. Ho cominciato a lavorare con alcune giocatrici che lui patrocinava tra cui Irina Spirlea e Silvia Farina. Da lì ho cominciato la mia carriera come tecnico internazionale seguendo Silvia a tempo pieno”.
Conclusa la carriera di quella che nel frattempo era diventata sua moglie, Francesco prosegue il suo cammino da coach con altre top player: ”Ho collaborato per un certo periodo con Daniel Panajotti che è stato l’allenatore di Francesca Schiavone fino al 2009, mentre io seguivo Maria Elena Camerin, in quel momento tra le prime 50 al mondo, ed Emmanuelle Gagliardi, anche lei tra le prime 35. Alle Olimpiadi del 2012 ho seguito Francesca Schiavone per la Federazione. Tutto sommato quando ha lavorato con me ha ottenuto dei buoni risultati: ottavi a Parigi, semifinale a Strasburgo, agli ottavi di Wimbledon era davanti un set e un break con la Kvitova detentrice del torneo prima della sospensione per pioggia. Prima, durante e dopo ho seguito tanti ragazzi che sono stati 400/500/600 Atp, anche se la mia carriera internazionale è legata alle donne”. La sua inesauribile curiosità per tutte le sfumature di questo sport lo fa approdare fino in cabina di commento: “Infine, diciamo per diletto, ho cominciato a commentare gli Slam per Eurosport: l’ho fatto per un paio d’anni ma presto non fu più fattibile perché in quel periodo stavo seguendo alcune ragazze tra le migliori d’Italia al centro di Tirrenia e non potevo privarle della mia disponibilità per due settimane consecutive. Poi ripresi e fatalità portai con me Silvia a commentare un torneo di Indian Wells che avevo deciso di non farle fare per centellinare le energie. Ci proposero ad entrambi di continuare questa esperienza. All’inizio lo facevo perché mi divertiva, poi mi sono reso conto che era molto stimolante l’idea che chi mi stava ascoltando non fosse necessariamente un esperto di tennis o un addetto ai lavori, ma che al contrario il pubblico avesse bisogno di essere educato. Ho sempre pensato che il commentatore dovesse aggiungere qualcosa in più rispetto a quello che gli occhi vedono, tipo “la palla è andata dentro/fuori”. Questo mi ha dato modo di vedere le partite da un altro punto di vista, totalmente nuovo per me: non seguivo più il mio giocatore o la mia giocatrice, non ero più parte interessata e mi accorgevo di alcune situazioni che prima da allenatore, coinvolto anche emotivamente, non riuscivo a notare. Tant’è che prendo costantemente appunti durante le partite che commento per SuperTennis, Alessandro potrà testimoniare…”
Qualche anno fa sempre ai microfoni di Spazio Tennis Francesco ci raccontò che stava seguendo alcune giovani interessanti come Martina Caregaro, che ha da poco ottenuto il suo best ranking alla posizione 267. Ma a chi si sta dedicando adesso? “Martina ha già migliorato più volte il suo ranking quest’anno, da quel numero 370 datato 2010: già superare quello scoglio è stato molto importante e spero che possa fare sempre meglio. Ora sto seguendo un plotoncino di ragazzi più o meno giovani, collaboro con la scuola agonistica del Foro Italico e mi sposto in un paio di centri a Roma Nord. Sono ragazzi che vengono o per settimane o per periodi più lunghi; il tennista col ranking più alto è Riccardo Ghedin, 150 in doppio e tra i primi 450 nel singolo, solo perché quest’anno è ripartito da zero in singolare dopo un brutto infortunio, ma è stato anche a ridosso dei 200 quando si è qualificato a Wimbledon nel 2009. L’obiettivo per l’anno prossimo è entrare nel tabellone di uno Slam in doppio”.
Mi viene in mente di aver letto che ha l’abitudine di far tenere ai propri allievi un quadernino dove annotare le proprie impressioni alla fine di ogni match: “Sì certo, con i maschi è un po’ più difficile perché non hanno la stessa continuità delle ragazze! La finalità del taccuino è semplice: quando esci dal campo sei sempre in preda a delle emozioni che possono contaminare ciò che è successo realmente. Noi abbiamo tre organi di percezione: visivo, uditivo e cinestesico, che racchiude la sfera delle sensazioni ed emozioni. Spesso quest’ultime decidono le sorti di una partita a parità di livello tra i giocatori. Quindi avere informazioni sulle percezioni che il singolo prova in un determinato momento mi fanno capire come posso aiutarlo: l’obiettivo di un allenatore non è plasmarlo a sua immagine e somiglianza ma fare in modo che la persona riesca a tirar fuori il meglio di sé in considerazione di quella che è la sua identità di gioco, servendosi della maggiore esperienza e un po’ di fiuto in più rispetto a chi può essere ancora in fase di crescita. Martina (Caregaro, ndr) ne è un esempio lampante, ma ci sono tante giovani giocatrici che fanno fatica a gestire le emozioni soprattutto nei momenti più importanti di un match. Avrai sentito certamente la diceria che i giocatori italiani maturano più tardi. Questo è vero dal punto di vista cronologico ma non ci si può certo dimenticare che queste ragazze a 20 anni erano già tra le prime trenta, non è che sono diventate improvvisamente brave e prima erano zero. È come un puzzle che viene assemblato in molti anni con dovizia di particolari, non è che ci azzecchi subito al primo tentativo. Mai come nel tennis è valido il detto “sbagliando si impara”. Di sicuro dalle sconfitte, se prese nella maniera giusta, si impara di più che dalle vittorie: l’avversario è stato in grado di entrare nelle mie difficoltà meglio di me, quindi quel tipo di informazioni sono fondamentali perché sul campo di allenamento si riparte proprio da quei presupposti. Solo in questo modo un giocatore può crescere. Principalmente il taccuino è uno strumento che serve prima di tutto a me per conoscere la persona, prima del giocatore”.
Quanti anni passati in giro per il circuito e chissà quanti cambiamenti percepiti rispetto ai tempi in cui allenava Silvia: “Considera che quando ho cominciato a lavorare con Silvia lei aveva 25 anni ma nei primi 4 anni di professionismo non ne ha giocati 3 a causa di infortuni vari. Ha terminato la carriera nel 2005 tra le prime 33 ma l’ultimo torneo vero l’ha giocato a Wimbledon dove era tra le prime 20, ed è una cosa di cui entrambi andiamo molto orgogliosi. Evidentemente io ero la persona giusta al momento giusto che le ha dato gli input corretti per poter completare il percorso che aveva fatto prima. Alcuni infortuni purtroppo hanno condizionato la sua carriera per sempre: l’operazione al polso in giovane età e l’infortunio alla spalla a 26 anni con la lesione del sovraspinoso hanno precluso o limitato certi movimenti. Rispetto al passato come preparazione fisica a livello metodologico è cambiato tutto, ci sono tante conoscenze in più, ci sono strumenti che prima non si avevano, basti pensare solo ai video su YouTube. Io ero uno di quelli che stava ore e ore sui campi di allenamento per vedere come lavoravano gli altri e prendere quello che ritenevo necessario, pratico e funzionale alla persona che stavo seguendo in quel momento: quella è stata la mia università. Adesso ci sono vere e proprie squadre a disposizione dei giocatori, anche solo qualcuno a casa con cui parlare telefonicamente. Una volta questa possibilità l’avevano solo i primissimi giocatori della classifica. Fino al 2000 considera che i maschi guadagnavano circa il triplo delle donne. Poi i premi si sono abbastanza equiparati e questo ha permesso alle ragazze di guadagnare un po’ di più, ma quando ho cominciato io la norma era che due o tre giocatrici, diciamo intorno alla 50esima posizione, che fossero italiane, spagnole, sudamericane, dividessero lo stesso allenatore per contenere le spese. Ora si fa fatica a vederne due viaggiare insieme. Alcune grandi aziende tipo Adidas o Nike offrono ai loro atleti servizi di appoggio per la parte fisica e mentale ma spesso è una compartecipazione: ad esempio Cahill ora sta seguendo la Halep ma già dallo scorso anno collaborava col coach rumeno. Per dire, una situazione comunissima all’epoca era disporre dei soli massaggiatori che fornivano Atp e Wta, si prendeva il bigliettino e ci si metteva in fila. Erano proprio altri tempi… ”
Un grande cambiamento degli ultimi dieci anni è sicuramente il maggior numero di tornei in entrambi i circuiti, da cui derivano maggiori introiti, maggiori punti e probabilmente maggiori rivali… “Penso che la differenza sostanziale sia l’aumento esponenziale di possibilità per un numero sempre più elevato di giocatrici. Basta prendere una lista di tornei Itf o Atp, ce ne sono un’infinità! Per esempio la Caregaro ora è in Giappone e sta facendo una sequela di $100.000 dove si entra in tabellone con ranking tra 230-250; una volta c’era un torneo a settimana e se non andavi molto forte non entravi in quel lotto di giocatrici che facevano punti… oddio è vero che esisteva il bonus point per cui se battevi una giocatrice top player avevi un’aggiunta di punteggio (cosa molto democratica a mio parere), ma per farti capire mi è capitato più volte di allenare giocatrici tra le prime 30 del mondo che non riuscivano ad entrare nei tornei indoor di fine anno. Mi ricordo benissimo il torneo di Filderstadt, oggi a Stoccarda, che era uno dei più ambiti, c’era la Porsche in palio… e non era nemmeno un premier! 4 wild card, 4 bye e io allenavo la numero 23 del mondo che risultava la prima o seconda delle quali. Adesso in autunno nel circuito asiatico con più di due tornei di livello medio alto nello stesso continente anche chi è fuori dalle 100 rischia di entrare nel main draw. Se vinci il $100.000 di Tokio prendi un numero considerevole di punti che ti permettono di fare un bel salto in avanti , poi è chiaro più vai avanti e più devi vincere partite, almeno in questo non è cambiato nulla…”
Parlando di giovani promesse mi viene spontaneo chiedergli un parere sul futuro del tennis italiano, almeno femminile: “La base di partenza per le giovani di adesso è complessa perché hanno avuto davanti a loro una progressione pazzesca dai tempi di Sandra Cecchini e che ha raggiunto la sua punta massima adesso col gruppo delle vittorie in Fed Cup. Ad esclusione di Roberta, che probabilmente entrerà in top ten nel 2016, queste quattro ragazze sono state tutte in grado di entrare tra le prime 10 e tutte arrivare almeno in finale di uno Slam, se non addirittura vincerlo. Inoltre tutte sono riuscite a ottenere il loro massimo in un momento della carriera in cui una tennista può pensare di smettere. L’obiettivo di un movimento, e non parlo solo della Federazione che ne ha il compito istituzionale, è quello di riuscire a tirare fuori il meglio dalle persone che si ha di fronte. Ovviamente non si può avere sempre la cinquina perfetta. In base ai risultati nel settore giovanile probabilmente dovremmo pazientare un po’ per sorridere così tanto ma per il momento godiamoci questi successi; abbiamo sempre la Giorgi con una potenzialità spaventosa, c’è sempre Karin Knapp in uno stato di forma strepitosa nonostante i seri infortuni. Sono stagioni che più avanti si recuperano, se si riacquista integrità fisica…guarda Flavia adesso…”.
A proposito, tutti parlano del ritiro di Flavia Pennetta, ma cosa fa un tennista top player, e in generale qualsiasi tennista, subito dopo il ritiro? “Nel caso specifico di Silvia lei ha smesso perché l’infortunio alla spalla le impediva francamente di continuare, era diventato difficile anche allenarsi, diciamo che era agli sgoccioli della carriera. Un consiglio che mi permetto di dare a Flavia è di avere una forte motivazione successiva. Mi ricordo che ad un convegno a cui partecipai con Pietro Mennea una giovane giornalista gli aveva posto il tuo stesso quesito e lui raccontò che il giorno prima di annunciare il suo ritiro si era iscritto alla Bocconi, mi sembra a Giurisprudenza. Il punto è che quando smetti un’attività che riempie così intensamente un periodo così relativamente breve della tua vita avere delle nuove motivazioni diventa indispensabile. Essere in “vacanza” è bello all’inizio ma devi considerare che per anni ti sei alzata la mattina chiedendoti: le mie avversarie si stanno allenando più di me? Sto facendo quanto basta per raggiungere i miei obiettivi? Di colpo tutto questo finisce e comincia la vita di tutti i giorni, che va riempita completamente da zero. Quindi anche il ritiro necessita di un’accurata preparazione perché purtroppo il rischio è non essere davvero pronti al “dopo” e cadere in depressione”.
Per concludere questa lunga chiacchierata voglio domandare a Francesco qual è stata la soddisfazione più grande nella sua carriera lavorativa: “Forse essere sempre riuscito con gli strumenti che avevo a disposizione in un determinato momento a mettermi nella disposizione mentale di poter aiutare un determinato giocatore, anche chi non è arrivato agli onori della cronaca. Ti faccio un esempio: una volta venne da me una ragazza che voleva diventare maestra di tennis e doveva essere almeno 2^ categoria per accedere al corso; lei era ai margini della 3^. Grazie anche alla sua incredibile forza di volontà sono riuscito a farle raggiungere la fatidica B4 dell’epoca ed era contenta come se avesse vinto Wimbledon. L’ho solo indirizzata verso qualcosa che per lei sembrava irraggiungibile e questa è decisamente la soddisfazione più grande che ogni allenatore possa ricevere”.
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