di Alessandro Stoppani (foto www.australianopen.org)
Per come si era configurata l’edizione 2010 degli Australian Open, quella tra Justine Henin e Serena Williams era la miglior finale possibile che il primo Major dell’anno potesse offrire. Le illustri eliminazioni susseguitesi (su tutte quelle di Kim Clijsters, di Venus Williams e dell’orda di russe) tuttavia, non hanno privato lo slam australiano di una finale di prestigio e appeal. Una contrapposizione di stili, tra il servizio più potente del circuito ed il rovescio più elegante, tra la forza e la grazia. Sebbene la sfida in questione avesse numerosi precedenti diretti, non si era mai consumata a livello di una finale di Slam. Quello che le ha condotte alla finale è stato un percorso accidentato, più nella prima parte per la Henin, più nella seconda per la Williams. In precedenza le semifinali femminili avevano ridimensionato in parte il boom cinese creando i presupposti per la finale più attesa. Serena Williams ha iniziato distruggendo tutto ciò che le si stagliava dinanzi, cedendo un totale di appena 15 game alle sue prime quattro avversarie. Contro la Azarenka nei quarti, però, è stata costretta a dar fondo a tutte le sue risorse recuperando uno svantaggio di un set e 4-0 nel secondo parziale. Anche in semifinale, contro Na Li, si è imposta non senza qualche apprensione, vincendo in due tie-break al termine di set più equilibrati di quanto ci si aspettasse. La belga, invece, è uscita indenne dal quarto della morte superando ostacoli impervi come Dementieva, Kleybanova, Wickmayer e Petrova, un tabellone che appena estratto sembrava impossibile anche solo da immaginare. In semifinale ha schiantato 6-1 6-0 la cinese Zheng impiegando appena 51 minuti per archiviare la pratica.
La finale ha incoronato Serena Williams, impostasi in 3 set (6-4, 3-6 6-2) dopo poco più di due ore, nei confronti di una Justine Henin seppur combattiva, ma incapace di elevare il proprio livello di gioco nella terza frazione. Alla belga non è bastato il sostegno di un pubblico apertamente e idealmente schieratosi al suo fianco. Per Justine, al rientro da un’inattività protrattasi per 18 mesi, l’approdo in finale è comunque un risultato che la pone nuovamente su livelli d’eccellenza. Serena Williams dal canto suo ha suggellato una cavalcata non priva di difficoltà nel corso di un cammino costellato di insidie. L’atto conclusivo del torneo non è stato un match tecnicamente entusiasmante, ma assai intenso dal punto di vista agonistico. La potenza debordante di Serena Williams, pertanto, ha avuto la meglio per l’ottava volta in 14 confronti diretti nei riguardi di Justine Henin. La pantera d’ebano ha incrementato il proprio bottino con il quinto titolo agli Australian Open (su altrettanti finali disputate) nonché il dodicesimo alloro in una prova del Grande Slam: stesso quantitativo di vittorie in un Major di una certa Billie Jean King. A consegnarle il trofeo è stata la campionessa australiana Margaret Court, capace di detenere il record di slam vinti, ben 24, esattamente il doppio di quelli fin qui messi in bacheca da Serena.
Non era mai capitato nella storia del tennis che due cinesi approdassero in semifinale. Nel corso di questi Australian Open c’è stato un inaspettato sovvertimento di gerarchie. Le grandi deluse sono le russe, incapaci di abbattere il muro dei quarti di finale. Eppure l’armata russa annoverava in tabellone giocatrici di lignaggio come Safina, Dementieva, Kuznetsova, Sharapova, Zvonareva. A salvare parzialmente il bilancio russo, però, non è stata nessuna delle succitate, bensì Nadia Petrova assieme a Maria Kirilenko, non certe le esponenti russe più gettonate. La prima è stata capace di spazzare via come un ciclone un irriconoscibile Clijsters, issandosi sino ai quarti di finale; la seconda è uscita vittoriosa dalla sfida tra pin-up del circuito di primo turno con Maria Sharapova, inanellando poi altri tre successi grazie ai quali si è proiettata nei quarti di finale. Quello che non ci si aspettava è che il tennis cinese potesse in questi Australian Open scalare i vertici del tennis mondiale, piazzando due proprie esponenti in semifinale. Certo ora è facile prevedere che il tennis in Cina possa vivere un boom in grado di portarlo in breve tempo alla popolarità del ping-pong e del badminton. Jie Zengh non è nuova a questo genere di imprese, poiché due anni or sono conseguì la semifinale anche nel tempio di Wimbledon. La Na Lì, l’altra semifinalista, si è spinta su livelli che non le erano mai appartenuti, provocando la più eclatante sorpresa dell’intero torneo, in virtù dell’insperato successo su Venus Williams. Per giunta, la Li Na, (che da questa settimana diventa la prima cinese della storia a irrompere nelle top-ten)già alle Olimpiadi di Pechino costrinse alla resa Venus Williams e sempre a livello di quarti di finale; come dire, corsi e ricorsi storici.
In semifinale, però, Serena Williams e Justine Henin, hanno bruscamente risvegliato dal sogno le due cinesine, arrestandone una corsa fin lì irrefrenabile. Regolando in due set le velleità della Na Lì, Serena ha vendicato sportivamente parlando la sorella Venus; mentre Justine Henin da par suo non si è fatta impensierire da Jie Zheng.
Nel corso del torneo ha destato sensazione la prematura battuta d’arresto di Kim Clijsters, verificatasi a livello di terzo turno, a dispetto di qualsiasi pronostico. La belga, indicata come una delle maggiori aspiranti al successo finale, si è imbattuta in una Petrova mai così ispirata, che l’ha letteralmente presa a pallate. Una stesa certificata da uno scioccante 6-0 6-1. E’ stato un tracollo dalle insondabili ragioni anche perché, la campionessa in carica degli Us Open 2009, aveva gettato nel modo migliore le basi trionfando a Brisbane ai danni della connazionale Henin. Con la premessa in questione non si vogliono in alcun modo sminuire i meriti di una Petrova in stato di grazia, ma certo che neanche un vaticino avrebbe potuto prevedere una lezione così punitiva. Sembrano quanto mai lontani i fasti degli Us Open per Kim Clijsters che ora dovrà interrogarsi sui perché di un crollo di tale portata. Nello stesso medesimo giorno, il venerdì della prima settimana, Justine Henin ha dovuto penare più del dovuto per liberarsi della giunonica Kleybanova, la cui resistenza è stata superiore ad ogni previsione. Justine ha dovuto fare gli straordinari, rinvenendo da uno svantaggio di un set e di un break. Sul 6-2 3-1, infatti, la campionessa belga sembrava essere sul punto di soccombere,ma, nel momento di massima difficoltà ha saputo risollevarsi da grande campionessa qual è . La Henin ha ribaltato le sorti del match, facendo ricorso a tutta la sua classe, tutt’altro che appannata dall’inattività di 18 mesi. Dopo aver incamerato il secondo parziale per 6-4, nel terzo set la belga ha preso il largo, complice il contraccolpo accusato, a livello di tenuta nervosa, dalla Kleybanova.
Capitolo italiane: le nostre azzurre hanno fatto l’en-plein al primo turno, collezionando 6 successi su altrettanti confronti. L’antitesi degli uomini, capace di fare en-plein al contrario, totalizzando 5 avvilenti sconfitte al primo turno che, pronti via, hanno azzerato la pattuglia maschile. Uomini nella polvere, donne sugli altari…Pennetta, Schiavone, Errani, Vinci, Garbin e Brianti sono infatti uscite tutte vittoriose dal primo round. Flavia ha concesso un set alla ex top-ten Anna Chakvetadze, finendo per imporsi in 3 set. Francesca Schiavone al primo turno ha rischiato e non poco contro la finalista di Roma 2008 Cornet, ma è stata bravissima a reagire al 6-0 iniziale e ribaltare le sorti del match. Grazie ad un piglio da combattente indefessa che non l’abbandona proprio mai.
Passiamo ora ad esaminare i secondi turni delle nostre giocatrici: iniziamo con l’ exploit siglato da Alberta Brianti (numero 73) capace di disinnescare la potenza della tedesca Lisiski (numero 24), azzerando in un sol colpo una differenza di 49 posizioni in classifica. La tedesca vanta il servizio più potente del circuito, avendo scagliato una prima di servizio pari a 210 all’ora. Velocità che, solitamente, appartengono soltanto agli uomini e non alle femminucce, eccezion fatta per questa spilungona tedesca di 1,78 cm di pura potenza. E’maturata tardi tennisticamente Alberta Brianti, che, però, grazie allo spirito di abnegazione, talento e la capacità di soffrire è riuscita inaspettatamente a ritagliarsi un posto al sole. Ingredienti che le hanno permesso dunque di sovvertire il pronostico, conquistando lo scalpo di più alta classifica di sempre. Dopo Alize Cornet, la Schiavone ha tenuto a bada un’altra francese, meno quotata della suddetta, la Coin, numero 75 del mondo.
La Pennetta è stata vittima di un sorteggio assai poco favorevole, poiché da testa di serie numero 12 ha ben donde a imprecare la malasorte, per aver affrontato al secondo turno la Wickmayer, seconda più forte giocatrice non compresa tra le teste di serie, seconda solo alla Henin. Di fatto, la brindisina è stata l’unica azzurra a mancare all’appello al terzo turno al quale sono approdate tutte le altre connazionali: Schiavone, Vinci, Errani, Garbin e Brianti. Flavia si è consegnata recidivamente alla Wickmayer segnando il passo in due set. Una sconfitta che non può essere definita sorprendente, poiché nel corso dei 3 confronti diretti, Flavia, non solo non ha mai prevalso, ma non ha neppure conquistato l’ombra di un set. La battuta d’arresto di Pennetta è stata compensata dai successi di Sara Errani nei confronti della Makarova, di Sara Errani contro Vania King, di Tathiana Garbin (6-7,6-2,6-0) alla kazaka Shvedova.
Al terzo turno, la Errani ha lottato coraggiosamente, tenendo validamente testa ad un’avversaria di ben altra conformazione fisica come la Wickmayer. La bolognese è stata sì sconfitta, ma con tutti gli onori del caso, andando mai così vicina a tagliare il traguardo della seconda settimana in un torneo dello Slam. Si è presa la soddisfazione di estorcere un set alla Wickmayer, trascinandola al terzo set e costringendola a rimanere in campo per oltre due ore e mezzo. Niente male per una Errani che ha di che essere soddisfatta per i continui progressi messi in atto.
Ha denotato spirito di reazione, dopo aver incassato un 6-1 che avrebbe potuto essere il preludio di una sconfitta di larga misura. La Errani, però, non si è abbattuta, ma ha riorganizzato le idee, aggiudicandosi con pieno merito il secondo set al tiebreak. Nella terza e decisiva frazione è rimasta allineata alla sua avversaria sino al 3 pari, prima di subire il break decisivo che ha impresso la svolta al match. Unitamente alla Errani, anche il torneo di Roberta Vinci ha vissuto il capolinea alle soglie degli ottavi di finale. A negarle l’avanzamento è stata Maria Kirilenko, rivelatasi più lucida nei momenti topici di un match all’insegna dell’equilibrio. Roberta, pur duellando ad armi pari, ha pagato dazio alla minor consistenza nei momenti chiave del match, risoltosi in due set in favore della russa: 7-5, 7-6.
A livello di terzo turno sono state costrette a deporre le armi (o meglio, le racchette), anche Tathiana Garbin, soverchiata dalla Azarenka che la concesso due soli game, al pari di Alberta Brianti che ha tenuto scacco all’australiana Stosur nel corso del primo set, per cedere poi vistosamente nel secondo (6-4- 6-1). Il suo torneo resta però più che positivo in virtù di un terzo turno dal quale trarre solo motivi di soddisfazione. Così come non ci si aspettava di ritrovare a così alti livelli la 33enne mestrina Tathiana Garbin (che ha timbrato la 13esima partecipazione agli Australian Open) la quale al terzo turno non aveva le armi ed i mezzi per arginare la forza d’urto di Victoria Azarenka. Rimane però la soddisfazione della vittoria sulla 28esima giocatrice del mondo, Elena Vesnina, che Tathiana ha mandato fuori giri con le sue proverbiali variazioni di ritmo.
Alla stregua di quattro anni or sono, quando cinque ragazze italiane avevano raggiunto il terzo turno, Francesca Schiavone è stata l’unica a proseguire il cammino consentendo al nostro tennis di centrare il famoso traguardo della seconda settimana che, in termini tennistici, vuol dire ottavi di finale. L’ultimo baluardo, insomma. Francesca ha confermato la tradizione di imbattibilità nei confronti della top ten Radwanska, sconfitta per quattro volte in altrettante sfide. La leonessa ha inferto alla polacca un periodico basso: 6-2 6-2, che le ha dischiuso le porte degli ottavi di finale e della concupita seconda settimana. Tra Francesca Schiavone ed i quarti di finale, però, si è frapposta Venus Williams, benché la milanese avesse illusoriamente messo in cascina il primo set. Sulla scia Francesca aveva conquistato un break in apertura di secondo set, prima però di subire il dirompente ritorno di Venus che, una volta incamerato il secondo set, nella terza frazione ha dilagato. Per la Schiavone il traguardo dei quarti di finale in Australia è così rimasto un miraggio, diversamente dagli altri Slam nei quali ha per almeno una volta conseguito i quarti.
Il bilancio globale delle nostre azzurre è senz’altro positivo e conferma la bontà di un movimento sempre più in salute, malgrado basi le sue fondamenta su giocatrici più navigate che futuribili. C’è da domandarsi cosa ne sarà del nostro tennis nel momento in cui Schiavone e Pennetta decideranno di porre fine alla loro gloriosa milizia; anche perché non si intravedono all’orizzonte dei prospetti che possano garantire un ricambio generazionale. Tuttavia, per ora, è meglio non porsi il problema in questione. E’ infatti il caso che si tragga il meglio da due atlete nel pieno della loro attività agonistica e che hanno ancora molto da offrire in termini di rendimento.
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