Tra Bamboccioni e Valchirie

Francesca Schiavone Andreas Seppi
di Roberto Commentucci (un ringraziamento particolare per i dati a Mytennis.it)
Siamo alle solite: maschi ko, femmine sugli scudi. Lo strano paradosso del tennis italiano. Cerchiamo di capire perché.
La drammatica Caporetto del tennis maschile azzurro nel primo turno dell’Australian Open, che fa seguito all’analoga disfatta subita pochi mesi fa a Flushing Meadows, finisce per mettere ancora più in risalto l’ottima prova di squadra del nostro settore femminile (6 vittorie su 6, nel primo turno) dove le azzurre, se pure erano quasi ovunque favorite in termini di classifica, avevano a che fare con avversarie di buona caratura tecnica (due ex top 10, come Chakvetadze e Cornet, una ex top 20 come la Groenefeld,una top 30 come la Vesnina). Insomma, maschi nella polvere, femmine sugli scudi: l’ennesima conferma di una tendenza ormai ventennale.
Negli ultimi mesi, per cercare di dare conto della stridente differenza di rendimento fra i due comparti del nostro tennis professionistico, sono stati scritti fiumi di inchiostro, scomodando strumenti interpretativi presi in prestito da scienze come la sociologia e l’antropologia culturale, tutti tesi all’esaltazione della donna italiana del terzo millennio, evidentemente molto meno bambocciona del suo coetaneo maschio.
Nel nostro piccolo, tenteremo di dare un piccolo contributo al dibattito, con l’avvertenza che se l’analisi proposta potrà apparire forse semplicistica e riduttiva, essa ha nondimeno il vantaggio di basarsi solo su elementi esclusivamente tecnici e tennistici.
Anzitutto, vi proponiamo la tabella seguente, nella quale viene mostrata la ripartizione per superficie del complessivo monte punti in palio a livello Atp. Essa scaturisce dalla combinazione fra le superfici in uso nei vari tornei del circuito maggiore e le regole in vigore per la formazione della classifica (il cosiddetto best 18).
Per un giocatore che ambisca a stare fra i primi 30 tennisti del mondo, la ripartizione per superficie dei punti in palio è la seguente:
Schermata 1
(*) Da inizio 2009 tutti i tornei Atp giocati indoor devono adottare obbligatoriamente superfici in cemento, abbandonando i tappeti sintetici.
Come si vede, la terra rossa è ormai una superficie residuale, attribuendo ormai poco più di 1 punto Atp su 4. Ne consegue che, rispetto ad uno specialista della terra, un tennista da veloce, a parità di livello tecnico e di risultati, otterrà sistematicamente una classifica mondiale più alta. Né si può pensare che questo fenomeno possa essere reversibile, dipendendo da fattori evolutivi di lungo periodo di carattere storico e socio-economico, come ad esempio l’affermazione dei paesi asiatici (dove si gioca solo sul duro). E non è tutto: è notizia di poche settimane fa che anche i 4 tornei sudamericani di febbraio (giocati in Cile, Brasile Argentina e Messico) potrebbero adottare il cemento a partire dal 2011, in modo da essere più competitivi nell’attrarre la partecipazione dei tennisti di vertice. Lo stesso cambiamento è allo studio per il torneo Atp di Umago. Il tennis è cemento, quindi.
Vediamo invece dove ottengono punti i migliori 10 giocatori italiani. Ecco una ripartizione per superficie del loro best 18, aggiornata al 12 ottobre 2009:
Schermata 2
Come si vede, oltre il 60% della classifica degli azzurri resta costruito sulla nostra eterna terra battuta. Difficile, in queste condizioni, arrivare nei primi 30, a meno di non essere Nadal. Qualcuno ribatterà, non senza ragione, che purtroppo, i nostri non sono nemmeno dei Montanes.
E vediamo ora come vanno le cose nell’altra metà del cielo. Questa è la ripartizione dei punti per superficie nel circuito Wta:
Schermata 3
Tra le donne, quindi la terra conta ancora meno che fra gli uomini (23% contro 27%).
Vediamo però come le nostre tenniste si sono adattate a questa situazione. Ecco il loro best 16, aggiornato al 12 gennaio 2010:
Schermata 4
I dati mostrano che la terra ha un’importanza relativa, nel bottino di punti delle nostre ragazze, pari esattamente alla metà di quanto avviene per i maschi (32% contro 64%). Da notare, inoltre, come per le due punte azzurre (Schiavone e Pennetta) la percentuale di punti vinti sulla terra sia molto vicina a quella dei punti complessivamente disponibili su tale superficie nel circuito maggiore Wta (23%). Ciò significa che sono forti su tutte le superfici.
Conclusione
Fin qui i dati. Ora proviamo a dare qualche interpretazione.
La più importante è che fra le donne andiamo meglio che fra gli uomini perché nel tennis femminile le superfici hanno sul gioco un’incidenza molto minore, dato che i colpi di inizio gioco sono meno importanti e gli scambi tendono ad essere più lunghi. E’ quindi più facile per le ragazze adattarsi alle diverse superfici.
Questo consente alle nostre tenniste, sebbene nate e cresciute sulla terra, di poter emergere nel tennis di vertice, a patto di lavorare bene per potenziare i propri punti deboli (non a caso sia Pennetta che Schiavone hanno dovuto migliorare soprattutto il servizio). Anzi, l’aver giocato molto sulla terra rossa, che favorisce l’apprendimento di un buon campionario di variazioni (rovescio in back, palla corta, cambio di ritmo) può rivelarsi un fattore di vantaggio competitivo, nel circuito femminile attuale, fatto di picchiatrici dal tennis monocorde.
Fra i maschi, invece, andiamo malissimo fuori dalla terra soprattutto perché i nostri giocatori, nati e cresciuti sul rosso, sono sistematicamente inferiori ai loro avversari nei colpi di inizio gioco: servizio e risposta aggressiva, che oggigiorno sul cemento decidono oltre il 70% degli scambi giocati. Fondamentali che la nostra scuola cura troppo poco, dal momento che tradizionalmente gran parte dei nostri giovani agonisti si allena e compete, a volte fino all’ingresso nel professionismo, solo ed esclusivamente sulla terra.
A questo, poi, si aggiunge sicuramente la diversa determinazione a migliorare tecnicamente e la maggiore motivazione a viaggiare delle ragazze, sempre pronte a montare sul primo aereo per andare a giocare un torneo Wta magari in Estremo Oriente, affrontandone coraggiosamente i disagi. Ma lo fanno anche perché sanno che se vanno se la possono giocare, e che non troveranno un Karlovic che le prenderà a pallate. E quindi, si trovano in un ambiente che le porta ad essere più motivate ad imparare e a crescere, sulla scia, del resto, di quanto hanno fatto le loro colleghe più forti e più anziane, a cominciare da Silvia Farina, grande modello di professionalità e di programmazione. Un esempio, quello della milanese, che ha seminato frutti copiosi.

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