(Roberta Vinci e Sara Errani a Wimbledon – Foto Nizegorodcew)
di Roberto Commentucci
Molti appassionati, tra streming vari e tivù satellitare, hanno potuto seguire il derby azzurro andato in scena nel primo quarto di finale del Wta indoor di Linz (220.000 euro, sintetico indoor). Sara Errani contro Roberta Vinci, numero 3 e numero 4 d’Italia. Compagne di Fed Cup, compagne di allenamento, da oltre un anno coppia fissa in doppio. Ha vinto Roberta (per la seconda volta in altrettanti confronti) ma conta poco. Quel che conta, è che in tanti abbiano potuto apprezzare il gioco di due tenniste non troppo note al grande pubblico, piccole di statura, ma dalle grandi qualità tecniche, atletiche e nervose. Si è visto un tennis diverso. Non è stato il solito match fra i tanti, omologati incontri sull’odierno circuito femminile.Un circuito dove vedi il primo game di una partita, e sai già quel che succederà, ogni punto uguale al precedente: grandi botte sulle diagonali, seguite da accelerazioni lungolinea, alla prima occasione utile. Mai una variazione, un cambio di ritmo,una discesa a rete. La monotonia eretta a sistema, in omaggio a sua maestà il muscolo, che l’avvento delle sorelle Williams e l’ondata slava hanno eretto a ingrediente fondamentale per il successo.
Ebbene, niente di tutto questo, in Errani-Vinci. Loro non hanno i bicipiti luccicanti, non tirano fulminanti cannonate. Ma in compenso, sanno giocare a tennis. Dietro ogni colpo un’idea di gioco, dietro ogni scelta una strategia, una tela da tessere, uno schema da impostare.
Prendete Sara. Per anni le hanno dato della pallettara senza talento, scambiando corsa e agonismo per scarsa qualità di braccio. E invece Sara Errani è una giocatrice completa, temibile per tutte le avversarie e su tutte le superfici: certo corre, si difende, lotta, ti fa giocare tante palle, allunga gli scambi. Ma sa anche alternare le rotazioni, sa staccare benissimo la mano dal rovescio bimane, sa eseguire palle corte millimetriche, trovare angoli stretti e toccare di fino nei pressi della rete.Tutte soluzioni che non solo portano punti, ma che fanno anche spettacolo, e restano poco familiari alle tante clavatrici slave di cui rigurgita il circuito.
E che dire di Roberta Vinci, il panda della Wta? Come non entusiasmarsi di fronte ad una giocatrice così minuta, ma in possesso di un bagaglio tecnico tanto antico quanto esaltante? Diritto praticamente piatto eseguito con presa eastern, rasoiate di rovescio in slice a scavare il terreno, colpi al volo che sembrano usciti dai filmati d’epoca del torneo di Wimbledon, un gesto di servizio di una fluidità impressionante, tecnicamente strepitoso, che le consente, a lei che nemmeno arriva a 1,65, di sparare prime palle a oltre 170 orari. Un armamentario che, quando è assistito, come in queste settimane, da condizione atletica e convinzione, produce un tennis bellissimo ed efficace.
In questi mesi, in casa nostra si è parlato tantissimo delle nostre due punte: Francesca la vincitrice di Slam e Flavia, la prima top10 azzurra di sempre, e nuova numero 1 in doppio. Ma un grande movimento, come è il nostro tennis in rosa, non è fatto solo di punte: dispone anche di un corposo gruppo di rincalzi. 4 atlete fra le prime 50, 7 fra le prime 100, 15 nelle prime 300, e tante ragazzine emergenti (le varie Giorgi, Caregaro, Burnett, Mayr, Remondina, e altre ancora) che, sia pure in lieve ritardo sulle migliori pari età straniere, hanno dimostrato di avere le carte in regola per diventare ottime giocatrici.
E’ solo che, a guardare Robertina e Sara, e il tennis che sanno esprimere, la definizione di “seconde linee” appare davvero ingenerosa e riduttiva.
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